15674, una delle tante storie di mia invenzione xD

« Older   Newer »
  Share  
Maria G.2
CAT_IMG Posted on 30/10/2011, 21:43




a me mancava leggere sta storia
in confronto a te e alle tue storie io e bad seeds ci facciamo piccole piccole
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 31/10/2011, 07:54




Esagerata! Vedrai che con un pò di perfezione in più saranno perfette e più coinvolgenti! :)

a me piacciono!

e comunque grazie mille :3
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 4/11/2011, 14:27




Capitolo 32

Collegata alla botola, stava una scala di legno ancora buona. Salii per prima, facendo attenzione che i gradini non mi crollassero sotto i piedi, mentre Elly mi stava dietro.
Non vedevo tantissimo, solo un fio di luce penetrava dallo spiraglio della botola, che con tutte le forze spinsi verso l’alto per aprire. La luce della stalla mi investì debolmente mentre con una grande spinta salii in superficie sul pavimento della stanza. La botola era situata al centro della stalla, e l’odore del fieno mi punse fortemente le narici, Con una mano aiutai Elly a salire accanto a me e dopo ci sedemmo sul pavimento, per riprendere fiato.
“ Menomale che siete arrivate ragazze!” la voce di John spuntò dal nulla, e poco dopo lui fece capolino con la sua testa da dietro una balla di fieno nel mucchio:” pensavo vi avessero catturato!”
Con mia enorme sorpresa mi accorsi che, quando fu vicino a noi, nessun appoggio lo aiutava a tenersi in piedi; stava ritto davanti a noi, come se fosse perfettamente in salute.
“ John .. ma tu cammini?” rimasi esterrefatta da quel che stavo vedendo.
Lui si imbarazzò non poco:” Scusate se vi abbiamo mentito per tutto questo tempo … ma mi serve la scusa dell’invalidità per poter restare accanto ai miei e aiutarli nelle faccende riguardo la clandestinità. Sapete, voi per adesso siete le uniche a sapere del mio segreto.”
“ Non l’hai mai detto agli altri fuggiaschi?”
“ mai … di solito me lo tengo per me, ma questa volta è più grave di quanto pensassi … Ora andiamo, dobbiamo uscire di qui, prima che le guardie ci scoprano.”
Io e Elly, ancora frastornate dalla verità, gli andammo dietro, mentre lui cautamente si avvicinò alla porta della stalla per orecchiare. Restai in silenzio assoluto per facilitargli la cosa, e anche Elly fece lo stesso. L’unico rumore che però, riuscivo a sentire, era il canto delle cicale misto alle urla attutite dei soldati, proveniente dalla casa.
“ Come facciamo a scappare, se sono ancora lì?” Chiese Elly, preoccupata.
“ cani non ne hanno portato, basterà aspettare che se ne vadano, in totale silenzio … comunque, voi salite al piano superiore e nascondetevi.” John ci indicò una scala di legna, che portava esattamente a un pianerottolo mezzo nascosto dal fieno abbondante.
La sua proposta, però, non volevo accettarla: Ancora una volta le persone che avevo accanto rischiavano per me, e questo non potevo accettarlo.
“ Io per adesso rimango qui …” esclamai, facendo girare John dalla mia parte con uno sguardo tra lo stupito e l’arrabbiato.
“ Cosa? Non dire sciocchezze, tu e Elly dovete scappare prima che vi prendano!” tuonò lui apprensivo.
“ E tu come farai?” stavolta era stata lei a parlare, e nel tono della sua voce risuonava un lieve tono di tristezza.
“Io ho la pellaccia! Vedrai … me la caverò.” Si avvicinò a Elly, e le scompigliò affettuosamente i capelli, sotto lo sguardo lucido di lei:” E non piangere … non è da te farlo.”
“ Lo so benissimo …” Elly abbassò lo sguardo ormai con gli occhi gonfi di lacrime, e tutto quello suscitò in me il ricordo del mio distacco da Max.
Il mio cuore ne aveva sofferto di pene, e soprattutto quell’evento .. lo aveva segnato. Desideravo ardentemente che mi riconciliassi con lui, anche solo per un istante, ma dovevo aspettare, chissà quanto, tutto era contro di me in quel momento. Dunque non c’era via di scampo. Solo il destino poteva darmi man forte in quel momento.
Distolsi lo sguardo dai due innamorati, che nel mentre si erano stretti in un abbraccio malinconico, entrambi in lacrime, e andai accanto alla porta, socchiudendola leggermente per guardare fuori.
Ciò che vidi non mi diede il tempo neanche di emanare fiato: uno sparo, poi uno sbattere di porta improvviso, e una delle guardie che usciva dalla casa e si dirigeva pericolosamente dalla parte della stalla.
“ Ragazzi! Non vorrei disturbarvi ma … abbiamo una visita.” Dissi cercando di essere disinvolta, ma con il cuore che mi pulsava in modo incontrollabile.

Sentite le parole di Deborah, Io e John ci staccammo da un abbraccio che mi sembrò essere durato in eterno e ci guardammo negli occhi spaventati.
“ Presto, saliamo su e nascondiamoci bene!” disse lui, e senza farcelo ripetere due volte salimmo in fretta la scala che conduceva al pianerottolo, poi la scala venne tratta su in fretta, di modo da evitare la salita delle guardie verso il nostro nascondiglio.
E nel momento in cui l’ultimo pezzo di scala venne nascosto sotto una coltre di fieno, la porta della stalla si spalancò con enorme chiasso e il vocione di un soldato irruppe nel silenzio rotto solo dal canto continuo della notte.
“ Chi c’è qui?” tuonò con gran voce l’unico soldato che era entrato dentro:” Fatevi vedere, luridi latitanti! E non costringeteci a usare le maniere forti!”
La sua voce emanava autorità e brutalità, e questo mi accapponò la pelle più di quanto i miei sensi potessero permettere.
“ Cosa facciamo? Se ci muoviamo quello ci scopre!” sussurrai con un filo di voce, cercando di stare più attenta possibile a non farmi sentire.
“ Restiamo qui, fino a che non se ne va .. e evitiamo di farci scoprire.” Sussurrò in risposta Deborah, che di tanto in tanto buttava un’occhiata verso il piano di sotto.
Il soldato continuò a mandare le sue minacce al nulla, mentre noi aspettammo che si arrendesse e che se andasse. Ma sembrava che niente stesse dalla nostra parte in nessun momento.
Dopo un minuto di silenzio inquietante, l’uomo uscì dalla stalla, ma non mi fidai comunque. E infatti, evitai che John si alzasse di botto nel momento preciso in cui lui ritornò con un fucile a canne mozze in mano.
“Che intenzioni ha?” fece Deborah terrorizzata. Il soldato scomparve dal nostro campo visivo, ma avevamo già intuito cosa volesse fare e il terrore ci corse nelle vene.
“ Ragazzi dobbiamo subito andarcene da qui!” urlai senza voce agli altri, che erano agitati visibilmente quanto me.
Sentii il rumore di un grilletto, e il legno del pianerottolo rompersi sotto al furia di un proiettile scagliato a pochissimi centimetri dal mio braccio e dal quello di Deborah. L’uomo stava sparando da sotto per stanarci, probabilmente il nostro silenzio era stato udito ugualmente.
Il guaio di quei proiettili che ci avrebbe sparato è che non avevamo idea di come ci avrebbero colpito, e se ci avrebbero colpito. Già dal primo tentativo, sembravamo spacciati.
Non emisi fiato, anche se avrei voluto gridare come un’ossessa, e un altro proiettile forò il pavimento vicinissimo al mio braccio. Potei sentire il calore del colpo bruciarmi la pelle.
“ Elly! Torna qui!” Mi incitò John spaventato. Cercai di muovermi verso di lui, di modo da spostarmi verso destra, Ma qualcosa fece in modo che il mio movimento venisse visto. Il proiettile stavolta mi passò talmente vicino che non feci in tempo ad arrestare il grido strozzato che mi uscì dalla gola.
Ora ero nei casini più totali.
“ Beccati! Portate la scala!” tuonò il soldato da sotto.
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 12/11/2011, 14:27




Capitolo 33

Merda. Potevo proprio dire di essere nella merda. E non avevo nemmeno la lucidità per pensare a un piano di fuga rapido e efficace, per salvarci da questa situazione.
“ Scusate ragazzi ..” sussurrò Elly dispiaciuta.
“ Non è colpa tua … avrei reagito anch’io così ormai … ora il guaio è … come facciamo ad uscire?” più che per la reazione pericolosa di Elly, cercavo di far ingranare le rotelle del mio encefalo per trovare al più presto la soluzione al casino che avevamo davanti.
Il soldato era uscito dalla stalla, ma non potevo sperare di salvarmi saltando da quella altezza, e in più quello laggiù sarebbe tornato al più presto, con la scala e una scorta di energumeni pronti a spezzarci il collo.
“ Pensiamo in fretta a una soluzione per la miseria!” avrei voluto urlare dalla rabbia, ma non potevo farmi sentire ulteriormente:” John … sei sicuro che non ci siano scappatoie qui …”
John sembrava paralizzato dalla paura, e esitò a rispondere al mio quesito:” Io …. Non …”
“ Avanti!” lo incitai a dire qualsiasi cosa, mi sarei anche rotta un braccio pur di salvarmi da quella brutta situazione.
Il ragazzo non sembrava cosciente di quello che gli stava accadendo, e le cose stavano precipitando. Elly, che fungeva da vedetta, ci bisbigliò che i nostri “ amichetti” stavano arrivando:” John … ti prego!”
Ma niente, era più terrorizzato di un coniglio con le spalle al muro, con il cacciatore che gli punta sul muso la canna di fucile, pronta a spedirgli dritto nelle budella il proiettile mortale.
Dovetti arrischiarmi, e con un gesto fulmineo della mano, arrossai una gota di John:” Svegliati cazzo! Siamo tutti nella stessa situazione! Sei o non sei uno che aiuta i fuggiaschi?”
“Lui sembrò riprendersi dalla trance di prima, e massaggiandosi la guancia, mi guardò con aria interrogativa.” Il fatto è che non mi era mai successo un caso simile … di solito tutti alla fine si salvavano prima della venuta delle guardie …. Accidenti.”
“ Scusa se ti metto sottopressione così … ma devi essere lucido.” Lo incitai a pensare a come scappare. Io non conoscevo la casa tanto bene quanto lui, riponevo ogni mia speranza nel baldo giovane che mi aveva insegnato in quei giorni a spaccare legna, e a mungere mucche, cose che possono sempre servire, in fondo.
“ Giusto, hai ragione …” John sembrò essersi ripreso, e chiuse gli occhi come per allargare la sua mente. Poi li aprì fulmineo come se avesse avuto un’illuminazione:” Ma certo! Che stupido! La finestra e la corda!”
“ Finestra e corda?” ero un po’ perplessa, e lui mi indicò una strana fenditura che prima non avevo notato a causa del gioco di ombre creato dalla luce e dal fieno nella stalla. Era una finestrella non molto grande, ma abbastanza comoda per far passare una donna mi media statura e un bambino.
“ Se non ricordo male, da quella finestra pende una corda che ci porterà fuori da qui!” esclamò come entusiasta. Il mio cuore saltò di gioia, anche quella sola misera speranza era viva dentro di me, e mi astenni dall’abbracciarlo solo perché eravamo in una brutta situazione.
Nel mentre Elly si avvicinò a noi:” stanno arrivando!”
Sentimmo nel silenzio creatosi i passi felpati di alcuni soldati e poi un tonfo alla base del pianerottolo della stalla. Un suono metallico. Stavano per scoprirci!
“ Deborah! Elly! Voi andate!” John ci spinse verso la finestra, che come aveva detto lui aveva legata al davanzale una corda robusta lunga fino a terra.
“ E tu?” Elly sembrava preoccupata, mentre si accinse a aggrapparsi alla corda.
“ Io rimango qui … voi scappate.” John fece un sorriso rassicurante rivolto a Elly, che come pensavo stava già progettando di morire insieme a lui.
“ No … non farlo.. ti prego!” era triste, le tremò la voce davanti all’espressione serena di John.
“ Se saprò che ti salverai, sarò felice … ora vai. E buona fortuna.”
“ No!” la mia amica iniziava a disperarsi, e il mio cuore era a metà dalla parte di John e a metà dalla sua parte. Stavo rivivendo indirettamente ciò che avevo dovuto passare prima di lasciarmi con Max; la delusione nel non poter rimanere con la persona amata, il groppo alla gola causato dalle lacrime che vorrebbero portare con sé chi non può, la solitudine e la rassegnazione.
Ma dall’altra parte, capivo che il gesto di John era di vero amore, di sacrificio, perché lui desiderava che lei fosse libera. E per noi fuggiasche, la libertà è il più bel gesto d’amore e di felicità.
“ John …” dissi, prima di scendere la corda:” giurami che non farai sciocchezze e che scenderai questa corda dopo di me.”
“ Deborah …”
“ fallo per lei. Se lo merita davvero.” Conclusi, e dopo che Elly, con le lacrime agli occhi, era scesa, mi accinsi a calarmi per il muro. Nel mentre le urla dei soldati si fecero più intense.
Con un balzo scesi sull’erba bagnata dalla pioggia che era iniziata a scendere poco prima.
Il cielo rimbombò cupamente

John era ancora su, e le lacrime non tardarono a farsi strada. Perché? Perché proprio lui?
Non volevo che venisse catturato o peggio ancora ucciso. Era un fatto non di puro egoismo da parte mia, ma … lo volevo e basta. Non potevo permettere che il mio primo amore venisse rinchiuso nella mia mente come solo un lontano e dolce ma al contempo triste ricordo.
La pioggia batteva sulle mie ciglia su cui lacrime spesse si aggrappavano e la voglia di risalire su e di affrontare faccia a faccia il mio destino era fortissima.
“ Deborah! Voglio tornare indietro …” dissi alla mia amica, che appena scesa mi guardò perplessa:” Non posso starmene con le mani in mano qui! Devo aiutarlo!”
“ No! Vuoi farci scoprire?” ribatté lei arrabbiata. Non capivo perché facesse così, perché fosse diventata fredda all’istante. Sembrava che gli importasse più di se stessa che degli altri, cosa che non poteva essere da lei.
La affrontai a viso alzato:” perché no?”
“ è stato lui a dirtelo, segui il suo consiglio e scappa … almeno tu …”
“ Ma perchè ti ostini ad essere così? Io lo amo! Non voglio che quelli laggiù gli facciano del male!”
“ questo lo so!” la sua reazione isterica mi lasciò sbalordita:” Ma non possiamo sempre contare sugli altri come vuoi tu! Niente va come speriamo, e se gli altri ci danno una mano dobbiamo fare in modo che il loro aiuto non venga reso vano dal nostro egoismo!”
“ Senti chi parla! Prima dicevi che non avresti messo a rischio nessun’altra persona, e ora tu vieni a parlarmi del fatto che dobbiamo lasciare gli altri nei casini!” ero arrabbiata, non riuscivo a credere che proprio lei, che fino a poco prima non voleva permettermi di farla fuggire con me, stesse dicendo certe cose. Era una contraddizione contro l’altra: “ Non dirmi cosa devo fare, se voglio andare da lui io ci andrò.”
“ Non ce n’è bisogno, sto venendo io da te!” Una voce, sin troppo soave per le mie orecchie in quel momento, apparve nel buio della pioggia. John! Si stava calando dalla fune e appena scese a terra, mi rivolse un sorriso enorme:” Deborah mi ha fatto promettere che sarei sceso dopo di voi, se le guardie non fossero riusciti a salire.”
Ero felicissima, lui era sano e salvo dopotutto. Nessuna parola uscì dalla mia bocca, tanto ero euforica, ma solo i miei muscoli risposero, in uno slancio d’amore che lo fece cadere a terra, nel fango. Lo strinsi più forte che mai, non volevo che svanisse come prima. Mi rassicurò sentire le sue braccia forti avvolgermi e le sue labbra sfiorare la mia fronte:” Adesso va tutto bene …”
“ Voi due, avanti, dobbiamo scappare!” esclamò Deborah, con tono leggermente commosso ma autoritario come prima.
“ Si si … e comunque … scusa se ti ho urlato contro.” Mi scusai con lei per prima, avevo capito che la sua reazione isterica era dovuta allo spavento e alla brutta situazione e che il tutto aveva contribuito a renderla di malumore.
“ Niente, non me la sono presa … in parte è anche colpa mia, che ti ho messo sottopressione ..” rispose lei, per niente rancorosa.
Ora eravamo tutti e tre, fuori dall’inferno, e l’unica via di fuga era data dalla foreste, che distava mezzo chilometro dalla nostra postazione.
Ce l’avremmo fatta di sicuro, se avessimo continuato a scappare e se i soldati non ci avrebbero scoperto.
Ma sembrava che tutto dovesse andare storto. Mentre ci preparavamo per la grande corsa verso un fitto bosco di pini che potevo intravedere tra la luce dei lampi, un suono di proiettile e qualcosa di velocissimo colpì la parete della stalla, facendoci un grosso buco.
“ Sono qui! Venite!” urlò uno di loro, quello che evidentemente aveva sparato.
“ Santo cielo!” imprecai in mille lingue diverse, mentre mi accinsi a correre come una matta insieme a Deborah e John.
La fuga stava per cominciare.

Correvo come un matto, cosa che non avevo fatto da chissà quanto. Durante la finzione della mia malattia, avevo perso l’abitudine di correre a perdifiato attraverso una landa desolata o qualcosa di simile, dunque rimettere sotto quel’enorme sforzo le gambe. I soldati non demordevano nell’inseguimento, e il terreno sembrava volerci far inciampare più del dovuto. La pioggia aveva reso il tutto una pericolosa lastra di ghiaccio, su cui neanche il minimo passo poteva essere fatto con sicurezza. Ma non potevo adesso fare attenzione a certe minuzie; i tedeschi dietro di noi stavano per avere la meglio, Elly stava dietro di me e se non si fosse affrettata l’avrebbero presa. Cosa inaccettabile.
“ Deborah … continua a scappare! Io vado ad aiutare Elly!” dissi. Lei si voltò nella mia direzione e non disse niente, ma continuò a scappare, e poco dopo raggiunse la foresta. Almeno lei era in salvo,ora c’era Elly.
La ragazza stava per essere raggiunta da uno di quei maledetti soldati, ma sembrava tener testa al tutto. Io continuavo a correre, sperando che mai la catturassero, ma le mie speranze sembrarono svanire, appena la vidi crollare al suolo, dopo che il rombo di un fucile squarciò il rumore dei nostri fiati pesanti.
L’avevano colpita alla gamba, e stavano per raggiungerla trionfanti, io guardavo preoccupato la scena orribile che mi si stava presentando nella testa e davanti agli occhi. Elly, la ragazza che nel giro di poche settimane era diventata parte di me e del mio mondo, stava per finire nelle mani di grossi soldati, crudeli e pervertiti. Se non fosse morta, avrebbe perso comunque la vita dopo le violenze che avrebbe dovuto subire dalle manacce di quelli laggiù. E questo non potevo accettarlo.
“ Elly!” mi fermai di botto e corsi verso di lei, fino a raggiungerla del tutto. I soldati mi si misero davanti:” Catturatelo!” urlò il capo, che nel mentre stava legando Elly come un salame.
“ Lasciatela andare!” iniziai a scalciare e a tirare pugni e gomitate dove mi capitava, beccando e facendomi male ogni viso dei soldati che mi stavano addosso. Riuscii a buttarli a terra tutti, arrabbiato e voglioso solo di riavere la mia Elly, mancava soltanto l’energumeno che la teneva imprigionata.
“ Brutto bastardo! Lasciala, sei solo come un cane adesso!” sbraitai, pronto a scagliarmi contro di lui. Ma fu più rapido di me.
Con ghigno beffardo, mi puntò la rivoltella dritta in fronte:” provaci e finirai arrosto.” Esclamò maligno. Fermai di botto lo slancio, paralizzato dal freddo metallo della pistola puntato sulla mia pelle.
“ Facciamo così … ti lascerò scappare, a me basta la ragazzina.” Facendo questo, si leccò in modo disgustoso le labbra:” ma se insisti a volerla salvare, ti ucciderò.” Sentenziò freddo.
Ero bloccato da questa scelta che non lasciava scampo a nessuno dei due. Se fossi scappato, lei avrebbe patito ogni pena per colpa mia e sarei stato ucciso lentamente dal rimorso di non aver fatto niente.
Se fossi intervenuto, lei sarebbe comunque stata nelle sue mani, e io tra gli angeli maledetti nell’alto del cielo.
La pioggia continuava a battere sul mio corpo, ma non riusciva a lavare la mia confusione in nessun modo.
“ Cosa scegli?” ripeté lui, con un ghigno malefico sul volto.
Ero indeciso, se avessi potuto lo avrei stroncato, ma la vicinanza della canna della rivoltella era troppa per poterla evitare. Sembrava che il mio destino fosse segnato, ma non potevo lasciare lei, proprio lei da sola.
Optai per la seconda opzione datami da lui, ma prima che potessi alzare un braccio per poterlo attaccare, la voce di Elly mi fermò:” Vai. Scappa più lontano possibile insieme a Deborah, e aiutala tu a ritrovare mio fratello. Io starò bene.” Disse, con tono disperato.
Il soldato si voltò verso di lei trionfante:” io direi di seguire il consiglio della tua ragazza, sai è molto conveniente!”
“ Elly …”
“ John … fallo e basta. Conto su di te.” Finì di dire, prima che la sua testa crollasse sotto lo sforzo del dolore che stava sicuramente provando alla gamba.
Si stava sacrificando per me, lo stava per fare. Come io pochi minuti prima per lei. Era un gesto … non riuscivo a dire come, ma comunque fosse, dovevo esaudire il suo desiderio.
Con le lacrime agli occhi, scappai in direzione della foresta per raggiungere Deborah. Elly venne messa in groppa dal capo dei soldati, da quel che vidi in lontananza. Sperai con tutto il cuore che quel farabutto non la violasse più di quanto la stanchezza non avesse fatto su di lei.
Un altro cammino di vita si era separato dalla via principale. Esisteva la strada che ricongiungeva il tutto? Solo il tempo e il dolore avrebbero potuto dirlo.
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 16/11/2011, 13:16




