| vabbè, tanto lo so che non me lo caga nessuno ... ma dato che non posso lasciarlo così' ... in sospeso ...
Capitolo 40
“ Ora voi ci spiegate per filo e per segno cosa diavolo è successo!” fu la mia delicata reazione nel vedere i corpi tramortiti delle SS lasciati per terra. Ancora non potevo crederci che un attimo prima la mia vita era appesa a un filo, o per meglio dire alla decisione della mia migliore amica, e che adesso io, John e Elly che si erano finalmente ricongiunti dopo tanto tempo e tutta la famiglia con il quale avevamo soggiornato io e John e Mark, l’autista, stessimo davanti a un fuoco acceso e scoppiettante, ad ammirare le stelle e a tirare sospiri di sollievo. “ Calma … è una storia lunga e tutte le storie lunghe hanno bisogno di tempo.” Rispose Mark, con un fare che a mio parere era snervante nei confronti del mio cuore, che ancora non aveva cessato di battere rapidamente dalla sorpresa. “ Sono tutta orecchi …” dissi, senza trattenere l’agitazione. Ero ancora tramortita da tutto quello che era successo nel giro di nemmeno dieci minuti: Vedere Mark e John affacciarsi al furgone, Elly saltare letteralmente addosso a John dalla contentezza, essere travolta dalla famiglia di Miriam e essere stretta da Anna in lacrime, accorgersi che i soldati erano per terra, senza sensi e accorgersi che John aveva una ferita al braccio; la miscela di tutti questi elementi messi insieme aveva scosso profondamente il mio animo. Dal terrore al sollievo in un batter d’occhio. Pensai immediatamente che se avessi raccontato questo ai posteri, di certo mi avrebbero preso per pazza. Comunque, mi era ancora ignara la ragione per cui tutto si era risolto così velocemente, dunque stetti ad ascoltare ogni singola parola che usci dalla bocca di Mark:” Da dove posso cominciare … ricordi la notte in cui tu e Elly, insieme a Max, fuggiste dal campo? Io vi accompagnai dai Mendel, di cui mi avvedo è sopravvissuto solo John …” guardò per un attimo il ragazzo, che abbassò lo sguardo, rifugiandosi sulla spalla di Elly, a cui stava abbracciato:” Anche se naturalmente, non sappiamo che fine abbiano fatto veramente i signori Mendel … Ma non vaneggiamo!” come per scacciare le parole appena dette, Mark agitò la mano davanti al viso, e poi riabbassò la postura, appoggiando le braccia sulle gambe piegate: “ Pochi giorni dopo, mentre passavo in città, un uomo mi chiese dove si trovasse la residenza dei Mendel.” Sollevai lo sguardo verso di lui con fare dubbioso. Lui incrociò i miei occhi e ricambiò come per tranquillizzarmi: “ Calma, Deborah. Non era un soldato, bensì il dottore che ti curò, da quello che mi riferirono. Dopo avergli indicato la strada, lo seguii in gran segreto e da uno dei dottori seppi della tua malattia, e che infine guaristi. Ma mi accorsi di una cosa che mi diede modo di agire fino ad arrivare qui ..” Prese un sospiro, e soffiando via l’aria che aveva accumulato, continuò a raccontare: “ Uno dei dottori venuti per l’operazione mi sembrò sospetto … gli feci alcune domande sotto minaccia, e lui mi rivelò la sua natura di spia. Doveva aver saputo in gran segreto che vi trovavate laggiù.” Elly trattenne un grido di disgusto, John la strinse di più a sé. Anche Miriam e i suoi familiari stettero in ascolto con il fiato sospeso:” Purtroppo, non riuscii ad evitare ciò che si cela tra le canne poco distanti da qui …” disse riluttante, e anch’io rabbrividii. Al sol pensiero di un corpo in putrefazione che, sicuramente, adesso marciva sul fondo della palude lì vicino, mi sarebbero saliti conati irrefrenabili di vomito. Ricordai con terrore i vestiti bagnati di sangue, e la paura dentro i miei occhi. “ Poi cosa successe?” lo incitai a continuare, per scacciare il pensiero del cadavere dalla mia mente. “ Sapendo che vi avevano scoperte, decisi di infiltrarmi. Era l’unico modo per poter sapere dove vi avrebbero portato, per poi poter agire al momento opportuno. Elly …” Si volse verso la ragazza:” Ti sei mai accorta di me?” “ In che senso?” fece lei, un po’ confusa. “ Ricordi che