Capitolo 34

Un dolore lancinante alla gamba ferita misto alla stanchezza avevano favorito l’assopimento dei miei sensi. Ma non prima di vedere John venirmi incontro. Per salvarmi, o provare a farlo.
Lo amavo immensamente, saprebbe che lo avrebbe fatto, inevitabilmente dalla situazione in cui si sarebbe trovato, ma sotto quella pioggia portatrice di iella, il grilletto che avrebbe schioccato della pistola del capo delle guardie, e la faccia dubbiosa di John davanti alla scelta di salvarmi o di scappare insieme a Deborah, anche la mia voglia di salvarmi si era esaurita. Ero stata una sciocca a farmi prendere, ma non potevo permettere che anche John facesse una fine indegna di lui. Io … me la sarei cavata di sicuro, ma lui con un buco in testa non sarebbe servito a molto per la salvezza di Deborah e il suo ricongiungimento con mio fratello.
E poi, non mi sarei perdonata la sua morte,in quei secondi che scandivano un colpo nelle cervella da una fuga in lacrime. Con tutto l’ultimo briciolo di audacia rimastami in corpo, lo avevo supplicato di lasciarmi stare, che me la sarei cavata in qualche modo, e anche se fossi morta, sarei stata felice, sapendo che prima o poi anche lui sarebbe stato felice. E lui, mi aveva ascoltato, non egoisticamente, ma controvoglia, rivolgendomi l’ultimo sguardo triste che forse ci saremmo scambiati nella striscia di vita che inevitabilmente mi mancava. Poi la risata del soldato e il mio peso sollevato sulle sue spalle. Il sonno, in quel momento, insieme a lacrime che per paura non uscirono, congedarono i miei sensi, e mi permisero di addormentarmi, con il cuore pieno di spilli.
Il buio aveva sopraffatto i miei occhi per tutto il tragitto verso la meta, nessun sogno che potesse in qualche modo darmi l’illusione di essere arrivata, solo nero che mi disorientava e che scomparve solo quando aprii le palpebre, dopo non so quanto tempo che ero svenuta.
La prima cosa che vidi … grigio. Un grigio mattone, smorto e buio, un muro scrostato dal tempo e dall’umidità. Un senso di inquietudine mi sconvolse dentro .. ero forse morta e quello era una specie di zona post morte? Provai ad alzare la testa e incontrai un’altra parete, sempre grigia, fatta di mattoni ormai tutti consunti e scalcinati.
No, se quello era il paradiso io ero Hitler. Il respiro tornò normale e cercai di orientarmi in quello spazio angusto e di capire cosa diavolo stesse succedendo.
Ero stesa su una tavola, legata con delle catene arrugginite alla parete. Dubitavo che quel pezzo di legno avrebbe sorretto il mio peso, ma qualcosa di pesante impediva al mio corpo di muoversi. Mi ricordai della ferita alla gamba, e la guardai automaticamente. Constatai, con enorme sorpresa, che era steccata e fasciata, anche se in maniera piuttosto rudimentale. Non faceva più male come nell’attimo in cui la pallottola mi aveva colpito, ma era pesante. In tutto quel tempo si doveva essere addormentata.
Cercai di spostarla con fatica in posizione eretta, così’ che il sangue riprendesse a circolare, e solo voltandomi in posizione seduta sul lettino, notai un’altra asse di legno sull’altra parete, e una figura seduta, con la testa abbassata e le mani giunte.
Notai anche una porta di ferro nera, e una piccola finestrella da cui la luce passava a stento. Una cella di contenimento. Pensai che, nonostante tutto, non era male. Se poi pensavo che l’altra opzione sarebbe stata la mattanza pubblica.
Mi avevano chiusa in una stanza completamente nera, con un uomo che a giudicare dalla luce e dall’ombra, sembrava piuttosto cupo e massiccio.
“ S – scusi … mi può dire …” cercai di attaccare discorso con quello lì. Lui alzò la testa lentamente, e incontrai uno sguardo che mi parse terribilmente familiare: due pietre onice, ovvero due occhi neri come il carbone, profondi come pozzi, mi squadrarono con fare curioso e per niente minaccioso.
La figura si alzò, e solo allora mi avvidi della sua mostruosa altezza. Aveva una aspetto stanco ma non troppo anziano, sembrava un detenuto da chissà quanti anni. Mi si avvicinò dolcemente:” Sei in una cella … io qui ci sono da tipo … dieci anni penso … tu ci sei arrivata dormendo.”
“ Oh … posso sapere il suo nome?” mi ispirava timidezza quello sguardo tanto profondo e quelle occhiaie tanto segnate che possedeva quel signore. Ma non mi ritrassi, sentivo che in qualche modo potevo fidarmi di lui.
“ Menuchin … tu?”
“ Elly … Menuchin .. che nome strano …”
“ Sono ebreo, ma stranamente non mi hanno ancora fatto fuori.” Rispose pacatamente l’uomo.
“ Come mai?”
“ Di professione faccio il medico, e diciamo che i nostri cari soldati hanno bisogno del mio aiuto per guarire …”
“ Capisco …” non mi stupii più di tanto dopo la sua affermazione. Lo feci sedere accanto a me, e dato che il tempo doveva passare, mi feci raccontare da lui la sua storia.

Bombe, sangue, bombe e spari. Un ciclo che non finiva mai, attutito da un casco che a malapena mi avrebbe protetto dai colpi di fucile. Facce morte, bianche in volto, di persone che avevano perso ormai ogni speranza di poter tornare davvero a casa e di riabbracciare le persone amate. Solo il viso di Jordan, seduto accanto a me, mi dava qualche speranza. Anche se ormai, la luce nei suoi occhi si stava per spegnere.
Non stava per morire, ma stava per farlo la sua anima. Tutto in quella tenda ai confini del campo, la trincea distante quasi anni luce.
“ Riesci a combattere?” gli chiesi, avvicinandomi a lui e guardandolo negli occhi.
“ Non tanto …. Per niente. Tutto ciò è stupido, non trovi?”
“ per niente … siamo tutti sulla stessa barca amico … dobbiamo remare fino alla sponda se non vogliamo che gli squali ci affondino.”
“ Ma sentilo …” un lieve sorrisetto apparve sul suo volto stanco. Ero riuscito a tirarlo un po’ su, ma non era di certo il luogo adatto per scherzare.
Ci avevano appena comunicato che la truppa Alfa era stata colpita di sorpresa dal nemico e che servivano rinforzi al più presto, e che un gruppo di persone sul settore Ovest era stato ferito e servivano uomini per portare in salvo quelle ancora vive verso le tende ospedaliere.
“ Soldato Schubert e compagno … andate sul settore Ovest, serve rinforzo medico.” Ci aveva urlato il soldato, appena entrato nella tenda.
Avevo annuito poco convinto e dato una pacca sulla spalla di Jordan:” Pronto?”
“ pronto …” aveva sussurrato lui dopo essersi alzato dalla panca. Imbracai il fucile saldamente e anche Jordan fece lo stesso.
“ Buona fortuna …” ci disse flebilmente l’uomo di prima:” e non fatevi ammazzare …”
“ ci proveremo …” dissi io, prima di uscire.
Guerra. Un contadino che semina distruzione su un campo arato dall’odio e dal rancore. I frutti maturano in esplosioni e sangue, le urla sono i fiori che sbocciano sulle piante matura.
Uno spettacolo che avrebbe reso desolato qualsiasi cuore.
Il settore Ovest si trovava a poca distanza da lì, ma ci voleva tempo per arrivare, e ciò avrebbe comportato una corsa enorme contro il tempo e un invito esplicito a saltare in aria come mine.
“ Amico!” urlai, mentre correvo coma un pazzo a testa bassa, mentre il rumore degli esplosivi mi martoriava i timpani:” Coprimi le spalle!”
“ D’accordo!” aveva urlato lui, dietro di me. Preparò le munizioni nella canna, mentre un gruppo di soldati si fece vedere sopra una vettura rovesciata in strada.
Soldati nemici. Detestavo dover agire, ma in quella situazione non potevo far altro che far emergere il mio istinto di tedesco, represso nei meandri più profondi di me stesso.
Preparai il fucile e premetti il grilletto.

Elly … perché lo hai fatto? E dire che contavo sul fatto che avrei incontrato di nuovo Max con te, con te che avresti sorriso con le lacrime agli occhi … e invece anche la mia strada si separava da te, e si congiungeva a quella di John, triste come me per il tuo sacrificio.
“ Mi dispiace Deborah … non sono riuscito a metterla in salvo …” si era scusato lui, mentre scappavamo.
“ Non preoccuparti di questo .. ora scappiamo …” dissi io, anche se continuavo a pensare a come sarebbe stato difficile non avere più il supporto di una buona amica come lei.
Da odio verso la mia “ razza”, quel suo sentimento si era mutato in una compassione che aveva infuso al suo cuore coraggio e altruismo. Aveva pianto con me durante il periodo a casa Mendel, e ora io avrei pianto con uno della famiglia Mendel, ma senza di lei. Ciò mi demoralizzava più di quanto ogni umano possa immaginare.
Pensando a tutto ciò, arrivammo al limitare della foresta e ci trovammo nel bel mezzo di un campo di grano maturo. Ottimo nascondiglio.
“ John … facciamo una pausa … ti va?”
“ va bene … devo riprendere fiato.”
Cercammo, camminando in mezzo agli steli che mi punzecchiavano le gambe, un posto dove sederci, ben nascosto tra gli steli di grano più alti. Non sembrava grano coltivato, ma più quello selvatico, che cresceva spontaneo in campagna, e che poteva tranquillamente raggiungere altezze notevoli, tali da nascondere alla perfezione un uomo inginocchiato. Mi addentrai alla cieca in quel luogo sperduto, andando sempre dritta, mentre la notte non mi aiutava di certo a orientarmi. Un canto frenetico di grilli mi disorientava, o dopo un po’, subentrò un qualcosa di inquietante.
Una specie di tanfo nauseabondo … qualcosa che mi fece chiudere il anso all’istante.
“ Che puzza …” mi chiusi il naso in modo ermetico, ma sembrava che il tanfo mi entrasse in gola da quanto era intenso. Anche John si era chiuso il naso disgustato.
Nel piccolo cassetto della mia memoria riservato agli odori, cercai di identificare quell’odore, un qualcosa che mi desse modo di dire cosa effettivamente fosse.
Era intenso, sapeva di marcio e dava la nausea, come se qualcosa stagnasse nell’acqua sporca di uno stagno e fosse infestato di mosche cavalline. Un qualcosa simile a un … cadavere?
Un cadavere era proprio l’ultima cosa che avrei voluto vedere quella sera.
Dopo un po’ di tempo, sentii i miei piedi affondare in qualcosa di melmoso. Mi guardai sotto e constatai che la scarpa di era impantanata in un fango acquoso e melmoso; ero nei pressi di uno stagno.
“ Stai bene?” mi chiese John, che stava attento a dove mettere i piedi.
“ Si si … niente di rotto … solo un piede sporco, tutto qui … continuiamo?”
“ Siamo sulla riva di uno stagno, ci converrà proseguire di lato … dobbiamo evitare di bagnarci.”
“ hai ragione …” tentai di muovere il piede per poterlo sbloccare dal fango, ma il mio precario equilibrio mi giocò il brutto scherzo di farmi rovinare a terra, facendomi cadere in acqua. Un’acqua stagnante e dall’odore particolare.
“ Cielo … tutto a posto?” Fece John avvicinandosi per vedere come stavo. Avevo il vestito impiastricciato e umido, ma ciò che più mi preoccupava non era tanto l’essere bagnata, ma il colore che il vestito aveva assunto; macchie sfocate tinte di rosso sangue.
“ ma cosa …” Mi guardai le macchie sui vestiti e mi voltai in cerca di qualcosa. Orrendamente, mi resi conto che aver catalogato l’odore di prime come quello di cadavere non era stato un errore.
E quale fu la mia sorpresa nel constatare che era il cadavere del dottore di due o tre settimane fa. L’uomo benevolo di tempo prima era ridotto a un pezzo di carne attaccato dalle mosche, e con un grosso buco al centro del petto. Le orride pupille vuote si riflettevano sotto al luce della luna.
Il mio grido soffocato non tardò a uscire:” AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH!!!”
Mi coprii inorridita la bocca:” Non è possibile …”
“ Ecco perché sapevano … maledetti bastardi senza scrupoli …” aveva detto a denti stretti John. Mi diede una mano ad uscire.
“ Non pensarci adesso … pensiamo a trovare un posto dove nasconderci adesso …”
Annuii alla affermazione di John, e distolsi gli occhi da quel corpo, per poi incamminarmi ancora tremante.
Sarebbe durato ancora a lungo questo periodo di pura follia umana?
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 25/11/2011, 21:14




E CAGATEMI PER LA MISERIA!! :fgt: :fgt:

Capitolo 35

Area Ovest. Stessa scena del resto del campo, e il sangue non tardava a farsi vivido negli occhi di tutti. Io spargevo sangue, insieme al resto dei soldati, sangue innocente di cui mi pentivo, di cui non osavo chiedere la provenienza, ma necessario, ahimè, per continuare il conflitto.
Cautamente ci avvicinammo al nostro gruppo, che era raggruppato intorno ai feriti. Una donna, forse polacca, farfugliava qualcosa di incomprensibile. Era ferita alla testa e il sangue le colava dalla tempia. Reggeva in braccio un bambino, carne e ossa, di un pallore spaventosamente mortale. Continuava a dondolarsi, con in braccio quel corpicino, a farfugliare con le lacrime agli occhi, e non sembrava voler calmarsi nemmeno alle parole dei soldati.
“ Il bambino è morto?” chiesi io, spaventato dalla scena.
Uno dei soldati annuì alla mia domanda, spostando rapidamente lo sguardo sulla povera donna. Insieme a lei stavano una ragazzina di cinque anni, che sembrava solo scioccata e illesa ma non voleva staccarsi dalla camicia di uno dei miei colleghi, e un uomo, con un braccio ferito gravemente, sorretto da una donna, anch’essa ferita alla testa, che lo consolava magramente su quello che accadeva intorno a loro.
Tutto ciò mi pesava enormemente sul cuore. Tutto quel dolore, non c’ero abituato abbastanza per sopportare con indifferenza e menefreghismo. Il mio istinto mi imponeva di doverli aiutare, di dover fermare quella pazzia, ma la mia testa mi impediva di farlo. La mia testa pensava che tutto quello che avrei fatto sarebbe stato sempre inutile, che bisognava solo seguire il tutto e rimanere in disparte, ci avrebbe pensato Dio a risolvere quel casino. Ma chi conta su Dio se nemmeno quei metodi drastici servono a qualcosa?
Cercando di scacciare il disgusto dalla mia testa, aiutai a caricare sulla barella l’uomo ferito, mentre Jordan si occupò della donna con il cadavere tra le braccia. Lui era sicuramente più adatto al ruolo di me, avrebbe trovato il modo adatto per convincerla a lasciarlo lì e a mettersi in salvo finché poteva. Io non ne avrei avuto la forza.
La bimba aggrappata alla giacca di uno dei soldati mi si avvicinò all’improvviso:” Signore …” Farfugliò.
Io finii di caricare l’uomo sulla barella, e poi mi chinai su di lei. Indossava un abito rosso, tutto stracciato e sporco di terra, la faccia sporca di sangue secco e i capelli pieni di polvere, ma sembrava stare bene. L’unica pecca erano gli occhi, verdi e gonfi di lacrime.
“ Dimmi piccola, che c’è?” Cercai di parlarle dolcemente, E l’unico gesto che lei fece fu quello di saltarmi addosso, avvinghiandosi a me con le sue piccole braccia e piangendo disperatamente.
Provai un’enorme compassione per quella povera creatura, e per poco non mi misi a piangere pure io. Mi alzai in piedi, tenendola stretta a me e lasciando che piangesse,e all’ordine degli altri soldati iniziai la corsa verso la capanna ospedaliera.
“ Piccola … tieniti stretta e non alzare la testa per nessun motivo!” le urlai, mentre correvo nella direzione indicatami dall’esperienza poco a poco acquistata. Lei non rispose ma strinse la presa delle sue braccia sul mio collo, e incavò di più la testa sulla mia spalla.
Correvo come un matto insieme agli altri, mentre un nuovo attacco era stato innescato. Una bomba alla cieca aveva generato una reazione a catena esplosiva e pericolosa. Un sacco di proiettili che venivano scagliati a velocità brutali, e io che muovevo i piedi, senza sentire la pesantezza della piccola, li muovevo senza rendermi conto di niente, neanche del dolore di quella guerra.
Miracolosamente, giunsi alla tenda in tempo. La tenda ospedaliera era posta in una zona talmente protetta dalle bombe che, secondo tutti, era il luogo adatto dove poter mettere in salvo le persone.
I letti, quasi tutti occupati da feriti e agonizzanti pronto alla morte, erano messi uno vicinissimo all’altro, in file asfissianti, dove gli infermieri passavano sempre, senza sosta, a controllare che ognuno di loro stesse bene o meglio di prima.
Poggiai la bimba per terra, nel mentre aveva calmato il suo pianto ma piagnucolava ancora:” Voglio la mia mamma …”
“ verrà presto .. vedrai …” Mi faceva un male tremendo mentire a quella povera bambina, ma era l’unico modo per farla stare un po’ bene. La strinsi a me, per poi darla in custodia, a malincuore, a una delle infermiere.
Jordan, che aveva finito di mettere a letto l’uomo, mi si avvicinò:” Stai bene?”
“ Si amico … si.” Mi limitai a dire, sofferente. Chissà quanto a lungo avrei sopportato tutte quelle cose?


Ora capivo da chi Deborah aveva tratto così tanto coraggio nell’affrontare le avversità, da chi aveva appreso le sue doti di medicina, da chi aveva capito che il mondo non è rose e fiori. E dire che quegli occhi mi erano sembrati familiari sin dall’inizio, quei due pozzi di saggezza tanto neri quanto infiniti, che solo Deborah, da quel che rammentavo, possedeva.
Menuchin, quell’uomo misterioso conosciuto nella cella dove mi avevano rinchiusa, non era altro .. che l’uomo per cui la bambina del ricordo di mio fratello urlava come una pazza.
L’uomo che dieci anni fa era stato catturato, l’uomo da cui Deborah aveva tratto tanto coraggio e voglia di non arrendersi. Era … suo padre.
E lo scoprii soltanto dopo che l’uomo mi accennò alla sua cattura. Certo, il povero uomo non poteva immaginarsi che una come me potesse sapere che sua figlia era ancora viva ( da quel che speravo io) e che era diventata mia amica intima. La sua sorpresa non fu minore al mio stupore.
“ Non stai ingannando un pover’uomo, vero?” mi fece lui, sorpreso quanto me dopo avergli detto che la suddetta bambina la conoscevo benissimo.
“ Non potrei mai ingannarla, signore … se da quel che dice lei, quella bambina è sua figlia, so per certo che mio fratello non è un bugiardo, e che quindi colei che si chiama Deborah e con cui poche ore fa fuggivo è davvero sua figlia …”
“ So benissimo che mia figlia di nome fa Deborah … ma non riesco a credere che sia ancora viva dopo tutto questo tempo … come sta?”
“ Non direi benissimo, ma se la sta cavando … e deve aver preso molto da lei, signore …!” Lo guardai amorevolmente, e lui ricambiò con un dolce sorriso.
Quello che più mi stupiva era la gran capacità di quell’uomo nel rimanere calmo anche durante la prigionia in quella cella tanto buia e malsana, la sua buona volontà a dover sopportare i continui sotterfugi dei soldati, che sicuramente lo avevano schernito ogni giorno a causa della sua povera condizione.
“ Mi lusinga saperlo, cara … sai, per un uomo della mia età l’unica magra consolazione è poter sperare che gli altri stiano bene … Dimmi, sai qualcosa di mia moglie?”
Mi raggelai a quella domanda. Sapevo la triste risposta, e esitavo a dire a quella brava persona che la sua anima gemella era volata in paradiso. Tacqui, abbassando lo sguardo, pensando che tanto avrebbe capito da solo. E infatti fu così.
L’uomo, guardandomi, capì la risposta da solo, e trasse un lungo sospiro: “ Capisco … eh, almeno sta in un bel posto adesso …”
“ Mi dispiace tanto …”
“ Non hai colpa di ciò che è successo. È questo schema, questa società a ucciderci tutti. Bisogna farsi coraggio e continuare a guardare avanti, come ho fatto io in questi ultimi dieci anni.”
Sorrisi a quell’osservazione, ancora rammaricata per il brutto momento creatosi prima:” Perlomeno, sa che sua figlia sta bene …”
“ Infatti … quello è il lato migliore della speranza: sapere che esse non sono del tutto vane!” esclamò, quasi felicemente.
Purtroppo, tutte le cose felici devono pur finire no?
Un bussare violento alla porta della cella, e dopo un po’ un soldato che entrava, con la sua aria altezzosa e sprezzante.
“ Detenuto 65 … all’interrogatorio.”
Il detenuto 65 ero io. Mi alzai, dopo aver guardato di sottecchi Menuchin, e ingoiai saliva spasmodicamente.
Il soldato mi afferrò il braccio e mi portò con sé, verso una delle celle da interrogatorio.
 
Top
¬{H i k aªr i}~*
CAT_IMG Posted on 26/11/2011, 14:12




Non lo ho letto tutto ma da quello che ho letto mi viene da dire solo.....fantastico *^*
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 27/11/2011, 12:45




Grazie mille tesoro <3 fin dove sei arrivata circa?
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 12/12/2011, 16:46




Capitolo 36

La notte della mia fuga fu segnata sia dalla vista del cadavere del dottore, sia dalla ricerca di qualche posto sicuro dove passare la notte, senza essere beccata da soldati o guardie d’ogni genere.
Io e John camminammo tutta la notte, in mezzo a quel campo, mentre le nostre palpebre stentavano a rimanere aperte e gli steli pungenti del grano ferivano lievemente la nostra pelle. In più, mi era ripresa a bruciare la cicatrice.
Non che questo mi impedisse chissà come di proseguire, ma mi dava tremendamente fastidio.
“ Ti fa molto male?” chiedeva perennemente John, che rimaneva accanto a me, con aria un po’ preoccupata. Io mi limitavo a sorridergli a denti stretti, ignorando cosa sentissi lungo il mio braccio e gli assicuravo che non era granché, e che andava tutto bene. Ma continuava lo stesso a fare male.
Il cielo ancora scuro e puntellato di stelle iniziava a schiarirsi lentamente, e un lieve rivolo di luce iniziò ad espandersi dappertutto. La debole e fioca rugiada mattiniera bagnava la punta degli steli di grano selvatico, mentre il frinire degli animaletti cessava non all’improvviso, ma con un volume sempre più fioco, fino a divenire solo un debole sibilo.
L’alba stava per risvegliare l’ambiente intorno a me, e anche se il cole non faceva capolino dietro le colline, canti di galli, in lontananza, echeggiavano e segnavano la fine di quella notte.
“ Sta per spuntare il sole … dove andiamo?” chiesi io, perplessa, continuando a camminare davanti a me. John fece spallucce:” Non lo so, ma qualsiasi posto farà al caso nostro …”
Ed ecco il lontananza. Un misto di casupole, piccole ma all’apparenza disabitate, si fece largo nella mia visuale offuscata dalla natura circostante. Case. Un villaggio. Ovvero, pausa da quel lungo camminare.
Guardai John speranzosa, e lui ricambiò con un largo sorriso.
“ Affrettiamoci, così potrai curarti la cicatrice …” ci mettemmo a correre, diretti verso il paesino, sollevati almeno un po’ da tutto il rancore accumulato da quella notte.
Il limite di quel gruppo di case, che si rivelò essere una specie di proprietà abbandonata, era segnato da uno steccato stinto di bianco sull’ingresso, mentre tutto il rettangolo di terra che costituiva lo spazio intorno alla casa era racchiuso da una rete di ferro intrecciata, a cui era arrotolato un lungo filo spinato.
Le erbacce facevano capolino sui bordi delle sei casupole che costituivano la proprietà, l’aspetto era diroccato e sembrava che nessuna povera anima abitasse ancora lì.
I lucernari, appesi all’esterno delle case, erano opachi e consumati dalla ruggine, mentre le porte di ferro e di legno stridevano al soffiare del vento.
Tutto ciò mi fece rabbrividire:” Chissà chi ci abitava?”
“ Non so, ma non ha l’aria di posto abbandonato da poco … “ fece John, perlustrando la zona oltre il cancello di legno male intonacato.
“ Io vado a vedere se trovo qualcosa per medicarmi la ferita … deve esserci per forza …” più che altro, mi attaccavo alla speranza di trovare bende o disinfettante,anche se sapevo che ciò era altamente improbabile. Il fatto che quel luogo fosse abbandonato faceva intuire che tutto ciò che avrei trovato dentro la casa era scaduto o in pessime condizioni di conservazione. Se anche avessi trovato delle bende, queste non sarebbero di certo state pulite e pronte per l’uso, e di sicuro non avevo intenzione di prendermi una brutta infezione, dopo quello che avevo passato con la scarlattina.
Entrai in una delle case diroccate, facendo attenzione che la porta e i sostegni non mi cadessero addosso.
La polvere ricopriva ogni angolo di quella struttura in legno, e una rampa di scale, che in origine doveva portare al piano di sopra, non sembrava in condizioni di essere salita. I gradini era divorati dalle tarme e dunque impossibili da salire senza incappare in brutti incidenti.
Per il resto, la struttura sembrava reggere, anche se ormai tutto aveva un odore stantio di muffa e di vecchio.
La luce dell’alba imminente mi aiutò nell’esplorazione del posto, e non troppo difficilmente incappai nell’ambiente che prima doveva essere stato una cucina.
Il mobilio che costituiva il lavello e le credenze era tutto spaccato e marcio, mentre un tavolo centrale alla stanza, o quel che ne restava, regnava con la sua aria distrutta sulla stanza piccola ma immensa in quella sua piccolezza.
Accanto alla porta principale della cucina, trovai un’altra porta, dove andai a vedere. Ci trovai il ripostiglio, buio e in cui le ragnatele avevano proliferato a meraviglia. Non mi stupì trovarci una “ simpatica” famigliola di ragnetti dalle gambe lunghe che appena sentirono lo scricchiolio della porta, sgattaiolarono dal loro nascondiglio con una velocità fulminea.
Tenendo aperta la porta e nutrendomi in qualche modo dell’unico spiraglio di luce e della mia vista, cercai qualsiasi oggetto utile alla mia condizione. C’erano barattoli di roba in conserva, impolverati e sicuramente andati a male, buste di carta contenenti chissà cosa, e scaffali completamente vuoti. Ma di qualcosa che somigliasse vagamente a una cassetta per il pronto soccorso non se ne vedeva l’ombra.
“ Qui non c’è niente …” rassegnata mi affrettai ad uscire da quella stanzina, e notai solo allora che anche John era entrato.
“ Trovato niente?” mi chiese, guardandosi intorno anche lui.
“ Niente di niente … dovremo cercare nelle altre case …” feci io, un po’ delusa dalla ricerca.
Feci per chiudere la porta del ripostiglio, quando una voce dall’esterno attirò la nostra attenzione.
Era una voce infantile, giocosa e stridula. L’unica cosa che mi venne in mente è che fosse di un bambino. Ma non riuscivo a spiegarmi il perché di quella presenza.
“ Franz! Vieni qui!” disse un’altra voce, stavolta più disperata.
“ Ma che cos …” mi affrettai a mettermi accanto alla finestra per vedere da fuori cosa stesse accadendo, e John fece lo stesso.
Una bambina, sugli otto anni circa,rincorreva un pargoletto di forse 3 anni, data la sua abilità nel camminare. Il più piccolo, era in prossimità del cornicione della casa accanto a quella dove io e John eravamo nascosti.
Vedemmo la bambina di otto anni raggiungere il piccolo e sgridarlo:” La mamma ha detto di stare vicino! Vuoi che ti sculacci? Ti saresti potuto far male …” La piccola, che probabilmente era sua sorella, aveva gli occhi lucidi, come se stesse per piangere. Il piccolo non ne voleva sapere di stare appiccicato alla sorellina. Si mise ad urlare, e con uno strattone, si liberò dalla presa della sorella e scappò verso la direzione opposta.
“ Quanto sei disobbediente! Franz!” la bambina tornò ad inseguire il piccolo, che stavolta aveva affrettato il passo. Per sua sfortuna, l’equilibrio precario lo fece cadere per terra. Il piccolo cadde rovinosamente, e il suo pianto disperato non tardò a farsi sentire dappertutto.
“ Guarda, alla fine è caduto …” esclamai io, con una punta di ironia nella voce.
“ Ti diverte?” John sembrava perplesso dalla mia reazione davanti alle lagne del piccolo, che ora raggiunto dalla sorella, si era messo a piangere a causa del ginocchio sbucciato tra la polvere.
“ Un po’ … trasmette tenerezza … che ne dici? Andiamo ad aiutare la bambina con suo fratello?”
“ Perché?” stavolta sembrava più che spaventato. Sogghignai:” La bambina non sembra in grado di stare al passo con le lagne del piccolo, e poi se dessimo una mano, avremmo almeno un passaggio dai loro parenti .. ossia, luogo in cui riposare!”
“ Ma possiamo riposare qui …”
“ In questa topaia? Non potrei … e poi con un bambino che piange. Neanche un sordo riuscirebbe a dormire.” Conclusi io, affrettandomi ad uscire fuori e ad andare incontro ai bambini. La situazione era degenerata. La piccola, china sul fratellino, cercava di prenderlo per mano per portarlo fuori da lì, ma la testardaggine del piccolo impediva il tutto, e la crisi annunciata della bambina non si fece attendere, facendola scoppiare in un pianto dirotto e isterico.
“ Piccola .. ti serve una mano?” chiesi io di botto, avvicinandomi abbastanza da farmi vedere. La piccola, vedendomi, si ritrasse asciugandosi in fretta le lacrime e facendosi tutt’a un tratto più coraggiosa :” E tu chi sei?”
Ora che la vedevo meglio, mi ero accorta di quanto i suoi caratteri somatici non fossero tipici tedeschi. Aveva gli occhi di uno straordinario color nocciola e un grazioso ciuffetto bruno che le incorniciava un viso paffutello, ma dall’aspetto non troppo infantile. Il fratellino, a terra, aveva le sue stesse caratteristiche, a parte la spruzzata di lentiggini sulle paffute guance arrossate.
“ Sono un’amica … dove sono mamma e papà?”
La bambina indicò un punto oltre la sua spalla sinistra e poi riprese a guardarmi di sottecchi:” Tu chi sei?”
“ Mi chiamo Deborah .. voi?”
“ …” All’inizio sembrava esitare a dirmi il suo nome, ma poi, con voce tremante, fece fuoriuscire dalle labbra le sillabe del suo nome:” Miriam … e lui è Franz …” indicando il piccolo, che non smetteva di piangere.
Mi avvidi subito ad avvicinarmi a lui con fare materno. Ponendogli una mano in testa, accarezzai i suoi morbidi capelli castani:” Su,non ti sei fatto niente piccolino …”
Lui singhiozzava con fare quasi isterico, anche se il suo pianto si stava placando pian piano. Alla fine due grandi occhioni nocciola come quelli della sorella mi guardarono teneramente.
John arrivò poco dopo:” Da dove venite?” chiesi ai bambini.
“ Prima abitavamo qui, ma poi quelle brutte guardie ci hanno distrutto tutto … ora abitiamo qui vicino, ben nascosti.”
“ Dunque siete …”
“ Ebrei .. si. Ma non dirlo a nessuno!” sbottò la piccola come pentita della sua rivelazione. Io, per rassicurarla, le mostrai il ciondolo che avevo appeso al collo, la stella di David.
“ Oh .. quindi anche tu sei una di noi!” fece lei sorpresa, io annuii e poi mi alzai dalla mia posizione accovacciata:” Ci porteresti da loro per cortesia? Non abbiamo un posto dove andare …”
La piccola mostrò riluttanza nel voler mostrare la sua nuova casa a me e John, ma poi sembrò cambiare idea :” Va bene … seguitemi.” Volle prendere per mano il fratellino, ma John ne anticipò le mosse, prendendolo in braccio e cullandolo:” Tu con la cicatrice non resisteresti a lungo … lascia fare a me!” mi sussurrò piano. Sorrisi e mi misi dietro a Miriam, per seguirla.

Una sala puzzolente, illuminata male e afosa mi si presentò davanti agli occhi appena il carceriere aprì la porta del confessionale.
“ Siediti lì.” Mi tuonò, lasciandomi andare con uno strattone improvviso.
Presi posto su una sgangherata sedia comune in legno, le cui gambe scricchiolarono inquietantemente appena messo il sedere sopra. Davanti alla sedia stava un tavolo.
“ Aspetta qui.” La guardia chiuse rumorosamente la porta dietro di sé, facendomi sobbalzare, mentre un’altra dietro il tavolo si aprì, facendo entrare il mio interrogatore.
Era un uomo in frac, aveva baffi biondissimi e un viso grassoccio e lentigginoso. Gli occhi infossati e celesti erano solcati da due enormi sopracciglia pelose e bionde al pari dei baffi. In testa portava il copricapo da generale, su cui spiccava lo stemma nazista e l’aquila. Si sedette sulla sedia opposta alla mia, avvicinandosi rumorosamente.
“ Io sono Il generale Schodinger, capo dell’armata Est dell’esercito Nazista. Tu devi essere la nuova prigioniera … molto graziosa.” Si leccò i baffi in modo disgustoso. Stavo già avvertendo le sue luride intenzioni:” Eleonora Roberta Schubert, figlia del tenente colonnello Frank Schubert, e accusata di aver aiutato l’evasione della prigioniera 15674 dal suo campo di concentramento … tsk “ sputacchiò stizzoso:” E dire che sei davvero una graziosa fanciulla … e ti macchi di tale colpa? Ma smettiamola di fare gli eroi …” Si alzò dalla sedia, e iniziò a camminare intorno al tavolo, andando a far strisciare la sua mano contro la mia sedia. Io impassibile lo seguivo con gli occhi, anche se il cuore mi martellava pericolosamente in petto.
L’uomo si fermò di botto, e la sua mano scivolò viscida sulla mia spalla, ma troppo avanti per toccare solamente l’osso. Presentivo cosa volesse fare e me ne stavo come uno stoccafisso ad aspettare che agisse: “ E poi, sei una fanciulla in fiore … se morissi, gli uomini subirebbero una grande perdita, non trovi?” La mano grande e callosa di quel lurido verme scivolò più in fondo della spalla, e avvertii una disgustosa pressione sul mio seno sinistro.
“ Verme viscido!” pensai, fulminea.
Fui più veloce di lui; scansai la mano con rapidità,alzandomi di botto e scivolando a lato. La sedia cadde rumorosamente, mentre io per l’impeto della mia azione sbattei la schiena al muro.
Lui mi guardò come sbalordito:” Hai gli artigli eh!” con uno scatto si fece vicino a me, ma mi abbassai tanto in fretta da evitarne le fauci, e sgattaiolai fuori dalla sua portata. L’ansia mi stava in qualche modo aiutando ad avere i riflessi più vividi e svegli, ma non potevo scappare all’infinito da quel mostro:” Cosa vuoi?” Gli chiesi fredda.
“ Oh …” fece lui, tornando stranamente a sedersi:” Vorrei solo chiederti qualcosina … e sono certo che non potrai rifiutare …”
“ In che senso?” tornai a sedermi, stando però sempre all’erta a ogni suo movimento.
“ Sappiamo che sul luogo in cui sei stata catturata, con te stava anche la prigioniera 15674 … non è così?” chiese lui, arcigno.
Restai in silenzio, di certo non avevo intenzione di dirgli ogni singola cosa,dovevo resistere. Lui continuava a fissarmi: “ Chi tace acconsente … e di sicuro sai dove si è cacciata. Dunque … ti propongo uno scambio equo; La libertà in cambio di un favore. Ti porteremo con noi nei luoghi di cattura degli Ebrei, e tu dovrai identificare la prigioniera. Accetti?”
A sentire quella richiesta mi si gelò il sangue. Meglio la prigione piuttosto che tradire la fiducia della mia migliore amica! Collaborare con loro? Piuttosto la morte.
E fu quello che gli dissi senza troppi giri di parole:” Scordatelo. Preferisco morire.”
“ Ah si?” Stavolta i miei riflessi non furono abbastanza veloci, perché potessero scansare le enormi mani che mi avvinghiarono il corpo con ferocia. Il suo tocco demoniaco sui seni mi fece salire le lacrime agli occhi.
“ Non vorrei ucciderti, ma se non accetti le condizioni, sappi che passerai cose ben peggiori …” Strinse la presa, soffocai l’urlo per non dargli la soddisfazione. Ma ormai stavo per crollare a terra.
“ Allora .. cosa decidi?” i suoi occhi mi fulminarono, e le mie lacrime vennero terse dalla sua viscida lingua. I conati si fecero strada in gola.
Non seppi dire altro che un “ Accetto” sommesso e a malincuore. E il pianto si prostrò in una forma disperata appena mi riportarono nella cella.
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 29/12/2011, 15:03




Capitolo 37

Ero stanco. Stanco di quel correre in mezzo alla polvere sollevata da una granata, stanco del sangue di ragazzi partiti per onorare la patria morendo in modo disumano in quell’atrocità.
Stanco di dover ascoltare ogni giorno una voce che mi chiamava a combattere, stanco di aiutare i feriti, stanco di tutto. Non ero fatto per quel posto, ma ci dovevo stare. E questo mi lasciava attonito e sgomento.
Non passava giorno in cui io non dovessi percorrere anche dieci metri, senza dover evitare, con tutta la fortuna mandatami dal cielo, le pallottole volanti, in cui io non dovessi aiutare qualcuno con una gamba ferita a essere trasportato nella tenda ospedaliera. E i giorni e le notti passavano con la tremenda angoscia di non star facendo abbastanza, con l’impressione che niente di tutto ciò fosse veramente valido alla salvezza di uno Stato come la Germania.
C’erano poi i giorni, in cui mi toccava assistere alle morti di miei commilitoni, colpiti gravemente e ansanti al suolo, che nei loro ultimi istanti di vita annaspavano quel poco ossigeno che riuscivano a respirare e invocavano il dio, sorridevano in modo ebete o piangevano scongiurando di non farli morire.
La prima volta che vi assistetti, cercai di serrare il cuore in una morsa di freddo e indifferenza, per non mostrarmi debole agli occhi di chi la morte l’aveva già vista in faccia.
Accalcato a quello pseudo cadavere, in mezzo ai medici di frontiera che aprivano la divisa zuppa di sangue nerastro e fasciavano una ferita che invano si sarebbe coagulata, sentivo le sue implorazioni alla vita come un rantolo lontano, mentre tentavo di bloccare quelle maledette lacrime di compassione, che non tardarono ad esplodere dopo che il cadavere venne coperto da un telo sporco e pieno di polvere.
Certo fu che mi curai di non farmi notare da nessuno, tranne ovviamente Jordan che non tardò a consolarmi:” Doveva succedere … fatti coraggio.”
Per tutte le altre volte in cui successe, non me ne curai più di tanto come per la prima volta, anche se lo stress si faceva sentire sempre.
Passò così una brutta settimana di guerra, fatta di notti insonni e giornate all’insegna della fatica. L’unico lato buono della cosa era che Jordan mi rimase vicino in ogni spedizione, da bravo amico. Quasi come se la fortuna mi stesse dando una mano, mi ritrovavo a compiere le missioni sempre in sua compagnia, e se alla fine scoppiavo in qualche crisi, lui era sempre pronto a darmi un minimo di sostegno, da bravo compare che era.
Ma tutto ciò svanì una pessima notte d’estate. E con il termine svanire, intendevo sottolineare che le circostanze non potrebbero essere state più sfavorevoli.
Io e Jordan, insieme al gruppo di cadetti, eravamo sdraiati nelle brande della tenda 4, il nostro pseudo rifugio, al riparo dagli scoppi notturni.
Io naturalmente cercavo di riposare anche chiudendo semplicemente gli occhi, di sonno non riuscivo a prenderne e per di più dovevo restare almeno lucido nel caso di un avviso fulmineo di guerra.
Una voce che mi fece sussultare. Era rapida e forte, un soldato messaggero:” Rinforzi in trincea! Servono rinforzi in trincea!”
Mi svegliai dal mio stato di dormiveglia:” Cosa è successo?”
“ I nemici hanno bombardato l’ala Nord della trincea. Alcuni soldati sono morti sul colpo! Servono rinforzi immediati, altrimenti potrebbero valicare il confine e attaccare qui.”
Alcuni tra i soldati che dormivano, si misero subito in piedi, pronti a partire; nonostante ciò, notai come le loro gambe tremassero quel poco che bastava a far capire che una situazione di emergenza non è proprio il loro forte.
Feci per alzarmi anch’io, e anche Jordan lo fece insieme a me. Caricammo il fucile in spalla e ci raggruppammo sulla soglia della tenda. Dal piccolo spiraglio notavo come anche nel resto dell’accampamento tutti si fossero mossi.
Con un cenno degli occhi chiamai Jordan, e lui capì all’istante. Uscimmo rapidi dalla tenda, sotto il grido di buona fortuna dei soldati rimasti laggiù come riserva.
Il cielo notturno e costellato di puntini bianchi come spilli da balia veniva arrossato di tanto in tanto da sottospecie di fuochi d’artificio fuligginosi, da barlumi di fuoco e il silenzio veniva squarciato da grida e rantoli, o peggio ancora da fischi assordanti e rombi di bombe cadute al suolo.
Correvamo, io e Jordan, e quei pochi disperati nostri alleati, in mezzo a quell’inferno, lui mi copriva le spalle da eventuali colpi volanti, mentre io spianavo la strada a colpi di fucile, contro i pochi fortunati infiltrati nemici.
“Tenete gli occhi aperti, siamo quasi arrivati!” dovevo mostrare quel coraggio e quella determinazione di chi la guerra se la beve a colazione. Anche se un filino la voce mi tremava, incitai il resto a proseguire correndo in mezzo al nulla, fino a che il gioco di ombre creato dalla trincea si mostrò davanti ai miei occhi.
I rumori attutiti di prima ora scassavano i timpani con fragore incessante, e l’aria mossa da corpi volanti spazzava la polvere roteante, mentre il colpo si schiantava con fragore assurdo.
La trincea si fece viva, in tutta la sua profondità e lunghezza.
Uno dei soldati lì in pattuglia ci vide:” I rinforzi! Presto venite!”
Saltai dentro il fosso facendo attenzione a non farmi male, i sacchi attutirono il mio salto.
Stesi sul resto di sacchi lerci pieni di sabbia, stavano i cecchini e i soldati artiglieri, che con il mirino puntato all’esterno aspettavano le mosse false del nemico. Si potevano benissimo notare i vari rinculi e le urla provenienti da fuori la trincea.
“ Voi …” Il capo di trincea indicò un gruppo di soldati:” Andate a rinforzo della squadra C … voi …” man mano che andava avanti, il soldato indicava a tutti che posizione prendere.
Infine toccò a me e Jordan:” Voi due … vedetta.”
“ Agli ord …”stavo per affermare il mio compito laggiù, quando un urlo belluino invase le mie orecchie in tutta la sua ferocia. Sentii uno sparo, e il tonfo di qualcosa cadere a terra.
Vidi la canna del fucile di Jordan fumare:” L’ho fermato prima che potesse colpirci …” disse, con il fiatone. Io Mi rinvenni da quella sorta di paralisi che mi aveva bloccato i muscoli poco fa, e lo ringraziai.
“ Di niente …” abbassò il fucile, con fare riluttante. Poi, si volse verso il capo:” Desidero andare in ricognizione.” Disse, freddo e deciso.
E senza neanche aspettare una mia protesta o un cenno del capo, saltò su e sparì fulmineo, tra i rombi di fucile e i rossori del cielo.
Attonito non mossi un muscolo. Quella notte non tornò dalla ricognizione.