durante i viaggi da un ghetto all’altro, c’era sempre lo stesso autista?” domandò lui, con fare misterioso. Le si illuminarono gli occhi dalla sorpresa:” Non ci avevo mai fatto caso fino ad oggi … era sempre un tizio taciturno, con il berretto ficcato in testa e gli occhi non riuscivo mai a vederglieli ...” Interruppe il suo flusso di pensieri per poi girarsi verso l’autista. Gli osservò le mani; tenevano strette lo stesso berretto che aveva visto indosso all’autista:” Non dirmi che …” “ Ho dovuto usare un travestimento per fare in modo che tu non mi vedessi né sospettassi chi fossi ..” disse lui, sorridendo:” anche se le SS non sospettavano per niente di me, non dovevo dar l’impressione di conoscere la prigioniera 65.” Concluse, sospirando. Tutta quella parte di racconto mi aveva tolto tantissime domande dalla testa. Ma restava una cosa da chiarire; cosa era successo durante il breve colloquio con Elly dentro il furgone? “ Fino a qui mi è tutto chiaro … ora però puoi dirmi cosa è successo pochi minuti fa? E com’è che John si ritrova con un braccio ferito?” dissi io, spronando il caro Mark a finire la storia, mentre Anna si apprestò a curare la ferita di John. Non era niente di grave, ma per evitare rischi infettivi, meglio agire in quel momento. “ Come ho già detto, mi ritrovai a fare l’autista delle spedizioni di Elly. Seppi anche di quella cosa, ma purtroppo dovevo restarne fuori …” non sapevo a cosa si riferisse in quel momento, ma vedere lo sguardo di Elly abbassarsi fino a sfiorare la terra mi fece presumere che l’argomento fosse piuttosto delicato. Non osai chiedere. “E si arrivò a questa notte. L’unica cosa di cui non ero certo è che tu è John vi stesse nascondendo da queste parti. Quindi, appena vidi che le cose erano giunte al capolinea, mi decisi ad agire.” Fu con quelle parole che iniziò a raccontare come, vedendo che quella uscente dalla botola ero io, uscì dalla macchina: “ Appena uscii dal posto del guidatore, vidi la guardia che ti metteva dentro il furgone, e senza neanche che se ne accorgesse, lo colpii alla nuca con il manico della pistola che tenevo nascosta sotto la giubba. Quello …” indicò uno dei corpi, ancora dormiente:” Cadde all’istante, senza emettere il minimo rantolo. Quello sulla macchina non si era accorto di niente, per il momento. Poi vidi John che tornava correndo … E il resto ti dispiace se lo racconti tu?” chiese al ragazzo, che si schiarì la voce e continuò da dove l’uomo si era fermato:” Certo. Ero uscito come guardia, e appena visto il furgone mi ero nascosto di modo che non mi notassero. Poi, vedendo qualcuno cadere, mi sono avvicinato un po’ di più, e a quel punto mi sono accorto che si trattava di Mark.” Interruppe il racconto emettendo un rantolo, poiché Anna aveva stretto la benda attorno al suo braccio: … Mi ha detto di stare all’erta e di vedere cosa sarebbe successo. Improvvisamente il soldato a bordo è uscito dalla macchina. Siamo rimasti dietro il furgone, in attesa che arrivasse, e appena è arrivato, abbiamo cercato di disarmarlo e di fargli perdere i sensi. Quel fetente è riuscito a estrarre un coltello svizzero dal suo giubbotto e a ferirmi conficcandomi la lama nel braccio, Ma è caduto a terra dopo il calcio nello stomaco di Mark. Dopo di che abbiamo aperto il furgone e ci avete visti. Tutto qui.” Finì di dire il tutto, espirando tranquillo e abbandonando la testa sulla gambe di Elly. Si sdraiò, come stanco di quella nottata, mentre la sua ragazza gli accarezzò dolcemente la testa. Ora mi era tutto chiaro, sin troppo. E non potevo fare altro che tirare un lieve, ma esistente, sospiro di sollievo. Dopo tanto tribolarmi, ero giunta al ricongiungimento con una parte del gruppo iniziale. Ma mancava ancora quella fetta della torta più gustosa, la ciliegina sulla torta. Sperando, ovviamente, che fosse ancora vivo, non vedevo l’ora di poter rivedere Max e di vivere con lui per il resto dei miei giorni, come sarebbe stato giusto fare. Sollevai il naso e guardai il cielo stellato. Il loro luccichio mi donò tranquillità.