La piccola Miriam e suo fratello Franz ci condussero verso una radura coperta da altissime spighe di grano, come il campo di prima. Stavolta però il terreno sembrava più solido, o perlomeno non risultava fangoso come prima in prossimità della palude.
Avanzavo dietro la piccola, mentre John teneva il piccolino, che aveva smesso di piangere a causa del ruzzolone di prima. Poi la vidi fermarsi e abbassarsi per terra, e sentii un suono metallico piuttosto attutito.
Restai ferma a guardare, mentre lei tornò poco poco indietro dal luogo in cui aveva “ bussato”, e vidi che tra le spighe qualcosa si muoveva, come se il terreno si stesse aprendo.
“ Miriam!” sentii una voce di donna, dal tono sorpreso. Non sembrava per niente tranquilla:” “ quante volte ti ho detto di non lasciare il rifugio senza il mio permesso!”
“ Scusa! È che Franz voleva uscire e quindi … ma poi ha disobbedito!” disse lei, protestando contro il rimprovero della donna, che dall’aspetto poteva benissimo essere scambiata per la madre; i suoi capelli ebano e gli occhi di un nocciola quasi dorato mi fecero supporre che in qualche modo le due fossero imparentate. La donna non tardò a vedermi e a rimanere un po’ scettica:” E … chi sono loro due?” chiese spaventata dalla nostra presenza.
A quel punto avanzai e le dissi gentilmente il mio nome e quello del mio compagno:” Come voi, siamo fuggiaschi. Vi dispiacerebbe accoglierci per un breve lasso di tempo? Sa, siamo dovuti fuggire da dove eravamo rintanati, e le guardie mi cercano dappertutto. Prometto che, se mai dovessero venire fin qui, mi assumerò la responsabilità di garantire, almeno per voi, la salvezza.”
La donna mi squadrò attentamente con espressione seria, poi parve raddolcirsi:” Dovrei chiedere a mio marito .. è lui che decide per tutti.” Disse:” Scendo un attimo … torno subito! Miriam! Tu e Franz scendete immediatamente!” disse rivolta alla figlia. Poi sparì sotto il coperchio della botola.
Rimasi un po’ delusa da quella reazione; non che io pretendessi che ci accettassero, ma il suo essere vago mi aveva sorpresa. Non potevo fare altro che aspettare.
Miriam si voltò verso di me, prima di scendere:” Sei preoccupata?”
“ Un po’ …” sorrisi mestamente alla piccola.
“ Non fare quella faccia, sono sicura che la mamma sarà d’accordo! Oh eccola di ritorno!”
Dopo un po’ spuntò per davvero sua madre. Aveva un’ espressione indecifrabile sul volto.
“ Seguitemi.” Disse con tono abbastanza rassicurante. Scese giù per la botola e io, con il cuore sollevato, la seguii insieme a John e al piccolo Franz.
Arrivati in fondo, non avrei potuto immaginare mai come fosse ben organizzato l’interno di quel complesso di stanze sotterranee che costituiva il rifugio; era un unione di gallerie che collegavano tra loro stanze, piccole e grandi, organizzate agli usi più disperati: Magazzino, dispensa, sala riunioni e luogo d’incontro. Tutto stipato sotto il suolo e in uno spazio in cui possono viverci bene solo poche persone.
La donna ci condusse nella sala riunioni, dove in consiglio erano riuniti gli uomini della compagnia. Erano in tre; un uomo anziano, con una barba bianca e ispida, due occhietti nocciola infossati in una faccia grassoccia e tutta rugosa, camicia sbottonata sul petto che faceva intravedere la peluria bianca, stivali da lavoro e pantaloni a bretelle color marrone sbiadito, Un giovane dai capelli ebano e dagli occhi castano scuro, con una camicia stinta di celestino e pantaloni in stracci e un uomo poco più grande di lui, simile per aspetto fisico e abbigliamento, distinguibile a partire dalla barba incolta ma non troppo folta che gli incorniciava il viso.
Tutti e tre discutevano animatamente, e quando la donna li chiamò, stentarono a voltarsi, finché il vecchio non ci notò:” Buongiorno.” Disse con tono indifferente. Anche tutti gli altri si voltarono, ponendo i loro occhi su di me e John.
“ Buongiorno a voi …” salutai debolmente con un inchino, e John fece lo stesso dopo aver messo a terra il piccolo Franz:” Scusate il disturbo.”
“ Non preoccuparti, qui siamo in pochi, due o tre persone in più non recano alcun fastidio.” Fece l’uomo più giovane, sorridendomi.
“ Loro sono Deborah e John, sono fuggiaschi come noi e sono appena scappati dal loro rifugio stanotte ..” intervenne la donna per presentarci;” Io sono Anna.” Si presentò anche lei nello stesso momento, e poi indicando gli uomini di famiglia:” Mio padre Joseph, mio marito Jim e mio cognato Albert.” Indicando rispettivamente il vecchio, l’uomo con la barba e infine quello più giovane di tutti.
“ Molto piacere …” dissi, un po’ imbarazzata.
“ Avete intenzione di fermarvi a lungo e siete solo di passaggio?” ci chiese Jim.
“ In verità ci vogliamo trattenere solo lo stretto necessario, giusto per sviare la pista delle ricerche … poi leveremo le tende, promettiamo.”
“ Ma non dovete preoccuparvi!” esclamò Anna affabile:” Finora qui non ci ha scoperto nessuno, quindi potete stare tranquilli. E poi … quattro mani in più per le faccende ci farebbero davvero comodo!”
“ Oh …” ero esterrefatta dalla gentilezza della donna, ma non volevo approfittarne troppo:” Sul serio, non si disturbi più di tanto …”
John intervenne per darmi man forte:” Io e la mia amica vorremmo essere solo d’aiuto non di disturbo. Dato che siamo ricercati, semmai ci sarà l’eventualità che le guardie ci scoprano, noi due scapperemo all’instante, esponendoci al pericolo e senza farvi correre nessun rischio.”
Gli uomini sembravano ascoltare attentamente ciò che dicevamo, e stettero in silenzio fino alla fine. Solo dopo Joseph si alzò e ci venne incontro:” Siete dei bravi ragazzi a quanto vedo. E sia, potete rimanere. Se poi sarete in pericolo, non esitate a chiedere il nostro aiuto.” Alzò improvvisamente il dito appena mi vide aprir bocca per ribattere:” Niente storie, siete i benvenuti.”
Miriam mi abbracciò le gambe felice, e dopo saltellò dalla gioia come una lepre.
Le lacrime fecero capolino dai miei occhi:” Grazie infinite.”
Anna mi batté lievemente la mano sulla spalla:” E adesso … da quant’è che non vi lavate voi due?”
“ Lavarci? … non saprei … tre giorni forse …”
“ Si sente … su! Dritta a fare il bagno!” fece in tono entusiastico. Io divenni rossa dall’imbarazzo e respinsi un’offerta tanto generosa, scuotendo la mani come per rifiutare:” Non si deve disturbare, io sto bene!”
“ Non diciamo sciocchezze!” mi tirò per il braccio, e mi porse un asciugamano pulito:” Tieni questo, ti preparo la tinozza dell’acqua calda …”
“ Qui c’è acqua calda?”
“ Diciamo che la rubiamo da una delle tubature che scorre qui sopra … prima abitavamo nello stabilimento qui sopra, ma poi ci siamo dovuti trasferire quaggiù …. E ci siamo arrangiati come meglio potevamo. Ora vieni con me, e vedi di rilassarti!”
Non dissi niente, troppo sorpresa da tutta quell’ondata di buon’umore. Mi limitai a sorriderle e a godermi il bagno che mi preparò.

“ Mi dispiace così tanto … mi sono lasciata prendere dallo spavento …” i singhiozzi mi mozzavano il respiro in gola, mentre ero inginocchiata come una dannata davanti a Menuchin, che mi accarezzava la schiena benevolo. Ero pentita di aver accettato quel gioco sporco, ma la paura aveva vinto su di me .. come potevo dover collaborare con quei bastardi affinché la mia migliore amica venisse presa? Avrei voluto spararmi e farla finita, e nonostante tutto, Menuchin non esitava a consolarmi.
“ La paura governa l’anima, è da quel sentimento che il resto scaturisce … non hai nessuna colpa.” Mi sussurrava con voce pacata e tranquilla, a mi avvolse le spalle con il braccio, stringendomi a sé.
Con un movimento ondulatorio del corpo, mi cullò come un bravo genitore:” Era così che riuscivo a calmare la mia piccola quando piangeva a dirotto. E non vedo il motivo per cui non dovrebbe funzionare con te. Calmati adesso …” Mi accarezzò la testa delicatamente, mentre io continuavo a piangere sul suo petto, stringendomi alla sua divisa da carcere e bagnandola con le mie lacrime di penitenza.
“ Cosa posso fare? Cosa?” piagnucolavo come una bambina, tutto ciò era dovuto al fatto che doveva per forza tradire la fiducia di una persona a me cara, e di conseguenza tradire quella di mio fratello.
“ La pazienza è la virtù dei forti … resisti ai soprusi, la luce ti illuminerà il cammino da percorrere per arrivare alla meta.” Parlava come un predicatore, e non detestavo il suo modo di fare. Un po’ riuscì a consolarmi.
“ Siete troppo buono con me.”
“ Lo faccio per il tuo bene, Elly … sei una ragazza forte, e se mia figlia ha risposto la sua vita nelle tua mani, non esitare mai … la fiducia si dona, non si ottiene come qualsiasi altra cosa.”
“ …” non avevo parole per esprimere ciò che avevo dentro, ma solo lacrime per colmare il pozzo che giaceva in fondo al mio cuore.
Piansi fino alla stanchezza, fino a non ne poterne più.
Cosa potevo fare per poter scampare all’infatuo destino? Solo il sonno, forse, mi avrebbe potuto consigliare.
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 13/1/2012, 19:14




Capitolo 38

Jordan era sparito all’improvviso. Morto? Solo lui poteva saperlo.
Disperso? Probabile. Ciò che ritenevo perlomeno sicuro era che io mi sentivo abbandonato, in un certo senso; la sua reazione dopo quello sparo e la sua decisione fulminea avevano lasciato in me così tante domande, ancora irrisolte, che la maggior parte mi deconcentravano sulla missione che dovevo compiere. Perciò dovevo fare in modo di archiviare quelle angustie in un angolo sperduto della mia testa, e continuare a combattere. Con o senza Jordan.
Appena sparì, mi voltai verso il capo, in preda al panico:”Perché non ha intenzione di fermarlo? È una pazzia!”
“ è una sua volontà … dovremo rispettarla, credo ..” fece quello, con aria un po’ pensierosa. Non proferii altra parola e mi limitai a fissare il punto in cui prima Jordan stazionava e che ora era riempito solo da una qualche presenza impercettibile.
“ Ma perché lo ha fatto?” pensai:” Non aveva ragione di commettere tale pazzia … e dire che pensavo di conoscerlo per bene …” non riuscivo a capacitarmi tanto della sua andata, e questo mi dilaniava il cuore, già sofferente e livido da un sacco di tempo.
Ma decisi, dopo minuti e minuti di silenzio, di interrompere quel tribolarmi :” Vado anch’io in ricognizione ..” dissi, d’un fiato.
Feci per scavalcare la trincea, ma la mano del comandante afferrò il mio polso:” Non essere avventato! Servono rinforzi qui, se ne muore un altro, addio possibilità di contrastare il nemico, capisci? Resta giù e fai da vedetta … vado a vedere come se la cava la squadra di soccorso.” E lui si dileguò lasciandomi con un palmo di naso in una delusione abnorme.
Cosa potevo fare messo lì, disteso su un sacco e puntando un fucile alla cieca di fuori? Non avrei risolto davvero niente, di questo passo.
Comunque, decisi di obbedire a quell’ordine davvero assurdo. Mi stesi su un sacco lì vicino accanto a un altro ragazzo, e misi l’imboccatura del fucile proprio al di fuori della trincea, di modo da sparare chiunque avesse osato saltare oltre il buco.
Il ragazzo che mi stava accanto mi osservò curioso:” prima volta?” chiese, a bruciapelo, dopo aver scaricato un colpo.
I suoi occhi grigi verdi mi guardarono curiosi, mentre il casco non riusciva ad appiattire bene le sue orecchie leggermente a sventola.
Annuii senza aver capito bene la domanda,tanto per dargli soddisfazione, e lui continuò a conversare, stavolta alzando per bene la voce:” Piacere, Dimitri. Da quanto sei in servizio?”
“ Appena una settimana o due ..” risposi io, assordato da una scarica di proiettili proveniente da sopra noi.
“ Io da due anni … sempre la stessa minestra. Secondo te finirà mai quest’assurdità?” mi chiese, con voce speranzosa.
“ Lo spero!” dissi io, tentando di conversarci tranquillamente.
Ad un tratto, sentii la terra cadermi sul naso. Qualche granellino, e lo spostamento di una minuscola quantità di terreno che mi fecero strabuzzare gli occhi. Anche se la polvere entrò nei miei occhi, capii d’istinto cosa fosse successo. Troppo tardi.
Un’ombra mi sovrastò, e appena alzai la testa con il fucile in mano, scaricai un colpo verso l’alto mentre qualcosa di nero oltrepassava il valico.
Sentii un urlo e vidi gocce di sangue bagnare la terra.
“ Preso!” urlai, alzandomi di scatto.
Dimitri mi afferrò per il braccio e mi riabbassò:” Non essere idiota! Sta giù!”
Mollai la sua presa dal braccio in tempo per re impugnare il fucile e scaricare un colpo dritto a quello che sembrava un soldato nemico. L’uomo venne colto di sorpresa, e cadde bocconi, rovesciando il suo cadavere nella trincea.
Gli altri soldati guardarono allibiti il mio creato.
“ Sei stato formidabile .. dove hai imparato?” mi disse uno, avvicinandosi a me.
“ Non lo so …” dissi io, leggermente spaesato e confuso da ciò che avevo appena fatto. Non osai avvicinarmi per vedere il suo volto, nascosto dal terreno e sporco di polvere. Il sangue aveva tinto la terra nerastra di un manto oscuro e l’odore di polvere da sparo stagnò nell’aria.
“ Grazie ..” disse Dimitri. Lo guardai e sorrisi appena:” Bene. Ci penseremo dopo a quello lì … torniamo in posizione!”
Mi rimisi automaticamente disteso, ma una seconda ombra ci passò sopra.
“ maledizione …” stavolta non fui abbastanza veloce. Il colpo sparato da quel militare andrò dritto a colpire uno dei soldati che mi stava accanto, mandandolo all’altro mondo. Tentai di caricare il colpo, ma quello lo schivò prontamente e fuggì velocemente dalla parte degli accampamenti.
Intruso. Qualcuno lo doveva fermare!
Altrimenti tutti gli altri sarebbero stati spacciati.
“ Io vado a fermarlo! Voi restate qui va bene?” presi la rincorsa, e con un salto che nemmeno io sapevo di poter fare, raggiunsi il bordo della trincea e mi ci aggrappai, scavalcandola.
Uno dei soldati fece lo stesso:” Ti copro le spalle!”
Annuii deciso verso di lui, e appena fui in piedi, localizzai il fuggiasco correre a perdifiato dalla parte in cui ero giunto con Jordan.
Mi misi a correre, senza pensare che avrei potuto tranquillamente sparargli per poterlo fermare. La mia mira era buona, dopotutto. Ma qualcosa dentro mi suggeriva di doverlo raggiungere. Non sapevo cosa fosse, ma l’ascoltai.
Il soldato continuava a correre, e io dietro a lui, e il compagno che mi copriva le spalle, con grande precisione e tempismo, riusciva a indicarmi i modi di schivare i colpi volanti.
Poi, vidi il soldato nemico fermarsi. Non si girò dalla mia parte, ma sparò verso la mia destra. Sentii un lamento, ma non lasciai andare via l’occasione che avevo sotto mano. E con un colpo secco, quello cadde a terra, sollevando una leggere nuvola di polvere.
“ Vado a vedere a chi ha sparato! Tu torna indietro!” urlai a quello dietro di me, dirigendomi verso la direzione dell’urlo di prima. Già da lontano, vidi il gruppo di soldati accalcati sul corpo del soldato. Mi avvicinai … e capì la voce che mi aveva urlato di seguire il nemico: steso per terra, con una piccola ma grave ferita in mezzo al petto, dallo sguardo offuscato e gli occhi in lacrime, stava quel qualcuno che nella parte più perversa di me stesso desideravo vedere morto da sempre. Il francese Xavier stava morendo davanti ai miei occhi.
E, nonostante tutto, non ne sembravo entusiasta.
Il mio peggior nemico di quegli ultimi mesi, o meglio dire settimane, giaceva, davanti ai miei occhi, con il sangue che colava dalla bocca e una schiera di soldati che tentava di rianimarlo o perlomeno di guarire invano la ferita, che sicuramente aveva colpito il cuore in pieno. Lui sembrava non rendersi conto che c’ero anch’io ad osservarlo, e continuava a tendere le braccia verso il cielo, a stringere il pugno tremante di fatica per raccogliere chissà quale ultima speranza di vita che risiedeva in una angolo non raggiungibile dentro di sé.
E poi, tutto accadde in fretta; i suoi occhi si chiusero, il suo respiro velocizzato si tramutò in un rantolo soffocato per poi finire con un leggero sospiro, e la mano cadde pesantemente a terra. Morto.
“ Troppo tardi …” fece uno dei soldati. Gli altri non replicarono,e a passo lento si allontanarono, forse per prendere la barella. Di certo, una degna sepoltura sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Io rimasi ad osservarlo ancora per lungo tempo. I suoi occhi erano semiaperti ancora e la bocca era spalancata e disgustosamente ricoperta del suo sangue.
In quel momento, forse, mandai al diavolo tutte le cattiverie che Deborah e io avevamo dovuto subire a causa sua. Per come lo vedevo io, ora era un semplice essere umano, morto in battaglia. Mi chinai su di lei, e senza fiatare posai la mia mano sulla mia bocca chiudendola, e la stessa cosa feci per le sue palpebre, chiudendole per sempre.
Un veloce segno della croce bastò a completare tutto.
Il resto dei soldati accorse dopo un po’ di tempo, con la barella e il resto dell’attrezzatura. Non si curò minimamente della mia presenza, e io non mi curai di loro. Riguardai il cadavere di Xavier per un’ultima volta, e con una corsa spedita, tornai dal mio compagno, che notai in piedi a pochi metri da me.
“ Sai chi è morto?” mi chiese appena arrivai.
“ Uno come noi … niente di che …” dissi, senza aggiungere altro. Il gelo ritornò a soffiare dentro di me. Un gelo austero, ausilio per l’opera che dovevo continuare a compiere se volevo sopravvivere.

Che stanchezza. Un continuo andirivieni tra ghetti, case abbandonate e covi segreti che mi portavano a scoprire gli orrori a cui erano soggetti gli Ebrei.
Molte famiglie che venivano denudate del loro orgoglio, portate via a calci e minacce, caricate su furgoni lerci, sguardi spenti e senza repliche. Sangue, nei peggiori casi. Sangue che scorreva da gradinate di pietra, su lastre di pavimento sporco, o sulla polvere cittadina.
Mattanze, spari alla cieca o volontari. E io vi assistevo, inerme, avendo il compito ingrato di identificare colei che non avrei voluto mai incontrare. Per il suo bene, ovvio.
Ogni volta che la pattuglia catturava qualche ragazza mora dagli occhi scuri, puntualmente venivo chiamata in causa. Io la guardavo, e scuotevo la testa. Non è lei, con un filo di voce. E la poveretta mi guardava con occhi supplicanti, prima di scomparire dentro il furgone, diretta in un viaggio senza ritorno.
La mia spudorata sincerità faceva imbestialire i soldati con cui viaggiavo, che mi guardavano torvi dopo ogni interrogatorio con le ragazze. Come se io facessi apposta a negare chi era Deborah. Come se loro volessero davvero condannare chiunque le somigliasse.
Tanto avrebbero fatto lo stesso un’orrida fine.
E questo continuò per diverso tempo, e io resistevo, cercando di tenermi a stento in piedi con l’anima nel tentativo di non cedere alla pazzia e di morire con qualche buco nel cervello. Perché, vedere tutta quella morte, quella desolazione riflessa negli occhi di povera gente avrebbe fatto andare fuori di testa chiunque.
Viaggio dopo viaggio, notte dopo notte in cui, come pena per la mia involontaria negligenza, subivo le avances e le molestie del sudicio uomo dell’interrogatorio, Schodinger.
Ogni notte sentivo le sue mani, la sua orribile voce e i suoi insulti, e i lividi sulla gambe non guarivano. Non si prolungava oltre, per non ricadere in qualche pasticcio, ma non si risparmiava in quel che faceva. E io sopportavo, pensando a John, a quando lo avrei di nuovo incontrato. A quando tutto questo, forse, sarebbe finito.
E giunse un giorno in cui pensai che l’incubo che stavo vivendo stesse per finire, una volta per tutte.
Fu due settimane dopo la mia fuga, o forse tre. Fatto sta che fu una notte afosa e ricca di tensione nell’aria.
Successe in un campo di grano selvatico. Un campo che conoscevo, avendolo visto di sfuggita dalla finestra di casa Mendel.
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 22/1/2012, 14:55