Fantastico. Era davvero bellissimo che si fosse giunti a tale conclusione. Io e John, finalmente, ci eravamo potuti riabbracciare, avevo rivisto Deborah, e la comparsa improvvisa di Mark e di quel gruppo di persone che era stata vicina a Deborah e John per il periodo in cui ero andata “ a caccia” era stata una piacevole sorpresa. Ora mancava solo Max all’appello, e di far sapere, quando il momento sarebbe giunto, a nostra madre che eravamo sani e salvi. Non sapevo quanto tempo sarebbe servito a compiere tale impresa, speravo il più presto possibile ovviamente. L’altra cosa che mi preoccupava era la seguente: Cosa avremmo fatto d’ora in poi? “ Mark, hai qualche piano in mente adesso?” chiesi, continuando a grattare dietro le orecchie di John, che mugolò soddisfatto come un gatto quando fa le fusa. “ Ho deciso di portarvi direttamente dove si era deciso sin dall’inizio. Restare qui, in Germania, è sin troppo rischioso per voi che siete come latitanti.” Disse lui, con tono davvero deciso:” Ho già provveduto a procurarmi tute a sufficienza per farvi passare inosservati.” “ E loro?” Sbottò Deborah all’improvviso, indicando Anna, Jim e tutto il resto della compagnia. Mark li guardò, gli occhi gli si contrassero in una smorfia di dispiacere:” Purtroppo non ho abbastanza tute per tutti … e non ho taglie adatte a bambini, in fondo sono uniformi delle SS, non vestiti di tutti i giorni.” Deborah sembrò colpita da quelle parole e tentò di ribattere, ma stavolta ricevette la risposta di Joseph, che con un insolito fare pacato ribatté: “ Non c’è bisogno che noi veniamo con voi. Qui, fino ad oggi, nessuno ci ha scoperti. E di certo, se elimineremo ogni prova di stasera, saremo ignoti a tutto per lungo tempo. E poi … cosa vuoi che facciano quelli lì? Si ricorderanno a malapena ciò che è successo stasera!” indicò ironicamente I soldati ancora mezzo tramortiti, che dormivano russando sonoramente, sotto lo sguardo divertito del resto del gruppo. Deborah non sembrava per niente d’accordo con la loro scelta, ma venne convinta alla fine dalla carezza che la donna, che si chiamava Anna, le fece alla guancia:” Cara, sei troppo altruista, te l’hanno mai detto?” “ Sin troppe volte ..” replicò l’ebrea con un broncio scocciato che mi fece scappare un fugace sorriso. “ Dovresti seguire ciò che dicono gli altri … noi ce la caveremo, non devi preoccuparti.” La strinse a sé, lasciando che la ragazza si abbandonasse sul suo seno, cosa che fece chiudendo gli occhi e rilassandosi. “ Va bene … anche se non mi va a genio comunque …” replicò lei, con voce calma. Sorrisi e solo in quel momento mi accorsi che il baldo giovanotto sulle mie ginocchia si era bello addormentato. Miriam, la piccola, si avvicinò ad osservarlo nella sua placidità:” Sembra un angelo quando dorme.” “ Lo è anche quando è sveglio.” Mi chinai su di lui, e lo baciai vicino all’orecchio leggermente. Sussultò senza svegliarsi e girò la testa, verso di me. “ Direi che dovremmo seguire il consiglio di John … Dormiamo, domani mattina presto partiremo subito.” Fece Mark, alzandosi e iniziando a gettare terra sul fuoco per spegnerlo: “ Le donne rientrino subito, gli uomini mi aiuteranno a portare quei cosi lontano da qui.” Noi donne non replicammo minimamente. Ero stanca morta, così con una lieve scossa svegliai John per potermi alzare e mi feci accompagnare nelle celle sotterranee. Mark, Joseph, Jim e Albert si caricarono i corpi sulle spalle e sparirono nel buio illuminato solo da lanterne. Sprofondai nel sonno più profondo appena poggiai la testa sulla branda, accanto a John. Domani mattina sarebbe iniziato un nuovo capitolo, forse il finale, di tutto l’andazzo che mi aveva coinvolto fino a quel momento.