Capitolo 39

Prima di allora, non avrei mai pensato che vivere sotto terra fosse agevole quanto vivere in superficie. Il cibo non mancava, l’aria c’era grazie alle tubature e anche l’acqua, quella necessaria a ogni giorno. E la compagnia era tra le più piacevoli.
Forse, il periodo in cui rimasi con la nuova famiglia, dopo l’attacco della notte a casa Mendel, fu tra i più tranquilli. La famiglia aveva per caso trovato quel rifugio, e ci aveva costruito sopra. E astutamente vi si era rifugiato appena constatato che la superficie era un campo aperto a pericoli e morte.
Una famiglia a sé stante, autosufficiente e tranquilla. Una tranquillità talmente contagiosa che mi fece dimenticare, sin dai primi giorni, tutti i pesi che avevo accumulato sul cuore sino al quel momento.
Naturalmente, il filo di tensione che mi teneva unita alle anime e ai destini di Elly e Max era ancora teso e rischiava, ogni giorno, di spezzarsi e di perdersi con un minimo soffio di vento. Ma non potendo fare altro che aspettare, dovevo solo pregare, pregare il mio Dio affinché li proteggesse, affinché anche loro ritrovassero un po’ di pace, finché non sarebbe giunto il momento di poterci riunire.
John e io avevamo fatto amicizia con Miriam, il piccolo Franz che adorava giocherellare trottando sulle ginocchia di John che non doveva più usufruire del vincolo delle gambe sulla sedia a rotelle, la dolce Anna e i tre membri maschi Joseph, Jim e Albert. Joseph, pacatissimo, mi raccontò ogni singolo istante della sua storia, e ogni volta io ascoltavo assorta e osservando la sua postura eretta che gli conferiva la fierezza degna della sua età. Jim e Albert avevano socializzato in fretta con John, e ora invece che due fratelli, pare che anche il tedesco si fosse unito alla combriccola di uomini di casa. La piccola Miriam adorava farsi spazzolare i capelli ogni sera, e io stavo a quel dolce gioco infantile e che farebbe sentire ogni donna una principessa, nel suo io interiore.
E io riuscii, per tutto quel periodo, a dormire serenamente la notte. A non essere in ansia per niente che non fosse guerra o distruzione. A alzarmi la mattina, e toccandomi le palpebre, constatare di non aver versato una lacrima nel sonno.
Nonostante tutto questo, la mancanza della mia compagnia, di quella che fino a quel momento mi era sempre stata accanto, si faceva sentire. Nelle profondità ma era sempre lì, vigile.
Elly era rimasta con me sino all’ultimo fino a quel fatidico giorno, e il suo distacco da me e da John, con cui ormai lei aveva condiviso parte del suo cuore, mi aveva creato un vuoto dentro, pari a quello della brutta separazione che dovetti accettare da Max.
La speranza che lui fosse sempre vivo mi accompagnava, tristemente. E non si affievoliva.
La voglia di poterli riabbracciare c’era, e come se c’era! Sapevo solo che volevo, anzi dovevo, aspettare. Anche dieci anni, ma non potevo fare altro.
Eppure, durante i primi giorni in cui rimasi laggiù, sentii nel cuore come un presentimento. Era un striscia sottile, ma visibile, di qualcosa che sarebbe accaduto prima o poi. Non riuscivo a capire se buono o cattivo, ma talmente potente da farmi aprire gli occhi di notte, senza aver avuto nessun effettivo incubo. Come se il destino mi stesse dicendo che qualcosa stava per dare una svolta al tutto.
E quel presentimento si evolse in un incontro, che io sperai con tutto il cuore. Il come però mi turbò più di quanto non fossi già preoccupata io stessa.
Accadde circa otto o nove giorni dopo che rimasi nel bunker, e tutto iniziò dal rumore metallico della botola che si apriva con notevole fragore.
Quella sera ero seduta nella sala principale. Tenevo la piccola Miriam sulla ginocchia, e lei giocherellava con il mio ciondolo, mentre Anna mi cambiava le fasce della ferita al braccio. Franz dormiva in braccio a suo padre Jim, Joseph e Albert conversavano. John era uscito poco prima in superficie, cosa che gli uomini facevano ogni sera, come guardie.
Di solito mi metteva ansia quell’atteggiamento, ma alla fin fine evitava che gli intrusi facessero irruzione come volevano.
Sentimmo il rumore della botola.
“ John deve aver finito …” pensai, poggiando Miriam a terra e incamminandomi verso il punto in cui cadeva la scala per la superficie. Miriam mi seguì, tenendosi alla gonna del mio abito azzurro.
Arrivai lì, e guardai in su: “ John!” chiamai a gran voce. Ma non sentii fiato.
Anzi, al posto di una risposta vocale, mi sentii tirare il braccio sinistro con violenza e una mano callosa premuta contro la mia bocca, nel tentativo di bloccare il mio urlo.
Miriam spalancò gli occhi vedendomi stizzita divincolarmi cercando di liberarmi dal mio presunto aggressore. Con la testa la intimai ad andare a chiamare gli altri, prima che una forza superiore alla mia mi trascinasse nel tunnel, mentre dondolavo appoggiata a un corpo di massa muscolare a dir poco potente. Mi ritrovai poco dopo in superficie, alla luce delle stelle e della luna. Una spinta mi costrinse a camminare avanti a me, e non osai chinare la testa all’indietro appena qualcosa di piccolo, rotondo e freddo mi punse la nuca.
Arma. Guardie. Scoperta. Avrei voluto bestemmiare, ma mi trattenni.
“ Dritta e non fare storie.” Mi intimò una voce fredda e austera. Deglutii e obbedii stranamente al comando di avanzare.
I miei piedi calpestavano la terra secca, mentre le sterpaglie seguivano il fruscio dei miei passi e gli occhi cercavano John, un suo cenno, qualcosa che mi indicasse dove si fosse cacciato.
L’uomo mi condusse in un furgone delle SS, dalle gomme sporche di fango e e tutto sporco di polvere e luridume. Sicuramente non lo pulivano da giorni. Aprì lo sportello di dietro e mi ficco dentro con forza, per poi chiudere la porta dietro di me, senza fiatare. Sbattei violentemente le ginocchia sul pavimento del retro e alzai la testa per vedere se fossi in compagnia o sola, anche se il pensiero di essere stata catturata non allettava tantissimo. Comunque, non ero sola. Anzi … potevo considerare le mie speranze di ritrovare i miei amici compiuta per metà.
La giovane Elly, o sembrava lei dall’aspetto, mi fissava, con un’espressione vuota e mista tra lo stupore e lo spavento.
Non fiatai, consapevole della sorpresa della ragazza, ma mi misi a sedere per bene, e lei alzò la testa ancora di più, togliendosi dalla posizione accovacciata sul sedile di prima e poggiando i piedi per terra.
La finestrella che collegava il retro al posto del guidatore si aprì, facendo intravedere gli occhi di chi mi aveva aggredito poco prima:” Fai come sai.” Disse, per poi chiudere il tutto velocemente.
Io mi voltai verso Elly, che non parlò né emise parola alcuna per un bel po’, continuando a fissarmi.
Era come un gioco di sguardi, chi cedeva per prima perdeva . Ma quel gioco stava diventando sempre più opprimente. Più per me che per lei, forse.

Non potevo crederci. Le parole mi si erano bloccate in gola, coscienti che se fossero uscite, il danno sarebbe stato irreparabile.
Deborah era davanti a me,, la potevo riconoscere nonostante l’abbigliamento diverso. I suoi inconfondibili occhi neri e profondi, ereditati dal padre tanto buono con me. E i suoi capelli color ebano, che riflettevano le stelle nelle loro ciocche. La mia coraggiosa e bellissima amica, davanti ai miei occhi, sicuramente più confusa della sottoscritta.
Se avessi spicciato parola e avessi detto la verità, la gioia che provavo mista alla tensione avrebbe lasciato posto al rancore, al tradimento e alla frustrazione, e inoltre dovermi solo immaginare il possibile sguardo vendicativo di Deborah mi faceva tremare.
” Fai come sai.” Le solite tre parole che mi dicevano prima di ogni interrogatorio. Era incredibile il fiuto di quelle guardie nel trovare posti dove ci fossero fanciulle brune e ebree, peggio dei cani poliziotto.
Sapevo cosa dovevo fare. Una domanda, qualche scuotimento di capo, e se la fortuna voleva, dovevo pronunciare quella frase :” non è lei.”
Ma stavolta … come avrei potuto fare per poterla salvare? Di certo, quello si era accorto di qualche mia reazione involontaria nell’aver visto Deborah. Doveva essersi accorto del mio, anche se debole, sussulto.
Se avessi mentito, sarebbe stata portata via, destino di ogni ebreo. Se avessi detto la verità … sarebbe morta. Di questo ne ero sicura.
E io? Avrei ricevuto chissà quale onorificenza, chissà cosa per aver tradito la sua fiducia. Inaccettabile.
Lottavo con il mio io interiore per farmi dire quel diavolo di risposta esatta che avrei dovuto pronunciare per assicurare qualcosa in più a lei.
Bugia: Io viva e ancora in cerca di qualcosa di già trovato, lei forse morta.
Verità: Io viva di sicuro, lei morta per certo.
E questo mi diede ragione, solo dopo un gioco di sguardi infinito, che la menzogna era l’unica via di vera salvezza.
Dopo forse dieci minuti di sguardi sostenuti, aprii le labbra in un soffio:” Non è lei.”
Lei mi guardò esterrefatta, sbarrando gli occhi sorpresi. Le ricambiai lo sguardo, con un misto di incitazione e scappare adesso, o mai più.
Invece, successe l’inaspettato. Lei, non seppi mai come, capì. Capì la situazione, capì tutto anche nel più profondo silenzio. Sentì le mie urla disperate anche nel totale buio di suono di quel furgone.
Appena la finestrella del furgone si aprì, lei si alzò in piedi:” Sono io 15674.”
Persi un battito.

Non potei fare finta di niente. Come sempre, capii tutto della tattica di Elly, e mi avvidi che il suo altruismo per me era sin troppo eccessivo.
Sapeva benissimo che ero io, la sua Deborah. Eppure, aveva fatto finta di niente.
Per me, per evitare che venissi catturata. Anche se,dopotutto sarei stata catturata lo stesso, in fondo.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo:” Sono io 15674.”
L’odiato numero pronunciato con decisione. Gli occhi dalla finestrella di prima ridursi a fessure. Quelli di Elly spalancarsi e perdersi nel bianco delle orbite allucinate. Il baluginio di una lacrima scappata.
Il mio cuore iniziò a battere forte, mentre vidi la finestrella chiudersi, e Elly alzarsi all’improvviso:” Cosa …”
“ Non pensare a me.” Le dissi, dolcemente. L’unica cosa che fece fu accasciarsi alle mie ginocchia, in preda ai singhiozzi. Mi afferrò le caviglie:” Ritira quella stupidaggine … non farlo!”
“ Elly …” sussurrai, chinandomi su di lei e accarezzandogli la spalla. Mi commuovevo davanti alla sua debolezza di spirito, di fronte alla sua voglia di giustizia e al suo altruismo.
Sentii il cigolio dello sportello, e mi voltai per vedere in faccia il mio destino.
Il nome di quel destino? Mark. Anzi, Mark e John.
Strano a dirsi, l’ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare, ossia l’autista che ci aveva aiutato la notte dell’evasione dal capo, fece capolino, nel suo aspetto da brav’uomo:” Sera, fanciulle.” Disse, con tono pacato.
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 8/3/2012, 17:44




vabbè, tanto lo so che non me lo caga nessuno ... ma dato che non posso lasciarlo così' ... in sospeso ...

Capitolo 40

“ Ora voi ci spiegate per filo e per segno cosa diavolo è successo!” fu la mia delicata reazione nel vedere i corpi tramortiti delle SS lasciati per terra. Ancora non potevo crederci che un attimo prima la mia vita era appesa a un filo, o per meglio dire alla decisione della mia migliore amica, e che adesso io, John e Elly che si erano finalmente ricongiunti dopo tanto tempo e tutta la famiglia con il quale avevamo soggiornato io e John e Mark, l’autista, stessimo davanti a un fuoco acceso e scoppiettante, ad ammirare le stelle e a tirare sospiri di sollievo.
“ Calma … è una storia lunga e tutte le storie lunghe hanno bisogno di tempo.” Rispose Mark, con un fare che a mio parere era snervante nei confronti del mio cuore, che ancora non aveva cessato di battere rapidamente dalla sorpresa.
“ Sono tutta orecchi …” dissi, senza trattenere l’agitazione.
Ero ancora tramortita da tutto quello che era successo nel giro di nemmeno dieci minuti: Vedere Mark e John affacciarsi al furgone, Elly saltare letteralmente addosso a John dalla contentezza, essere travolta dalla famiglia di Miriam e essere stretta da Anna in lacrime, accorgersi che i soldati erano per terra, senza sensi e accorgersi che John aveva una ferita al braccio; la miscela di tutti questi elementi messi insieme aveva scosso profondamente il mio animo. Dal terrore al sollievo in un batter d’occhio. Pensai immediatamente che se avessi raccontato questo ai posteri, di certo mi avrebbero preso per pazza.
Comunque, mi era ancora ignara la ragione per cui tutto si era risolto così velocemente, dunque stetti ad ascoltare ogni singola parola che usci dalla bocca di Mark:” Da dove posso cominciare … ricordi la notte in cui tu e Elly, insieme a Max, fuggiste dal campo? Io vi accompagnai dai Mendel, di cui mi avvedo è sopravvissuto solo John …” guardò per un attimo il ragazzo, che abbassò lo sguardo, rifugiandosi sulla spalla di Elly, a cui stava abbracciato:” Anche se naturalmente, non sappiamo che fine abbiano fatto veramente i signori Mendel … Ma non vaneggiamo!” come per scacciare le parole appena dette, Mark agitò la mano davanti al viso, e poi riabbassò la postura, appoggiando le braccia sulle gambe piegate: “ Pochi giorni dopo, mentre passavo in città, un uomo mi chiese dove si trovasse la residenza dei Mendel.”
Sollevai lo sguardo verso di lui con fare dubbioso. Lui incrociò i miei occhi e ricambiò come per tranquillizzarmi: “ Calma, Deborah. Non era un soldato, bensì il dottore che ti curò, da quello che mi riferirono. Dopo avergli indicato la strada, lo seguii in gran segreto e da uno dei dottori seppi della tua malattia, e che infine guaristi. Ma mi accorsi di una cosa che mi diede modo di agire fino ad arrivare qui ..”
Prese un sospiro, e soffiando via l’aria che aveva accumulato, continuò a raccontare: “ Uno dei dottori venuti per l’operazione mi sembrò sospetto … gli feci alcune domande sotto minaccia, e lui mi rivelò la sua natura di spia. Doveva aver saputo in gran segreto che vi trovavate laggiù.”
Elly trattenne un grido di disgusto, John la strinse di più a sé. Anche Miriam e i suoi familiari stettero in ascolto con il fiato sospeso:” Purtroppo, non riuscii ad evitare ciò che si cela tra le canne poco distanti da qui …” disse riluttante, e anch’io rabbrividii. Al sol pensiero di un corpo in putrefazione che, sicuramente, adesso marciva sul fondo della palude lì vicino, mi sarebbero saliti conati irrefrenabili di vomito. Ricordai con terrore i vestiti bagnati di sangue, e la paura dentro i miei occhi.
“ Poi cosa successe?” lo incitai a continuare, per scacciare il pensiero del cadavere dalla mia mente.
“ Sapendo che vi avevano scoperte, decisi di infiltrarmi. Era l’unico modo per poter sapere dove vi avrebbero portato, per poi poter agire al momento opportuno. Elly …” Si volse verso la ragazza:” Ti sei mai accorta di me?”
“ In che senso?” fece lei, un po’ confusa.
“ Ricordi che durante i viaggi da un ghetto all’altro, c’era sempre lo stesso autista?” domandò lui, con fare misterioso.
Le si illuminarono gli occhi dalla sorpresa:” Non ci avevo mai fatto caso fino ad oggi … era sempre un tizio taciturno, con il berretto ficcato in testa e gli occhi non riuscivo mai a vederglieli ...” Interruppe il suo flusso di pensieri per poi girarsi verso l’autista. Gli osservò le mani; tenevano strette lo stesso berretto che aveva visto indosso all’autista:” Non dirmi che …”
“ Ho dovuto usare un travestimento per fare in modo che tu non mi vedessi né sospettassi chi fossi ..” disse lui, sorridendo:” anche se le SS non sospettavano per niente di me, non dovevo dar l’impressione di conoscere la prigioniera 65.” Concluse, sospirando.
Tutta quella parte di racconto mi aveva tolto tantissime domande dalla testa. Ma restava una cosa da chiarire; cosa era successo durante il breve colloquio con Elly dentro il furgone?
“ Fino a qui mi è tutto chiaro … ora però puoi dirmi cosa è successo pochi minuti fa? E com’è che John si ritrova con un braccio ferito?” dissi io, spronando il caro Mark a finire la storia, mentre Anna si apprestò a curare la ferita di John. Non era niente di grave, ma per evitare rischi infettivi, meglio agire in quel momento.
“ Come ho già detto, mi ritrovai a fare l’autista delle spedizioni di Elly. Seppi anche di quella cosa, ma purtroppo dovevo restarne fuori …” non sapevo a cosa si riferisse in quel momento, ma vedere lo sguardo di Elly abbassarsi fino a sfiorare la terra mi fece presumere che l’argomento fosse piuttosto delicato. Non osai chiedere.
“E si arrivò a questa notte. L’unica cosa di cui non ero certo è che tu è John vi stesse nascondendo da queste parti. Quindi, appena vidi che le cose erano giunte al capolinea, mi decisi ad agire.”
Fu con quelle parole che iniziò a raccontare come, vedendo che quella uscente dalla botola ero io, uscì dalla macchina: “ Appena uscii dal posto del guidatore, vidi la guardia che ti metteva dentro il furgone, e senza neanche che se ne accorgesse, lo colpii alla nuca con il manico della pistola che tenevo nascosta sotto la giubba. Quello …” indicò uno dei corpi, ancora dormiente:” Cadde all’istante, senza emettere il minimo rantolo. Quello sulla macchina non si era accorto di niente, per il momento. Poi vidi John che tornava correndo … E il resto ti dispiace se lo racconti tu?” chiese al ragazzo, che si schiarì la voce e continuò da dove l’uomo si era fermato:” Certo. Ero uscito come guardia, e appena visto il furgone mi ero nascosto di modo che non mi notassero. Poi, vedendo qualcuno cadere, mi sono avvicinato un po’ di più, e a quel punto mi sono accorto che si trattava di Mark.” Interruppe il racconto emettendo un rantolo, poiché Anna aveva stretto la benda attorno al suo braccio: … Mi ha detto di stare all’erta e di vedere cosa sarebbe successo. Improvvisamente il soldato a bordo è uscito dalla macchina. Siamo rimasti dietro il furgone, in attesa che arrivasse, e appena è arrivato, abbiamo cercato di disarmarlo e di fargli perdere i sensi. Quel fetente è riuscito a estrarre un coltello svizzero dal suo giubbotto e a ferirmi conficcandomi la lama nel braccio, Ma è caduto a terra dopo il calcio nello stomaco di Mark. Dopo di che abbiamo aperto il furgone e ci avete visti. Tutto qui.” Finì di dire il tutto, espirando tranquillo e abbandonando la testa sulla gambe di Elly. Si sdraiò, come stanco di quella nottata, mentre la sua ragazza gli accarezzò dolcemente la testa.
Ora mi era tutto chiaro, sin troppo. E non potevo fare altro che tirare un lieve, ma esistente, sospiro di sollievo. Dopo tanto tribolarmi, ero giunta al ricongiungimento con una parte del gruppo iniziale. Ma mancava ancora quella fetta della torta più gustosa, la ciliegina sulla torta. Sperando, ovviamente, che fosse ancora vivo, non vedevo l’ora di poter rivedere Max e di vivere con lui per il resto dei miei giorni, come sarebbe stato giusto fare.
Sollevai il naso e guardai il cielo stellato. Il loro luccichio mi donò tranquillità.

Fantastico. Era davvero bellissimo che si fosse giunti a tale conclusione. Io e John, finalmente, ci eravamo potuti riabbracciare, avevo rivisto Deborah, e la comparsa improvvisa di Mark e di quel gruppo di persone che era stata vicina a Deborah e John per il periodo in cui ero andata “ a caccia” era stata una piacevole sorpresa.
Ora mancava solo Max all’appello, e di far sapere, quando il momento sarebbe giunto, a nostra madre che eravamo sani e salvi. Non sapevo quanto tempo sarebbe servito a compiere tale impresa, speravo il più presto possibile ovviamente.
L’altra cosa che mi preoccupava era la seguente: Cosa avremmo fatto d’ora in poi?
“ Mark, hai qualche piano in mente adesso?” chiesi, continuando a grattare dietro le orecchie di John, che mugolò soddisfatto come un gatto quando fa le fusa.
“ Ho deciso di portarvi direttamente dove si era deciso sin dall’inizio. Restare qui, in Germania, è sin troppo rischioso per voi che siete come latitanti.” Disse lui, con tono davvero deciso:” Ho già provveduto a procurarmi tute a sufficienza per farvi passare inosservati.”
“ E loro?” Sbottò Deborah all’improvviso, indicando Anna, Jim e tutto il resto della compagnia.
Mark li guardò, gli occhi gli si contrassero in una smorfia di dispiacere:” Purtroppo non ho abbastanza tute per tutti … e non ho taglie adatte a bambini, in fondo sono uniformi delle SS, non vestiti di tutti i giorni.”
Deborah sembrò colpita da quelle parole e tentò di ribattere, ma stavolta ricevette la risposta di Joseph, che con un insolito fare pacato ribatté: “ Non c’è bisogno che noi veniamo con voi. Qui, fino ad oggi, nessuno ci ha scoperti. E di certo, se elimineremo ogni prova di stasera, saremo ignoti a tutto per lungo tempo. E poi … cosa vuoi che facciano quelli lì? Si ricorderanno a malapena ciò che è successo stasera!” indicò ironicamente I soldati ancora mezzo tramortiti, che dormivano russando sonoramente, sotto lo sguardo divertito del resto del gruppo.
Deborah non sembrava per niente d’accordo con la loro scelta, ma venne convinta alla fine dalla carezza che la donna, che si chiamava Anna, le fece alla guancia:” Cara, sei troppo altruista, te l’hanno mai detto?”
“ Sin troppe volte ..” replicò l’ebrea con un broncio scocciato che mi fece scappare un fugace sorriso.
“ Dovresti seguire ciò che dicono gli altri … noi ce la caveremo, non devi preoccuparti.” La strinse a sé, lasciando che la ragazza si abbandonasse sul suo seno, cosa che fece chiudendo gli occhi e rilassandosi.
“ Va bene … anche se non mi va a genio comunque …” replicò lei, con voce calma. Sorrisi e solo in quel momento mi accorsi che il baldo giovanotto sulle mie ginocchia si era bello addormentato. Miriam, la piccola, si avvicinò ad osservarlo nella sua placidità:” Sembra un angelo quando dorme.”
“ Lo è anche quando è sveglio.” Mi chinai su di lui, e lo baciai vicino all’orecchio leggermente. Sussultò senza svegliarsi e girò la testa, verso di me.
“ Direi che dovremmo seguire il consiglio di John … Dormiamo, domani mattina presto partiremo subito.” Fece Mark, alzandosi e iniziando a gettare terra sul fuoco per spegnerlo: “ Le donne rientrino subito, gli uomini mi aiuteranno a portare quei cosi lontano da qui.”
Noi donne non replicammo minimamente. Ero stanca morta, così con una lieve scossa svegliai John per potermi alzare e mi feci accompagnare nelle celle sotterranee. Mark, Joseph, Jim e Albert si caricarono i corpi sulle spalle e sparirono nel buio illuminato solo da lanterne.
Sprofondai nel sonno più profondo appena poggiai la testa sulla branda, accanto a John.
Domani mattina sarebbe iniziato un nuovo capitolo, forse il finale, di tutto l’andazzo che mi aveva coinvolto fino a quel momento.




Capitolo 41

Ormai i giorni sul campo volavano e si dissolvevano come neve al sole o come attimi spazzati da battiti di ciglia. Fatica, sangue, bombe e disperazione erano le parole chiave su una terra ormai arsa dal calore delle fiamme e stanca di essere pestata da pesanti scarponi, intenti a fuggire più che a lasciare la loro traccia su quel campo maledetto. Alla fine rinunciai a tenere il conto dei giorni che passavo lì, in quell’inferno, rinunciavo anche alle speranze di poter tornare un giorno, davvero, a vivere in pace, lontano da tutto quello. L’apocalisse stava per colpirci tutti, non c’era più niente da fare, e io ero rassegnato a essere spazzato via insieme al resto.
Nonostante però il senso di oppressione, la debole fiamma della speranza di poter di nuovo rivedere il resto del gruppo, e soprattutto Deborah, era l’unica fonte di calore che riuscisse a scaldare un poco il mio cuore, ormai chiuso nella morsa di ghiaccio della freddezza di sangue tipica di ogni soldato che si rispetti. Forse era proprio quella a mandarmi avanti nella missione.
Sognavo, ogni notte, di poter rivedere mia sorella, mia madre, Jordan, scomparso da secoli ai miei sensi, e, anche se il mio odio per lui non mancava di esistere, mio padre Frank.
Sì, anche l’uomo che sotto il consiglio di Xavier mi aveva spedito in anticipo negli inferi sulla Terra. Anche lui iniziava a mancarmi, e mi chiedevo anche se poche volte, cosa stesse facendo, cosa stesse pensando.
Un’ossessione, seppur piccola, che riusciva a mandarmi avanti nelle missioni più difficili.
E venne un giorno in cui questa ossessione mi aiutò in un altro modo, di certo inaspettato. Pensai veramente, quando accadde, che tutta la mia vita stesse per svenire per colpa di un caldo dolore accanto al mio cuore.

Corsi in postazione, e riuscii ad evitare solo per caso una scarica di mitra distante un cinquecento metri dai muri dove mi riparai dai colpi. Alcuni proiettili riuscirono a colpire un soldato, che finì a colabrodo sulla terra macchiandola con il suo sangue. La vista di quell’orrore mi fece salire la nausea.
“ Che schifo …” sibilai, mentre caricai gli ultimi colpi rimastimi a disposizioni. Dovevo attendere che mi arrivassero le munizioni, l’unica cosa da fare era rimanere dietro quel muro e aspettare che venisse qualcuno. Non potevo sprecare le ultime cinque cartucce rimaste in tasca, nel caso di un attacco a sorpresa non potevo permettermi negligenze come sparare a caso senza nemmeno colpire chi avevo davanti.
Una goccia di sudore mi pizzicò la pelle, mi stropicciai gli occhi stanchi e osservai oltre il muro di mattoni. Sagome in lontananza continuavano a correre o cadere, sentivo colpi provenire da tutte le parti e non avevo la più pallida idea di cosa diavolo stesse accadendo.
Un soldato stava venendo dalla mia parte, aguzzai la vista e caricai un colpo.
“ Sono dalla vostra parte! Sono dalla vostra parte!” urlò quello, avvicinandosi. Solo allora notai lo stemma dell’aquila sulla sua giacca e abbassai l’arma.
Lui mi vide e si mise insieme a me dietro il muro.
“ hai munizioni?” fu la prima cosa che gli chiesi appena mi fu vicino.
“ Penso di si …” frugò nella tasca e tirò fuori una scorta intera di proiettili che mi porse senza esitazioni: “ sei rimasto senza?”
“ A quanto pare sì, grazie amico. Cosa è successo?” chiesi, mentre riempivo la mia scorta con i proiettili del nuovo arrivato.
“ Un altro attacco a sorpresa, mi hanno mandato a chiedere rinforzi. Alcuni dei nostri sono stati fatti fuori da colpi volanti del nemico, deve averci scoperto …”
“ Non ci voleva … vengo con voi.” Mi affrettai a rendermi utile, di certo non potevo restare lì come un allocco mentre gli altri morivano senza dignità: “ Da che parte si va?”
“ Ti guido io … arrivati lì, ci separeremo, tu andrai dalla squadra del cadetto Jordan …”
“ va ben … C- Cadetto Jordan??” urlai quasi quel nome, tanto ero sorpreso. Lui mi guardò con aria perplessa: Ho detto qualcosa di strano?”
“ No …” altro che aver detto qualcosa di strano, aveva appena accennato a qualcosa che non mi aspettavo.
Poteva benissimo essere un altro Jordan quello che aveva appena nominato, ma sentivo, in qualche modo, che era il Jordan che conoscevo.
Mi misi a seguire il soldato, alimentato dalla speranza che quello che aveva nominato fosse davvero il mio amico.
Raggiungemmo il fatidico posto di guerra in dieci minuti, e ad accoglierci fu una strattonata all’uniforme che mi fece inciampare. Il mio corpo sentì violentemente la caduta all’indietro, mentre una voce mi suonò alle orecchie:” sta giù ..”
Era un sussurro, ma non riuscii a vedere da chi provenisse. Sentii l’urto deviato di una pallottola che scalfì il muro dietro il quale mi ero riparato. Mi alzai carponi, e presi il fucile pronto a sparare.
“ Com’ la situazione?”
“ Sono in pochi, ma hanno un calibro 32 dalla loro parte. Brutta faccenda, quella ci può uccidere seduta stante.” Fece quello accanto a me. Mi misi sul bordo del muro e sparai un colpo, mirando alla testa di un soldato che riuscii a intravedere nella polvere.
“ Meno uno ..” dissi, per poi puntare il mirino verso un altro scorcio nero.
Sentii improvvisamente una mano schiacciarmi la testa e spingermi verso il basso, e questo fece deviare il colpo della mia pallottola, che andò a scemare tra la polvere del campo.
“ ma cosa …” imprecai, a causa del dolore che avvertii alla schiena, ma appena aprii gli occhi, notai che sopra di me stava il viso più familiare che conoscessi da quelle parti.
Il muscoloso uomo stava sparando con precisione assurda.
“ Jordan …” sussurrai, per poi alzarmi e scostarmi in fretta. Volli vederlo bene in faccia, i lineamenti dalla prospettiva di prima potevano benissimo essere un gioco di luci. Ma appena mi misi accanto a lui, gli occhi azzurri e per niente freddi del ragazzo che tempo fa se n’era andato senza dire niente mi guardarono sorpresi.
“ Non ci scommettevo più nel rivederti … come te la passi?” disse, quasi sorridendo e rimettendosi a guardare il campo, mentre io ero paralizzato dalla sorpresa.
“ oddio …” fu l’unica cosa che riuscii a far uscire dalla mia bocca. Finalmente, ero di nuovo accanto a lui, inspiegabilmente ma ero di nuovo insieme alla persona che mi aveva sostenuto di più nei giorni di rabbia e frustrazione in Accademia e sul campo.
Era stranissimo ritrovarsi accanto a lui, anche in quella situazione così di giornata per me come soldato.
“ Beh .. il gatto ti ha mangiato la lingua Max?” disse, con fare scherzoso. Sinceramente, non avevo tanta voglia di scherzare, ma lui sembrava talmente a suo agio che un po’ della sua tranquillità mi arrivò e mi sciolse le parole in bocca :” Cosa diavolo ti è preso l’altro giorno??” gli urlai addosso.
“ Volevo divertirmi un po’, tutto qui! Ti ho fatto preoccupare? Che tenero!” esclamò, mostrando un sorriso inadeguato alla situazione.
“ Preoccupare? Sono morto accidenti! Dimmelo quando fai certe cose!” stavo urlando addosso al mio amico accecato dalla rabbia, nonostante fossi felice di averlo di nuovo accanto a me.
“ La prossima volta ti mando una cartolina prometto! Ma vedo che te la sei cavata comunque!” fece, poggiandomi una mano in testa e strofinandola sul mio elmetto. Rimasi basito davanti alla sua azione, e non spiccicai altra parola. Mi limitai a mettermi in posizione, pronto a sparare chiunque mi attaccasse.
Ero felice, in fondo, felice di riaverlo accanto a me. Ma può la felicità uccidere una persona o solo ferirla?
Mi diedi una risposta da me, quando la vista mi si annebbiò all’istante, e un calore immenso e doloroso mi si diramò nel petto.
“ Max!!” sentì l’urlo di Jordan, ovattato e non troppo stridulo. La presa sul fucile si allentò, sentii il mio corpo spinto verso il suolo, mentre con la coda dell’occhio vidi un foro nel muro dove prima ero appoggiato.
“ Max!” un altro richiamo, ancora più ovattato. E poi buio.

Mi svegliai di colpo in un bagno di sudore. Avevo il fiatone, e appena mi poggiai una mano sul cuore, avvertii il battito accelerato a mille.
Avevo fatto un incubo, ne ero certa. Avevo appena premonito qualcosa che ancora mi stava scioccando da sveglia.
Le immagini del sogno mi passarono davanti agli occhi come fotografie: Io da sola in mezzo a un cerchio di fuoco, il suono di un proiettile, le fiamme che si erano alzate per magia e io che morivo dal caldo e dalla paura. La comparsa del numero 15674 sulla terra. In fiamme anche quello. Una voce in lontananza che chiamava il mio nome.
Cosa diavolo fosse stato non ne ero certa, ma un’orrenda sensazione mi stava lentamente uccidendo.
Il mio pensiero, non seppi mai perché, volò alla sola persona che in quel momento il sogno mi rammentò: Max.
Doveva essergli successo qualcosa, di sicuro. Ma non ne ero sicura, eppure … un enorme fastidio mi premeva il petto soffocandomi in atroci sofferenze di spirito.
“ Max .. Max .. Max …” ripetei il suo nome a ritmo del mio respiro, mentre lacrime silenziose si fecero strada sulla mie gote.


Capitolo 42

Un buio pestilenziale mi invadeva gli occhi, mentre l’udito era ovattato e un penetrante odore di alcool mi penetrava le narici. Non sentivo niente di definito, solo un rombo ovattato, come se qualcuno stesse parlando, ma io non stessi sentendo nessuna delle sue parole. Poi, un suono, sempre più definito e assordante, prese spazio tra il trambusto che mi perseguitava i timpani: un ticchettio, qualcosa di discontinuo ma regolare, a ritmo del mio cuore che constatai battere ancora. Dopo aver sentito il calore estenuante e i sensi mancare dopo il colpo sul campo, avevo seriamente pensato che la mia vita fosse finita. Anche se mi ero stupito del fatto che il solito filmino sulla vita non mi fosse passato davanti agli occhi.
Tentai di reagire al buio, e cercai in qualche modo di fare in modo che i miei muscoli sforzassero qualche movimento. Come risposta ottenni uno schiarimento del buio nei miei occhi, e se prima l’udito era ovattato, ora potevo sentire la cantilena divenire richiamo: il richiamo del mio nome, ma da parte di una voce femminile, e che subito riconobbi.
“ madre …” la mia voce uscì dal nulla, mentre uno spiraglio apparve e la luce mi accecò. Da tutto sfocato vidi nitido, constatai che un apparecchio registrava i battiti del mio cuore, e che accanto a me, oltre a Jordan, c’erano anche quegli occhi colmi di amore materno tipici della mia genitrice, che mi guardò con le lacrime che stavano per esplodere.
“ max! Figliolo … sei vivo!” sentii il caldo delle sue labbra poggiarsi sulla mia fronte, mentre io sorrisi, cercando di capire dove fossi. Girai la testa, e vidi file di letti accanto e davanti a me. Altri soldati, tutti fasciati, stesi sulle loro brande o in compagnia dei loro familiari, vivevano la mia stessa situazione dentro una stanza dall’alto soffitto e odorante di medicina.
“ Sono vivo …” esclamai, afferrando delicatamente la mano di mia madre, che me la strinse baciandola avidamente:” Mi sei mancata madre ..”
“ Anche tu figliolo … quando ho ricevuto la chiamata dall’ospedale, non ho esitato a venire, ho temuto il peggio per mio figlio …” le lacrime si fecero strada sul suo viso segnato dagli anni ma ancora fresco, e mi fece tenerezza vedere tutto il suo amore rivolto verso il figlio ritrovato.
“ menomale amico … ho temuto davvero che fossi morto quando ti hanno colpito …” Jordan era dall’altra parte del letto, e appena mi voltai, vidi oltre al suo sorriso rincuorato il riflesso di una piccola lacrima che si era frenata prima di uscire totalmente:” Stavi per metterti a piangere?” scherzai con lui, per sdrammatizzare il tutto, e lui si asciugò rapido il residuo, sfoggiando uno dei suoi bellissimi sorrisi amichevoli:” O, non prendermi per una donnicciola!”
Risi, e anche mia madre lo fece:” Grazie di cuore, ragazzo … senza di te, mio figlio sarebbe stato perso …”
“ Si figuri, signora, per me è stato un onore …” Vidi l’imbarazzo di Jordan in volto e sorrisi compiaciuto.
Girai la testa verso un comodino di legno accanto al letto, e notai una piccola forma tondeggiante, metallica.
“ Cos’è?” chiesi, tentando di prenderla con la mano libera. Mia madre mi precedette:” è la tua medaglia al valore … la danno a tutti i soldati che si sono congedati dalla guerra … dimostra quanto vali, figliolo mio …” ma le porse in mano, e la rigirai fra le dita, ammirandone il disegno a rilievo e la piccolezza. riluceva di una luce giallognola, quasi bronzea, e me la puntellai sul petto, per provarmela. Mi piacque tantissimo.
“ Bella vero? Guarda la mia!” Jordan mi mostro la sua, così piccola in mezzo alla robustezza del suo petto, e sorrisi, ancora una volta riuscii a sorridere nonostante fossi quasi morto. E ora ero lì, su un letto sicuro, con mia madre e il mio migliore amico. Stavo bene, non benissimo, ma bene.
E sarei stato meglio appena mi sarei ricongiunto con l’altra metà di me stesso.
“ Io vado, vi lascio parlare, avrete tante cose da dirvi in fondo … Ci vediamo, amico.” Jordan si alzò dalla sedia, lasciando me e mia madre a parlare da soli. Lo salutai con un cenno della mano, e poi lo vidi voltare le spalle in direzione dell’uscita dalla stanza. Rimasi a quattr’occhi con mia madre.
“ Sono felice … sai?”
“ Anch’io … è da una vita che volevo parlarti, figliolo …”
“ anch’io madre, anch’io … e mio padre? Come sta?” Sì, mi importava anche dell’uomo più malvagio che avevo finora incontrato nella mia vita.
Vidi il volto di mia madre scurirsi leggermente:” è morto …” disse flebilmente. Sobbalzai alla freddezza di quella risposta, un silenzio di tomba si sovrappose tra noi due.
“ Come è successo?”
“ Infarto … dicono che la falsa notizia della morte del Fuhrer l’abbia a tal punto traumatizzato che …”
“ Il Fuhrer è morto?” quasi urlai, e mia madre mi zittì all’istante con lo sguardo:” Tu non puoi saperne … pochi giorni fa hanno attentato alla vita del Fuhrer … ti ricordi dell’Operazione Valchiria? Si dice che l’abbiamo modificata per fare in modo che la repressione andasse contro lo stesso Hitler … dopo averlo ucciso, gli attentatori avrebbero preso il controllo del governo … invece sembra che il colpo sia andato a vuoto …”
Mi ricordavo dell’Operazione Valchiria, ma sapere che era andata a fallire mi deluse profondamente:” Pensa se davvero fosse morto … a quest’ora molte cose sarebbero cambiate.”
“ Hai ragione … ma adesso non pensiamoci … a proposito …” vidi un sorriso incoraggiante sul volto di mia madre: “ poco fa mi sono messa in contatto con Mark … ho una buona notizia.”
“ Mark? Davvero? Cosa ti ha detto?”
Un largo sorriso si stampò sul volto di mia madre :” Deborah e Elly sono salve, e a breve le potremo riabbracciare.”
Una gioia immensa e indescrivibile si fece spazio dentro di me.

“ Deborah, sei sicura che vada tutto bene?” Elly sembrava preoccupata, dopo averle raccontato del sogno la sua irrequietezza per il viaggio era aumentata a dismisura. La sensazione che mi aveva attanagliata lo stomaco quella notte, quando mi ero svegliata di soprassalto a causa dell’incubo, era sparita per il momento, anche se persisteva una strana nausea che non mi lasciava in pace.
“ Si, ormai è tutto passato …” la rassicurai, tornando a guardare fuori dal finestrino del furgone con il quale Mark ci stava portando verso il confine.
“ Mmh …” la mia amica mugolò appena, tornando a poggiare la sua testa sulla spalla di John, immerso nei suoi pensieri.
“ Ragazze, manca poco, resistete ancora un po’ …” Ci disse Mark, con tono rassicurante. Immersi i miei occhi nella luce del sole che stava appena sorgendo all’orizzonte, e mi persi nelle ombre notturne incastonate in ogni albero sul ciglio della strada che correva davanti ai nostri occhi con velocità impressionante.
“ Sei sicuro che passeremo inosservati?” domandai, ancora in ansia per il progetto di fuga. Lui mi rivolse un’occhiata di intesa dallo specchietto retrovisore.
“ Ho il piano B nella manica, soprattutto nel tuo caso … sempre se te la senti …”
“ Che piano B?” non ne sapevo niente, quindi qualcosa come una lieve angoscia prese possesso dei miei sensi.
“ Niente di pericoloso … ho con me un siero che simulerà la tua morte.”
“ un siero di morte apparente?” ero a dir poco scioccata dalla rivelazione di Mark, lui divertito mi squadrò sempre dallo specchietto, notando che anche Elly e John si erano incuriositi.
“ Esatto … nel caso le guardie di confine non si fidino, berrai solo qualche goccia del siero che ti darò. All’inizio sarà doloroso, poi sarà come aver preso un potente sonnifero. Quando ti sveglierai, sarai a destinazione. Te la senti?” mi chiese, continuando a guidare e svoltando per un bivio sulla strada, verso sinistra.
Io rimasi a riflettere sulla capacità di quell’uomo di escogitare piani davvero geniali, e poi annuii:” Sono disposta a tutto per la mia libertà.”
“ bene … ecco la linea di confine … state pronti. Eccoti il siero.” Mark mi porse una boccetta, contenente un liquido trasparente, che all’olfatto era inodore:” Bevilo solo se te lo dico io.”
La macchina si fermò davanti alla sbarra, mentre un gruppo di uomini in divisa si avvicinò alla vettura. Potei intravedere oltre i finestrini dell’automobile alte montagne ricoperte di neve e una strana sensazione di purezza mi invase le vene.
“ Porta merce con sé?” chiese uno degli uomini, un uomo con un paio di baffi grigiastri in volto.
“ Niente, solo passeggeri signore.” Rispose con assoluta calma Mark. L’uomo con i baffi non sembrò osare guardare oltre i finestrini della vettura, e io non ebbi certo intenzione di dare nell’occhio. Era già stata una buona idea tagliarmi di nuovo i capelli, stavolta più corti, per non farmi riconoscere subito, e travestire la cicatrice al braccio con delle maniche lunghe, nonostante il caldo estivo.
“ potete passare … alzate la sbarra!” uno degli uomini di guardia entrò in un casotto lì accanto, e alzò la sbarra di confine. La macchina passò oltre, e appena il posto di blocco fu lontano, tirai un enorme sospiro di sollievo:” siamo salvi … e non c’è stato neanche bisogno di questo!” feci, agitando la boccetta.
“ Già, menomale … ma mi servirà per fare un altro viaggio, quella …”
“ in che senso?”
“ Vi porto a destinazione, poi dovrò ripartire … devo ancora fare una cosa urgente.” La frase criptica di Mark mi fece tenere il dubbio, ma non vi diedi troppo peso. Un primo scorcio di paesaggio svizzero, completo di cascata a torrente scrosciante su un lato di una collina verdissima, fu un toccasana per il mio cuore.
“ Casa dolce casa …” mormorai.