Capitolo 41
Ormai i giorni sul campo volavano e si dissolvevano come neve al sole o come attimi spazzati da battiti di ciglia. Fatica, sangue, bombe e disperazione erano le parole chiave su una terra ormai arsa dal calore delle fiamme e stanca di essere pestata da pesanti scarponi, intenti a fuggire più che a lasciare la loro traccia su quel campo maledetto. Alla fine rinunciai a tenere il conto dei giorni che passavo lì, in quell’inferno, rinunciavo anche alle speranze di poter tornare un giorno, davvero, a vivere in pace, lontano da tutto quello. L’apocalisse stava per colpirci tutti, non c’era più niente da fare, e io ero rassegnato a essere spazzato via insieme al resto. Nonostante però il senso di oppressione, la debole fiamma della speranza di poter di nuovo rivedere il resto del gruppo, e soprattutto Deborah, era l’unica fonte di calore che riuscisse a scaldare un poco il mio cuore, ormai chiuso nella morsa di ghiaccio della freddezza di sangue tipica di ogni soldato che si rispetti. Forse era proprio quella a mandarmi avanti nella missione. Sognavo, ogni notte, di poter rivedere mia sorella, mia madre, Jordan, scomparso da secoli ai miei sensi, e, anche se il mio odio per lui non mancava di esistere, mio padre Frank. Sì, anche l’uomo che sotto il consiglio di Xavier mi aveva spedito in anticipo negli inferi sulla Terra. Anche lui iniziava a mancarmi, e mi chiedevo anche se poche volte, cosa stesse facendo, cosa stesse pensando. Un’ossessione, seppur piccola, che riusciva a mandarmi avanti nelle missioni più difficili. E venne un giorno in cui questa ossessione mi aiutò in un altro modo, di certo inaspettato. Pensai veramente, quando accadde, che tutta la mia vita stesse per svenire per colpa di un caldo dolore accanto al mio cuore.