Non me ne frega niente, ci sono altri 3 capitoli e ve li ciucciate tutti comunque XD

Capitolo 43

Una casa in mezzo alla natura incontaminata, incastrata nel legno dei tronchi che ne componevano la struttura, con quell’odore caratteristico del muschio bagnato di prima mattina, misto a quello della dolce libertà di cui ormai potevo godere. Il tutto incorniciato da uno sfondo di montagne innevate, lontanissime ma vicinissime allo stesso tempo, di cui volevo toccare, sfiorare anche con un solo dito la presenza eterna che da sempre avevano in quel posto.
La Svizzera, posto di pace in mezzo alla guerra, fuga per tanti alla ricerca di un momento di tranquillità. Non potevo desiderare di meglio.
Anzi, una cosa c’era, ed era inevitabile che non pensassi che fosse indispensabile. Volevo rivederlo. Anzi, rivederli. Si, entrambi.
Da quel che Elly mi aveva raccontato entusiasta appena arrivati al rifugio, avevo capito che non ero la sola di sangue ebreo della mia famiglia ancora rimasta viva. Non riuscivo a spiegarmi ancora, in mezzo a lacrime di pura gioia, come mio padre fosse sopravvissuto a tutto quello, e come avesse conservato il suo carattere pacato che usava con sua figlia.
Elly era stata chiara con me sin dall’inizio:” Non ho faticato a paragonarlo a te, avete davvero lo stesso sguardo.”
“ Dici?” l’avevo detto con la voce tremante, stretta a lei dalla felicità:” Davvero ha conservato quegli occhi?”
“ Se intendi quello sguardo carico di saggezza e tanto simile al tuo, stai certa che è proprio quello …”
“ Come stava? Lo trattavano male?”
“ Non sembrava in cattive condizioni , ma non si può dire che sprizzasse gioia da tutti i pori …”
Sorrisi mesta a quell’affermazione, solo ricordarmi che era ancora in prigione mi faceva abbassare il buon umore di parecchio. Anche se dolo il sapere che era vivo mi aveva a dir poco resa felice. E ancora di più, la notizia che Mark stava per partire a prendere l’altro elemento che non vedevo proprio l’ora di rivedere: Max.
“ Passerà un giorno prima che io torni con i nuovi ospiti … cercate di ambientarvi, sarò di ritorno presto, non preoccupatevi.” Aveva detto, dopo aver messo in moto la vettura. Io mi ero avvicinata al finestrino prima che lui partisse:” Non esitare a tornare, va bene?”
“ Ricevuto, fanciulla. Vedrai, filerà tutto liscio come l’olio!” Mark sorrise, e poi tirò il freno a mano. La vettura si mosse, e sollevò un enorme polverone, lasciandomi dietro una scia di speranza e angoscia mescolate insieme.
Ci sarebbe voluto un giorno, un giorno miserabile che non vedevo l’ora passasse il più in fretta possibile. Ero una tipa paziente alle volte, ma per questa volta quella mia pazienza era andata leggermente al diavolo.
Non vedevo l’ora che, all’alba di domani, la macchina di Mark fosse nel viale sotto casa, stavolta piena di amore e persone amorevoli.

La nuova dimora era davvero confortevole, e non esitai a dare un’occhiata a ogni minimo mobilio presente in quella casa, che all’interno sapeva di erba fresca di bosco.
“ è davvero bella … e tra un giorno lo sarà ancora di più!” esclamai, girando su me stessa nell’ampio salottino, sotto lo sguardo del mio John.
“ Vedo che sei felice Elly …” mi disse, avvicinandosi a me.
“ lo sono, John, tanto … non vedo l’ora che anche Max possa riunirsi a tutti quanti … mi manca tanto …” mi accoccolai sul petto del mio uomo, mentre lui mi circondò con le sue braccia:” Dicci che Deborah piangerà appena lo vedrà?”
“ Forse … ma le sue lacrime non saranno certo di rammarico, bensì di gioia … sarà come se sorridesse in un modo alternativo!” mi rispose John schioccandomi un bacio sulla guancia.
“ Hai ragione … a proposito di familiari … hai saputo qualcosa dei tuoi?” mi morsi quasi la lingua dopo aver pronunciato quella pungente domanda. Spostai alla svelta lo sguardo su John :” oddio, non volevo fartelo …”
“ Non so ancora niente sui miei genitori, ma data la pelle dura di mio padre, spero solo che siano vivi, dovunque essi siano.” Replicò, con viso apparentemente tranquillo:” Non preoccuparti Elly, i tuoi futuri suoceri ti vedranno sull’altare, non mancheranno di certo!” sorrise a trentadue denti, facendomi arrossire fino alla punta dei miei biondi capelli.
“ John! Che sciocco che sei …” mi strinsi a lui ancora di più:” Davvero vuoi sposarti al più presto come mi hai detto ieri?”
“ Assolutamente, il più presto possibile.” Lo aveva sussurrato tanto vicino al mio orecchio che aveva tremato leggermente.
“ Ne sei sicuro? Sappi che sono una tipa difficile da sopportare! Lo dice anche Max …”
“ Sono curioso di scoprire tutte le tue carte, mia cara … o futura signora Mendel.” Sentii il mio peso sollevato in alto e tutto intorno a me iniziò a girare, accompagnato dal mio grido di gioia e amore.
“ Certo che sei davvero incorreggibile,tu!”
“ Anch’io ti amo, Elly.”
Mi rispose a terra e gli sorrisi guardandolo negli occhi, nei tanto amati occhi che mi avevano accompagnato nel viaggio insieme a Deborah:” Ti amo.” Congiunsi le mie labbra alle sue. Ero felice, lo sarei stata di più in futuro, ma bastava poco ormai perchè tutto il mondo mi potesse sorridere in istanti vissuti con così tanta fatica.

La macchina di Mark si fermò nel viale davanti all’ospedale, e il nostro famoso amico uscì dal posto del guidatore, raggiante in volto:” I passeggeri sono pregati di salire a bordo!”
“ Salve Mark, ti vedo di buon umore.” Replicai, con un enorme sorriso stampato in volto.
“ Direi che è una bella giornata, non potrei essere di umore migliore. Salite, il viaggio sarà lungo.” Ci aprì la portiera di dietro, e io, seguito da mia madre, salii a bordo, stando attento a non sforzarmi troppo. Mia madre salì sul sedile di davanti, nel mentre Mark si occupò di porre le valigie nel bagagliaio.
Solo sedendomi, mi accorsi di un figura seduta accanto a me. Vestito di nero, poggiava la testa al finestrino, quasi stesse dormendo.
Mi sporsi un po’ per poterlo vedere in faccia, ma mia madre se ne accorse:” max! è maleducazione!”
“ Voglio solo sapere chi è … sembra stia dormendo.”
“ Lascialo stare lo stesso …” anche lei, però, continuava a guardarlo. Lo osservai meglio, sembrava un uomo di mezza età, e il suo respiro era fiacco ma regolare, appesantito da qualche filo di catarro, tipico delle persone anziane. In testa portava un cappello che nascondeva qualche ciuffo di capelli brizzolati, e il volto era nascosto dal colletto del grande cappotto nero che lo copriva.
Mark si mise al posto del guidatore, e gli chiesi così chi fosse quell’uomo.
Lui mi guardò e rimase sul misterioso:” lo scoprirai a tempo debito … ora lascialo riposare” mise in moto la macchina e lasciò il cortile dell’ospedale, lasciandomi la curiosità addosso su chi fosse quell’uomo. Ma ero felice, lo stesso: l’incubo da cui mi ero ridestato era finalmente scomparso, e nonostante forse ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo perché tutto finisse, ero contento che almeno per me le cose stessero per andare alla meglio. Un lungo viaggio, verso i confini, mi attendeva: avrei lasciato quella terra di odio o di giustizia nascosta, ma corrosa dal sangue, per sparire dalla circolazione in una terra pura, come la Svizzera. Stavo per lasciare la mia carriera di soldato, per vivere quella di normale cittadino. In fondo, mi dispiaceva un po’, poiché salutare Jordan così alla svelta era stato un po’ doloroso, era rimasto accanto a me per tutto il tempo, per tutto il tempo dell’incubo.
“ Tu cosa farai?” gli avevo chiesto prima di vedere l’auto di Mark arrivare.
“ Penso che tornerò dai miei, mia madre mi attende, mi ha scritto l’altro giorno.”
“ Era felice?”
“ Molto … ho notato che ha addirittura pianto.” Mi mostrò la lettera, e c’era davvero la traccia di una lacrima sulla carta giallognola coperta da quella grafia elegante e signorile:” Chissà come era in pena … le metto sempre l’ansia, povera donna!” sorrise, rimettendo la lettera sulla tasca del giubbotto all’altezza del cuore.
“ Ti auguro di poterla rivedere presto, allora …”
“ E io ti auguro di poter rivedere chi tu sai!” mi aveva risposto, dandomi una pacca da buon amico.
Sorrisi, e spinto dall’emozione lo abbracciai, prima di venir schiacciato dalla potenza delle sue braccia.
“ Stammi bene, e spero di rivederti presto!” mi disse, dopo avermi sciolto dall’abbraccio.
“ Se non si muore, ci si rivede, non dice così il proverbio in fondo?” gli canzonai prima di notare la macchina di Mark arrivare scricchiolando sull’asfalto.
“ Come non detto! Ciao!” Un lungo saluto con la manona ricambiato dalla mia, incapace di fermarsi, insieme ai sospiri.
Anche lui, a quanto sembrava, poteva ritornare alla vita di sempre, accanto a sua madre, che sarebbe stata felice di vederlo quanto la mia, e questo mi sollevava, tantissimo.
La macchina si inoltrò presto nella campagna, lasciandosi alle spalle la cittadella dove ero stato ricoverato. Le file di alberi correvano sotto i miei occhi, le nuvole camminavano sopra il cielo, e la strada correva sotto lo ruote, veloce e sfuggente. E io continuavo a guardare fuori dal finestrino, e intanto mandavo qualche occhiata all’uomo accanto a me, curioso di sapere chi fosse e che ruolo avesse nella mia fuga.
“ Mark … ora puoi dirmi chi è quest’uomo?”
“ siamo impazienti, giovane mio … è un signore, molto gentile, che se riuscirai a farti amico ti darà qualcosa di davvero importante …” mi disse, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore. Lo fissai interrogativo, e rivolsi di nuovo lo sguardo sull’uomo, che si mosse, voltando la faccia verso sinistra,ancora più appiccicato al vetro.
“ Non svegliarlo Max … ha riposato poco stanotte, è meglio che dorma adesso.”
“ D’accordo …” girai i miei occhi verso il paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino. Era un uomo che se avessi reso mio amico mi avrebbe dato qualcosa di importante? In che senso?
Ero incerto su quello che mi aveva appena detto Mark, e continuavo a non collegare le cose. Riflettei su cosa c’era d’importante nella mia vita: la mia famiglia, la libertà, e … Deborah. Si, lei era qualcosa di indispensabile, e non vedevo l’ora di poterla riabbracciare. Insieme ad Elly, ovviamente.
Ma cosa sarebbe stato quel qualcosa di importante che mi avrebbe donato quell’uomo, oltre a quel poco che desideravo? Avrei dovuto chiederglielo di persona, ma non volevo destarlo dal suo sonno tanto profondo.
“ aspetterò …” pensai, e un raggio di sole mi colpì al viso, riscaldandolo leggermente con un tepore che mi fece assopire.
Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentato all’improvviso, tanto da non riuscire ad accorgermi che il confine era stato ormai passato. Quando aprii gli occhi, il sole era già sotto la linea dell’orizzonte.
“ Che ore sono?” chiesi, sbadigliando e constatando che ormai, l’uomo accanto a me si era svegliato.
“ è sera.” Mi rispose l’anziano signore, sorridendomi: “ vedo che hai dormito tutto il viaggio … stanco?”
“ Un po’ … posso chiederle il suo nome?” mi feci coraggio e iniziai a porgli alcune domande, tanto per fare conoscenza con il buon uomo. E ci fu una cosa che notai all’istante: I suoi occhi nerissimi e che riflettevano una saggezza immensa.
“ Menuchin … tu devi essere Max.” fece, porgendomi la sua mano.
“ Esatto … glielo ha detto Mark il mio nome?” gli chiesi, stringendo la sua mano rugosa e callosa nella mia piccolissima in confronto alla sua.
“ Diciamo che ho tirato ad indovinare …” ammiccò vispo, e io non potei fare a meno di trasalire, davanti a quella spavalderia da vecchio che possedeva.
“ capisco … beh, spero di poter andare d’accordo con lei, signor Menuchin.” Gli dissi, sorridendo. Lui ricambiò il sorriso, e allargò la bocca in una smorfia tanto familiare che mi sobbalzò il cuore al sol vederla. Somigliava così tanto al sorriso di Deborah che mi venne il sospetto che quell’uomo avesse qualche legame con lei.
Non sapevo ancora che i miei dubbi era completamente fondati.

Capitolo 44

Non riuscivo a dormire dall’emozione, tanto ero agitata, come non lo ero mai stata in vita mia. Ero rimasta alzata tutta la notte, davanti alla finestra della camera dove avevo deciso di porre il mio letto, e guardare il cielo correre sotto i miei occhi, in attesa che i cavalli della notte corressero e lasciassero la pista delle stelle, come era giusto che facessero.
Elly era andata a dormire insieme a John, dunque ero rimasta nella mia solitudine ad aspettare che l’auto di Mark passasse davanti ai miei occhi, con a bordo le due persone che attendevo più di chiunque altro a questo mondo.
Continuavo a fissare il viale, pretendendo addirittura che quell’auto spuntasse per magia. Non avrei accettato la scusa dell’alba per vedere chi volevo vedere. Sì, la mia impazienza cresceva di minuto in minuto.
Tutta assorta dalla mia impazienza, non mi accorsi nemmeno che Elly era dietro di me:” Deborah! Non riesci a dormire?” mi chiese, insonnolita e in camicia da notte.
“ No, sto morendo di impazienza Elly … accidenti al tempo! Perché non passa più in fretta?”
“ Dagli tempo, la notte deve ancora passare … dormi, non vorrai mica che Max ti veda con le occhiaie, vero?”
“ In effetti lui, per la prima volta, mi ha visto che le occhiaie, non ricordi?” sorrisi a quell’affermazione, anche se ricordare il primo incontro che ebbi con Max non fu piacevole. Dover ricordare anche la stretta al braccio da parte del padre, e il mio dolore che non poteva essere urlato, era terribile.
“ Vero … comunque non restare lì impalata, se non hai sonno almeno stenditi e chiudi gli occhi. Rilassati, su.” Mi venne accanto e mi abbracciò:” Andrà tutto bene.” Ricambiai l’abbraccio, stanca ma febbricitante di ansia.
“ Vada per stendermi …” dissi, dandole poi la buonanotte e mettendomi stesa sul materasso del mio letto. Fissai il soffitto per qualche secondo, pensando ancora a Max e a dove, probabilmente, potesse essere.
“ chissà se è qui vicino …” sussurrai, portando la mano vicino al cuore, come se davvero riuscissi a sentire anche il suo battito oltre al mio:” spero solo che il sole venga presto …” pensai, chiudendo gli occhi.
Mi rilassai, tanto da assopirmi leggermente, e un buio ristoratore si impossessò della mia vista. Per un tempo indeterminato, forse per il resto della notte, anche l’udito sfuggì alle mie capacità e mi addormentai, estenuata dall’emozione. Non feci sogni, nemmeno incubi, ma il sonno fu così pesante che alla fine mi svegliai solo quando il sole era ai suoi primi albori.
“ Mi devo essere addormentata …” mi stiracchiai come un gatto, mettendomi a sedere in fretta sul materasso. Dalle tende della finestra filtrava la luce del sole, abbagliante ma leggera, quasi che volesse svegliare tutti dal loro sonno. Ascoltai i rumori che provenivano dall’esterno, il cinguettio dei passeri che annunciavano l’arrivo del sole, il sussurro del vento che spifferava attraverso la finestra. I rumori della vita, di una vita ritrovata nella serenità di quel posto.
Mi beai di quel momento di pace, e decisi di scendere al piano di sotto. Avvertii infatti un certo languore.
“ da quel che mi ricordo ieri, c’era una torta nella credenza …” pensai, già pensando bene di mangiare una fetta di quella torta ancora in buona condizioni.
Scesi rapidamente le scale, e feci per dirigermi in cucina, ma mi accorsi che il portone d’ingresso era semiaperto. Un solo pensiero mi attraversò la mente.
“ Sono arrivati … sono arrivati … sono arrivati! Ma come ho fatto a non rendermene conto prima?”
Mentre pensavo ciò mi ero già piombata fuori, scalza e ancora con la veste da notte. L’odore del carburante di una macchina in moto mi invase alle narici, e un sorriso travolgente travolse i miei occhi. Max mi sorrideva da dietro lo sportello aperto della macchina di Mark.

La casa in cui avrei abitato era davvero la cosa più graziosa e desiderabile che potesse esistere a quel mondo. Dopo una notte passata a osservare le stelle, giungere all’alba, in silenzio, davanti a una struttura in legno appena illuminata dal sole era un’esperienza irripetibile. E sapere inoltre che dentro quella casa stava proprio lei, la mia amata, mi teneva in ansia come non mai. Parcheggiammo sul viale, e Mark scese dall’auto.
“ Vado ad avvisarli del vostro arrivo … voi rimanete dentro, sarete la sorpresa!” uscì dalla macchina, e entrò dentro la casa, lasciando il portone semi aperto da quello che vidi.
“ Sei felice Max? Finalmente rivedremo tutti oggi!” disse mia madre, sporgendosi dal sedile anteriore. La guardai, sorridendo:” Come non mai, madre … come …” non riuscii a finire la frase, poiché una visione celestiale mi apparve davanti.
La giovane figura di Deborah era appena corsa fuori dal portone senza che ne notassi la presenza. Nonostante la vestaglia da notte, era sempre bella, bella come lo era sempre stata, anche di più, potevo dirlo con certezza. Vedere il suo viso temprato dalle fatiche e da quella luce tanto radiosa mi fece salire nel cuore un’emozione enorme.
“ Al diavolo la sorpresa!” dissi a voce alta, aprendo in fretta la portiera della macchina.
La vidi volgere gli occhi verso di me, e un enorme sorriso accompagnato dal mio ancora più euforico le si dipinse in volto.
“ Deborah …” chiusi lo sportello in fretta, e con passi enormi le andai incontro, allargando le braccia, un invito a saltarmi addosso per poterla riempire di lacrime e baci, come desideravo fare da un sacco di tempo.
Sembrò non farselo ripetere due volte: la vidi correre verso di me, con le lacrime agli occhi, pronta a saltare tra le mie braccia. Con un salto mi si fiondò addosso, stringendosi al mio collo piangente. La sollevai tra le mie braccia, facendo in mondo che si avvinghiasse con le gambe al mio petto. Potevo sentire i suoi singhiozzi:” Non ce la facevo più ad aspettare! Mi sei mancato come non mai …” mi stringeva tantissimo, e io ricambiavo quella stretta, commosso:” Neanch’io, ho sempre pensato a te per tutto questo tempo …”
Volli guardarla negli occhi, in quei due occhi tanto profondi e belli,e annegarci per l’eternità. Erano lucidi di pianto, li asciugai con un bacio:” ora tutto è a posto, ora tutto è a posto …”
Le presi il viso tra le mani, e lei mi baciò, con una passione mai vista. Risposi senza esitazione, assaggiando il suo sapore tanto casto e delicato, inclinando la testa per far combaciare alla perfezione le mie labbra con le sue. Mi erano mancate, mi erano mancati i suoi occhi, il suo viso. Lei mi era mancata, e tutto ciò che le apparteneva.
Staccai il contatto dalle sue labbra, e iniziai a tempestarle le guance e il viso con baci che avrei voluto darle in tantissime altre occasioni. La sentii ridere:” Mi fai il solletico …”
“ Ti farò il solletico finché morirai … dio, quanto ho atteso questo momento …” gli dissi guardandola negli occhi. Poggiai il mento sopra la sua testa, mentre sentii il suo respiro solleticarmi la pelle del collo. La tenni stretta a me, non avevo intenzione di lasciarla andare ancora.
“ Ti amo.” Un sussurro detto dalle sue labbra, che mi fece stringere la presa esercitata sulla sue spalle.
La mia risposta:” Ti amo anch’io …” sussurrata a fior di labbra e chiusa da un altro bacio fulmineo.

Sentii qualcosa scuotermi e mi svegliai. Appena aprii gli occhi, incontrai lo sguardo di Mark, sorridente:” Buongiorno! Scendete giù, ci sono alcune persone che vogliono vedervi.” Mi disse, uscendo dalla stanza. Io mi alzai di soprassalto e scossi John, ancora addormentato accanto a me:” sveglia!”
“ Altri cinque minuti …” mugolò, nascondendo la testa sotto il cuscino. Gli tirai un colpo in testa con il mio cuscino e lo baciai lievemente:” Su, devi incontrare la tua futura suocera, muoviti!”
Aprì i grandi occhi celesti sorridendomi, mentre io mi affrettai a vestirmi.
Scendemmo poco dopo e ci precipitammo fuori. Constatai così che Deborah era già avvinghiata a Max, e vidi nostra madre uscire dalla portiera dell’auto. Il suo viso stanco era solcato dalle lacrime, come il mio a distanza di nemmeno due secondi dall’averla vista.
“ Mamma!” urlai, con tutto il fiato rimastomi in corpo. Mi corse incontro, come feci io, e sentii le sue forti braccia avvolgermi amorevolmente, in una stretta carica d’amore:” Elly, figlia mia!”
“ Madre … oh madre!” non riuscivo a dire nessuna parola di senso compiuto, mi sentii la faccia tempestata da baci di un calore incredibile e le mie gote si bagnarono di lacrime estranee alle mie.
“ Non ho smesso nemmeno un momento di pensarvi, figli miei …” disse, con la voce rotta dai singhiozzi. Strinsi la presa su di lei, affondando il viso nel suo seno:” Anche tu mi sei mancata tantissimo …” ci misi tantissimo a lasciare la presa da lei, non avevo alcuna intenzione di dovermi separare da quel calore tanto familiare e amato. Ero a casa, in fondo: una casa in senso diverso ma uguale, dato che avevo cambiato dimora, pur avendo la mia genitrice accanto a me.
Vidi poi Max avvicinarsi, e lo guardai in viso: un viso tanto stanco e temprato dalla battaglia che mi commosse da come fosse, al contrario di quello che avevo pensato, bello e raggiante come lo ricordavo.
“ Fratello mio!” mi strinsi a lui abbracciandolo con trasporto, e lui ricambiò con lo stesso calore:” Sorella mia! Vedo di esserti mancato in fondo!” rise, continuando ad abbracciarmi, e a quell’abbraccio si unì anche nostra madre, commossa. Sentire le loro braccia avvolgermi e trasmettermi il loro calore mi fece sentire come a casa. Ero a casa, finalmente.

Osservai Elly, Max e Elena abbracciati come una vera famiglia, e lacrime di commozione mi salirono dal cuore dritte fino agli occhi. Ero felice che si fossero finalmente ritrovati, dopo tutto quel tempo. Felice nonostante io, la mia famiglia, non ce l’avessi più.
Questo era quello che pensavo, prima di poter vedere un uomo dalla faccia che riconobbi all’istante uscire dall’auto e sorridermi.
Lo guardai bene, e la quantità di lacrime aumentò all’istante: Lo stesso viso di dieci anni prima, un po’ più invecchiato, ma lo stesso sguardo buono e amorevole che mi aveva rivolto nella mia infanzia ormai lontana. Lo vidi venirmi davanti, e i suoi denti un po’ ingialliti ma dritti mi rivolsero un saluto degno di un vero padre: ” La mia Deborah … come sei cresciuta bambina mia.”
“ Padre …” dissi in un sussurro, prima di abbandonarmi totalmente al pianto più sfrenato. Non esitai a fiondarmi su di lui, come avevo fatto poco fa con Max. Avvolsi la sua tozza corporatura, e sentii le sue braccia possenti che in tempi lontani della mia memoria mi avevano amorevolmente cullato stringermi forte, come se fossi la cosa più preziosa che avesse al mondo.
“ Padre … pensavo che anche tu fossi morto!”
“ Non potevo permettermi di morire, prima di poterti rivedere bambina mia …” la sua voce calda e tranquilla mi penetrò nel cuore, sciogliendolo dai nodi alla gola provocati da anni di mancanza paterna.
Ero ormai in preda ai singhiozzi:” Mi dispiace … non sono riuscita a salvare la mamma!”
“ Non importa, ora lei sta in un posto migliore di questo … veglia su di noi dall’alto …” mi strinse ancora a sé, e io mi beai di quella stretta che tanto mi era mancata durante tutti quegli anni.
“ Si …” sussurrai, rivolgendo il pensiero a mia madre, che dall’alto ci stava sicuramente guardando. Mi staccai dall’abbraccio, ma mi tenni comunque stretta a mio padre:” Sarai stanco … Elly mi ha detto che voi vi conoscete di già …”
“ Esatto …” Lo vidi rivolgere lo sguardo a Elly, e il volto della ragazza si illuminò di gioia:” Signor Menuchin! Anche lei qui!”
Elena, Max, Elly e John ci vennero incontro:” Non potevo non rivedere mia figlia.”
“ Quindi non mi sbagliavo nel pensare che Deborah fosse sua figlia!” Esclamò sorpreso Max, sbarrando gli occhi. Risi di cuore, vedendolo inchinarsi di fronte a mio padre:” Mi dispiace di non averla riconosciuta sin dall’inizio, buon uomo!”
“ Ragazzo, non fare tante moine e fatti abbracciare da questo vecchio!” Max venne travolto dall’affetto di mio padre,e rise abbracciandolo. Io assistevo commossa alla scena.
“ ehi! Mi sento escluso da tutto questo calore!” Esclamò John, quasi infastidito. Elly si affrettò a schioccargli un bacio sulla guancia per consolarlo:” lui è John, il mio fidanzato …”
“ Nonché mio futuro cognato, suppongo …” esclamò Max, porgendo la mano al biondo che gliela strinse felice.
“ Esatto … ma prima vorrei tanto la benedizione della signora Schubert, se non le dispiace …” La signora Schubert si avvicinò a John, e posò le sue labbra sulla fronte del ragazzo:” Benedizione concessa, hai reso felice mia figlia, non posso pretendere di meglio.” Sorrise al ragazzo, che arrossì lievemente stringendo la mano di Elly.
“ Direi di prendere due piccioni con una fava!” disse all’improvviso Max, rivolto a mio padre:” Signor Menuchin, vorrei che mi concedeste la mano di vostra …”
“ Te l’avrei concessa sin dall’inizio, giovanotto … vedo l’amore più sincero nei tuoi occhi, e come ha detto la signora, non posso pretendere di meglio per la mia bambina. Sei onesto e coraggioso, e ami dal profondo del tuo cuore.” La manona di mio padre andò a poggiarsi sulla testa di Max, che sorrise imbarazzato e euforico: “ Grazie davvero …”
Sorrisi con le lacrime agli occhi e alla fine osservai il quadretto finale della vicenda. Tutti insieme, nel bene e nel male. Le storie che avevamo da raccontarci erano lunghe e entusiasmanti e ora c’era davvero tutto il tempo per poterle narrare, e magari conservare per i tempi futuri.
“ C’è una torta deliziosa dentro … e io ho intenzione di fare colazione, voi?” dissi, felice. Tutti mi sorrisero e allegramente entrarono dentro. Max mi cinse le spalle con le sue braccia.
“ Da uno a dieci, quanto sei felice?”
“ Da uno a dieci, lo sono cento … tu?” lo guardai nei bellissimi occhi verdi.
“ lo sono cento volte più di te …” posò le sue labbra sulla mie, con delicatezza. Entrammo dentro, accompagnati da un fantastico senso di leggerezza nel cuore.

Capitolo 45

“ Deborah … Deborah?” il suo volto era rilassato nel sonno, sprofondato nel guanciale del letto e rispecchiava un sonno senza incubi, leggero ma ristoratore. La scossi lievemente, era ormai mattina inoltrata ma ancora dormiva della grossa.
La sentii mugolare piano, e la vidi aprire i grandi occhi neri e che tanto amavo:” Max …”
“ Buon compleanno, tesoro …” la baciai sulla fronte lievemente, il suo meraviglioso sorriso le illuminò il viso, ancora giovane nonostante gli anni.
Si stiracchiò per bene, poi si mise seduta con la schiena contro la testiera del letto:” Grazie, tesoro ..”
“ Ti ho portato la colazione …” presi il vassoio appoggiato sulla credenza e glielo misi sulla gambe. L’invitante odore di croissant francesi mi diede il buon umore, e anche a lei, da quel che vidi riflettersi sul suo viso come un ringraziamento:” Che buon odore …”
“ The, paste e latte … tutto ciò che vuoi …”
“ Non è che mi coccoli troppo?” domandò lei sarcastica, mescolando lo zucchero nella tazza di the.
“ è il tuo giorno.” Le stuzzicai il naso come ogni mattina, e lei lo arricciò, con una smorfia amabile in volto.
“ è sempre il mio giorno, una volta l’anno … le stesse parole che mi ripeti da qui a quasi trent’anni ormai!” sorrise, e io con lei. Scostai le tende che ostacolavano la luce del sole e le pareti vennero illuminate all’istante. Il panorama delle alte montagne, il rifugio che avevamo scelto, la culla dei nostri sogni, ci schiaffò la sua magnificenza dolcemente. Dalle cappe dei camini di alcune case del piccolo villaggio erano già in fermento,e il fumo che si dissolveva nell’aria incontaminata svolazzava come la miriade di passeri, che si godevano i caldi raggi di giugno volando in piena libertà e cinguettando allegri.
“ è un’ottima giornata …” sussurrai, aprendo la finestra e inspirando a pieni polmoni l’aria fresca e pungente.
“ Già … perfetta per una riunione di famiglia!” intervenne Deborah, togliendosi il vassoio dalle ginocchia e tentando di mettersi seduta sul materasso. Andai a darle una mano, la sua mole faticava per il momento anche a fare i gesti più semplici.
“ Oh, che sarà mai? Non è il primo!”
“ Fatti aiutare e basta! Non vuoi che gli succeda niente, no?” Le porsi la mano e l’aiutai ad alzarsi.
“ Non mi sembra che Karl sia venuto su male, in fondo.” Sorrise, accarezzandosi il ventre, gonfio per la gravidanza quasi giunta al termine:” Chissà se sarà una femmina … ne vorrei tanto una, sai?”
“ Ogni tuo desiderio è anche mio, ricorda …” la abbracciai, felice, e poi posai le mie mani sul suo grembo, panciuto e tanto grazioso:” E come la chiamerai?”
“ Josephine …” quel nome, emesso dalla sua voce dolce, era pura melodia.
“ Come una delle protagoniste di Piccole Donne? Quella caparbia, sognatrice, capace di affrontare ogni cosa senza arrendersi e con un grande cuore?”
“ proprio lei, l’adorabile Josephine … speriamo che possieda i tuoi occhi ..” la vidi osservarmi e mi protesi per baciarla dolcemente sulle labbra. La riabbracciai, chinandomi verso di lei: “ sai, ho scoperto una cosa interessante … dopo vieni giù, ti aspetto.”
Mi allontanai, uscendo dalla porta della camera che aveva custodito i nostri sogni fin dal giorno del nostro matrimonio, e chiusi la porta, così che potesse cambiarsi in pace. Avevo una cosa urgente da sbrigare.

Mi cambiai rapidamente, e mi ammirai nello specchio. L’enorme pancione della mia seconda gravidanza, di nuovo quell’emozione provata già con la nascita di Karl, ragazzo alto e robusto ormai, tutto sua madre per aspetto fisico ma con il carattere quasi di suo nonno Franz, anche se molto più docile di lui.
Il rancore verso quell’uomo era ormai sparito in tutti quegli anni, mi era quasi dispiaciuto che fosse morto prima del mio ricongiungimento con Max. Mi avrebbe fatto quasi piacere, e dico quasi, che potesse vedere i suoi due figli sposati, con una famiglia. Sarebbe stato mio suocero, almeno. E invece, mi dovevo accontentare, e non me ne pentivo, di una dolce suocera e di una cognata, nonché migliore amica, con cui passavo i week end più belli della mia vita.
“ Speriamo davvero sia una femmina …” sussurrai, accarezzandomi la pancia coperta dal mio vestito a fiori.
Quaranta cinque anni giusti giusti, ormai ero quasi a metà della mia vita. E, come ogni mio compleanno, Max mi augurava il buongiorno, mi dava quei suoi baci ammalianti sulla fronte e mi strizzava il naso, spensierato e sereno. E io lo amavo ogni giorno di più, sarei giunta ad amarlo più della mia vita ai cent’anni, di questo passo.
Uscii dalla stanza, e incrociai lo sguardo beffardo ma imbarazzato di Karl, i capelli ancora tutti spettinati ma la faccia pulita e limpida, in cui splendevano i suoi occhioni neri, perfetta copia dei miei.
“ Buongiorno madre, e buon compleanno.” La sua voce ormai matura per i suoi diciassette anni mi salutò come suo solito, gentilmente ma quel tono di imbarazzo tipico di ogni ragazzo che saluta sua madre la mattina.
“ Grazie Karl … tuo padre è giù vero?”
“ Si, penso stia chiamando zia Elly e nonna Elena …”
“ Bene …” sorrisi, accarezzandomi istintivamente di nuovo il grembo.
“ Quando nascerà?” mi chiese Karl.
“ Manca poco ormai … ti ho mai raccontato che tu non sei stato il mio primo figlio?” il ricordo nostalgico e malinconico di circa trent’anni fa mi tornò in mente, senza volerlo. Lui alzò il sopracciglio:” Intendi la storia del … francese? Me l’ha raccontata papà. Sei ancora triste per questo?” la premura di Karl mi commosse enormemente. Rividi gli occhi di Elly, tristi e dispiaciuti, in quelli di mio figlio, e mi venne da sorridere:” Non posso di certo cancellare qualcosa che mi ha condotto qui … a quest’ora avrebbe avuto forse ventinove anni … ma forse, sta meglio dove è adesso.” L’immagine del sangue dopo l’aborto mi si presentò come una fotografia negli occhi, e per un istante pensai che una lacrima mi stesse scendendo lungo la guancia. Mi portai il dito all’occhio.
“ Mamma ..”
“ non sto piangendo, tranquillo … sono solo felice di essere giunta fin qui, e di avere te e Max.” mi avvicinai e posai le mie labbra sulla fronte di Karl, che colto di sorpresa indietreggiò rosso in volto.
“ Ora scendiamo però …” concluse lui, in fretta. Mi aiutò a scendere al piano di sotto, tenendo gli occhi bassi per l’imbarazzo. Sorrisi per tutto il tragitto.
Appena fummo al piano terra, il mio sguardo cadde sul calendario, affisso alla parete lì vicino.
Guardai la data, e mi venne un sussulto al cuore. E capii all’istante le parole di Max della sera prima.
“ Quello di domani è un giorno da segnare negli annali.”
Aveva proprio ragione. Una data davvero particolare.

Il motore dell’auto rombò nel viale del giardino e corsi alla porta, ad accogliere i nuovi arrivati.
“ Siete arrivati giusto in tempo!” esclamai, avvicinandomi con le mani in tasca all’auto. La figura possente di mio cognato John uscì dal posto del guidatore, i suoi occhi simili per colore e espressione beata a quelli di sua moglie, nonché mia sorella Elly, mi scrutarono allegri:” Non potevamo non venire!” esclamò lui, porgendomi la mano.
I suoi capelli brizzolati rilucevano sotto la luce del sole, filtrata appena dagli alberi in giardino: “ Dov’è la festeggiata?”
“ Dentro … venite!”
Mia sorella Elly scese dalla macchina e mi venne incontro, con in braccio la pargoletta dai grandi occhioni azzurri, Emily:” Fratellino! Da quant’è che non ci vediamo?”
“ da … cinque giorni, da quel che mi ricordo!” risi, abbracciandola come sempre. Il suo viso non era invecchiato per niente, era sempre lo stesso viso serio ma che sapeva emanare una dolcezza infinita che solo lei possedeva e che sua figlia aveva ereditato. Pizzicai una guancia paffuta a mio nipote, che per risposta si accucciò nella spalla di sua madre, brontolando.
“ Vai con lo zio, su!” la presi in braccio e la feci giocherellare, il suo sorriso coperto solo da pochi dentini mi consolo del mio operato di buon zio che ero.
Un’altra macchina in quel momento giunse sul viale, era il resto degli ospiti a casa Schubert.
Il viso di mia madre, insieme a quello di mio suocero, apparvero allegri oltre il vetro della vettura. Agitai la mano felice, mentre l’auto si fermò sul viale e i passeggeri scesero dalla vettura.
“ Madre! Sono tanto felice di vederti!” baciai mia madre affettuosamente, e lei ricambiò calorosa, era più di un mese che non la vedevo in fondo:” Ti fa ancora male la gamba?”
“ non mi dà noia come prima diciamo!” la sua voce, invecchiata dagli anni, teneva sempre lo stesso tono saggio.
“ Il viaggio da Berna è stato lungo?”
“ Niente di che, non mi ha stancato per niente … e smettila di preoccuparti, so badare a me stessa! Non sono ancora del tutto fuori uso, nonostante la mia età!” In effetti, si dimostrava una vecchietta ancora piuttosto arzilla, nonostante gli anni che portava sulle spalle.
“ E io che mi preoccupo soltanto …” sorrisi, lasciando Emily tra le sue braccia per aiutare il signor Menuchin a scendere dalla vettura.
“ Come sta, signore?”
“ benissimo figliolo!” La sua allegria mi arrivò come una scossa, chiara e rilucente. Gli porsi il bastone da passeggio:” Tenga!”
“ Grazie mille … mia figlia è già sveglia?”
“ Sua figlia è sveglia come sempre, e più si fa grande, meno invecchia!”
“ Ah, l’ho sempre detto che tu sei il meglio! Accompagnami dentro, va!” lo presi sottobraccio e invitai gli altri a entrare in casa. Deborah e Karl mi attendevano sul portone.


Che riunione! Tutti a farmi i complimenti per la gravidanza, mentre io, rossa in volto, ringraziavo tutti senza dare troppo l’intenzione di essere visibilmente imbarazzata.
“Speriamo gli stia bene …” la signora Schubert mi mostrò la tutina cucita da lei stessa per il nascituro, e io me la rigirai tra le mani, contenta.
“ Sono sicura che gli calzerà a pennello …”
“ Karl, diventerai fratello maggiore!” l’esclamazione della nonna al nipote fece diventare il volto di solito pallido mi mio figlio paonazzo.
“ Nonna!” inveì lui, imbarazzato:” ho diciassette anni!”
“ Io trattavo così tuo padre, e lui non ha mai protestato! Vero Max?”
Sentii mio marito borbottare, e mi venne quasi da ridere:” Come no!”
Vidi Karl rigirare gli occhi infastidito, e risi divertita, insieme al resto della compagnia. Afferrai un pasticcino che era sul tavolo e lo assaggiai, facendo poi i complimenti a Elly per l’ottimo lavoro.
“ Sono riuscita a portarveli in tempo, altrimenti sarebbero finiti tutti in mano dei clienti!”
“ ma tu ci lavori in pasticceria! Come fai a dire che ti mancherebbero i dolci?”
“ Beh, si …” tirò fuori la linguaccia, per poi offrire il dolce a Emily, che lo addentò con i pochi dentini che aveva, sporcandosi il musetto di panna.
“ Sai Max … ieri ho visto una persona … non so te, ma ho voluto invitarla, ti dispiace?” intervenne Elena, guardando suo figlio che alzò il sopracciglio perplesso e poggiò la tazza di caffè sul tavolo.
“ E chi sarebbe?”
“ Oh, lo vedrai presto …” la vidi ammiccare, e poco dopo qualcuno bussò alla porta. Max si alzò per andare ad aprire, e appena aprì la porta lo vidi pietrificarsi di colpo.
“ da quanto tempo eh!”
“ Tu qui!” la voce di mio marito era a dir poco sorpresa e si notava la felicità nel suo tono di voce. Fece entrate l’ospite, che si tolse affabile il cappello che aveva in testa. La sua potente stazza superava addirittura quella di John, e non era cosa da poco. In più i suoi occhi sembravano arzilli e giovanili.
“ Salve a tutti, ho disturbato un momento importante?”
“ per niente …”mi alzai per dargli il benvenuto, e lui mi baciò galantemente la mano, sotto lo sguardo leggermente invidioso di Max.
“ la mia consorte Deborah …” mi presentò Max. Vidi l’uomo sorridere a Max:” Proprio come l’hai sempre descritta …”
“ Posso avere il piacere di sapere chi è lei?” chiesi, tanto per non rimanere fuori dalla conversazione.
“ Oh, le devo le mie scuse … Jordan, nonché amico di accademia e di guerra di suo marito Max. Ho incontrato per caso la signora Schubert l’altro giorno, e ho saputo dove abitava il mio amico. Ne ho approfittato, ma vedo che siete in riunione.”
“ Mi piacerebbe che rimanessi anche tu, dopotutto compio gli anni, e poi voglio conoscere chi ha aiutato mio marito durante la guerra!” lo invitai a sedersi, e lui molto garbatamente si mise a sedere accanto a mia suocera, unendosi al resto della conversazione.
Ecco il quadro di tutto, il più bello tra tutti quelli appesi in salotto, anche più bello della mia foto in abito da sposa, grande e vaporoso, in compagnia di Max, vestito di tutto punto con la medaglia attaccata alla divisa da soldato, il giorno del nostro matrimonio, e anche più bello del matrimonio di Elly, lei raggiante con i suoi occhi di zaffiro e l’abito anche più bello del mio e il suo John accanto a lei. Il quadro di quella situazione, il più vistoso insieme a tutte le foto messe sui mobili in casa, che raffiguravano la mia famiglia, la mia nuova famiglia, completa di Karl in tutti i suoi anni, di tutte le feste in paese in quegli ultimi anni, di tutti i sorrisi di famiglia.
Io e max, sposati da ormai venticinque anni e con un figlio, anzi due, da accudire; Elly e John, sposati pochi mesi dopo me e Max, e la loro figlioletta Emily, di appena un anno; Elena e Menuchin, che anche se ormai erano ridotti a due vecchietti con gli anni addietro, conservavano ancora quella spigliatezza e vivacità giovanile, tipica dei loro figli; e Jordan,l’omone robusto che aveva accompagnato Max durante la sventura della guerra, e che ora era un abile uomo, bello e con un sacco di esperienza alle spalle.
Tutti insieme, in serenità, riuniti per i miei quarantacinque anni. La giornata si potè annunciare una delle migliori della mia vita.

Dopo la festa, rimanemmo sulla soglia a salutare gli ospiti che tornavano alle loro case, mentre noi rientrammo dentro, stanchi ma felici.
“ Beh, direi che per oggi può bastare …” Karl si stiracchiò stanco, e fece per salire le scale, ma lo bloccai in tempo:” non ancora … figliolo, vieni. Ti devo far vedere una cosa.”
Vidi Deborah sorridere e avvicinarsi al calendario:” è questo?”
“ Esatto … dimmi, figliolo. Che giorno è oggi?”
“ il giorno del compleanno di mia madre?” il tono dubbioso di Karl mi fece ridere. Gli mollai una pacca sulla schiena:” Non in quel senso … data?”
“ 15 giugno del 1974 …” disse, ancora dubbioso.
“ Esatto, il 15 giugno del 1974 … sai che vuol dire?” intervenne Deborah, sfiorando la plastica del calendario.
Osservai Karl riflettere un momento, e poi il suo volto si rischiarò:” 15 – 6 – 74. 15674!” esclamò, indicando sua madre:” è il numero che portavi sul braccio o sbaglio?”
“ non c’è bisogno di urlarlo figliolo! Comunque è proprio lui, e al posto suo è rimasta questa …” Deborah sollevò la manica del vestito, e la cicatrice della sua ferita apparve, in tutta la sua profondità di significato:” il segno della mia libertà …” sorrise nostalgica, per poi rimettersi la manica a posto.
“ Mi sorprendo ancora oggi di come avete fatto a stare insieme voi due …” disse mio figlio, alzando le ciglia.
Risi e gli strinsi le spalle con il braccio:” Si chiama forza di volontà, figliolo …”
“ Ci credo!” sorride, e mi immortalai quel meraviglioso sorriso che aveva ereditato da sua madre. Anche lei sorrise, in modo perfetto.
La perfezione dell’attimo. Il numero che ci aveva legati, divenuto un simbolo.
E ancora a distanza d’anni, poteva far riecheggiare tutto se stesso come negli echi di un ricordo mai cancellato; l’amore in mezzo all’odio,l’amore che sopravvive a tutto.
L’amore impossibile che diviene realtà.
Grazie Deborah, grazie a me stesso. Grazie forza di volontà.
Non avrei cambiato il mio passato, per niente al mondo.


E CON QUESTO è FINITO. grazie ^__^
 
Top
Maria G.2
CAT_IMG Posted on 28/3/2012, 16:38




e così è finita ç-ç
mi sono persa un po' di capitoli ma ho recuperato ora :D
sei una delle mie scrittrici preferite cara, e hai solo...uhm..diciassette anni? prafa prafa!
 
Top
Rodja95
CAT_IMG Posted on 28/3/2012, 17:44




grazie cacchina <3 si, ho solo diciassette anni e scrivo meglio di EOW *risata maligna che più maligna non si può* :D
 
Top
119 replies since 2/8/2011, 18:31   666 views
  Share