Corsi in postazione, e riuscii ad evitare solo per caso una scarica di mitra distante un cinquecento metri dai muri dove mi riparai dai colpi. Alcuni proiettili riuscirono a colpire un soldato, che finì a colabrodo sulla terra macchiandola con il suo sangue. La vista di quell’orrore mi fece salire la nausea. “ Che schifo …” sibilai, mentre caricai gli ultimi colpi rimastimi a disposizioni. Dovevo attendere che mi arrivassero le munizioni, l’unica cosa da fare era rimanere dietro quel muro e aspettare che venisse qualcuno. Non potevo sprecare le ultime cinque cartucce rimaste in tasca, nel caso di un attacco a sorpresa non potevo permettermi negligenze come sparare a caso senza nemmeno colpire chi avevo davanti. Una goccia di sudore mi pizzicò la pelle, mi stropicciai gli occhi stanchi e osservai oltre il muro di mattoni. Sagome in lontananza continuavano a correre o cadere, sentivo colpi provenire da tutte le parti e non avevo la più pallida idea di cosa diavolo stesse accadendo. Un soldato stava venendo dalla mia parte, aguzzai la vista e caricai un colpo. “ Sono dalla vostra parte! Sono dalla vostra parte!” urlò quello, avvicinandosi. Solo allora notai lo stemma dell’aquila sulla sua giacca e abbassai l’arma. Lui mi vide e si mise insieme a me dietro il muro. “ hai munizioni?” fu la prima cosa che gli chiesi appena mi fu vicino. “ Penso di si …” frugò nella tasca e tirò fuori una scorta intera di proiettili che mi porse senza esitazioni: “ sei rimasto senza?” “ A quanto pare sì, grazie amico. Cosa è successo?” chiesi, mentre riempivo la mia scorta con i proiettili del nuovo arrivato. “ Un altro attacco a sorpresa, mi hanno mandato a chiedere rinforzi. Alcuni dei nostri sono stati fatti fuori da colpi volanti del nemico, deve averci scoperto …” “ Non ci voleva … vengo con voi.” Mi affrettai a rendermi utile, di certo non potevo restare lì come un allocco mentre gli altri morivano senza dignità: “ Da che parte si va?” “ Ti guido io … arrivati lì, ci separeremo, tu andrai dalla squadra del cadetto Jordan …” “ va ben … C- Cadetto Jordan??” urlai quasi quel nome, tanto ero sorpreso. Lui mi guardò con aria perplessa: Ho detto qualcosa di strano?” “ No …” altro che aver detto qualcosa di strano, aveva appena accennato a qualcosa che non mi aspettavo. Poteva benissimo essere un altro Jordan quello che aveva appena nominato, ma sentivo, in qualche modo, che era il Jordan che conoscevo. Mi misi a seguire il soldato, alimentato dalla speranza che quello che aveva nominato fosse davvero il mio amico. Raggiungemmo il fatidico posto di guerra in dieci minuti, e ad accoglierci fu una strattonata all’uniforme che mi fece inciampare. Il mio corpo sentì violentemente la caduta all’indietro, mentre una voce mi suonò alle orecchie:” sta giù ..” Era un sussurro, ma non riuscii a vedere da chi provenisse. Sentii l’urto deviato di una pallottola che scalfì il muro dietro il quale mi ero riparato. Mi alzai carponi, e presi il fucile pronto a sparare. “ Com’ la situazione?” “ Sono in pochi, ma hanno un calibro 32 dalla loro parte. Brutta faccenda, quella ci può uccidere seduta stante.” Fece quello accanto a me. Mi misi sul bordo del muro e sparai un colpo, mirando alla testa di un soldato che riuscii a intravedere nella polvere. “ Meno uno ..” dissi, per poi puntare il mirino verso un altro scorcio nero. Sentii improvvisamente una mano schiacciarmi la testa e spingermi verso il basso, e questo fece deviare il colpo della mia pallottola, che andò a scemare tra la polvere del campo. “ ma cosa …” imprecai, a causa del dolore che avvertii alla schiena, ma appena aprii gli occhi, notai che sopra di me stava il viso più familiare che conoscessi da quelle parti. Il muscoloso uomo stava sparando con precisione assurda. “ Jordan …” sussurrai, per poi alzarmi e scostarmi in fretta. Volli vederlo bene in faccia, i lineamenti dalla prospettiva di prima potevano benissimo essere un gioco di luci. Ma appena mi misi accanto a lui, gli occhi azzurri e per niente freddi del ragazzo che tempo fa se n’era andato senza dire niente mi guardarono sorpresi. “ Non ci scommettevo più nel rivederti … come te la passi?” disse, quasi sorridendo e rimettendosi a guardare il campo, mentre io ero paralizzato dalla sorpresa. “ oddio …” fu l’unica cosa che riuscii a far uscire dalla mia bocca. Finalmente, ero di nuovo accanto a lui, inspiegabilmente ma ero di nuovo insieme alla persona che mi aveva sostenuto di più nei giorni di rabbia e frustrazione in Accademia e sul campo. Era stranissimo ritrovarsi accanto a lui, anche in quella situazione così di giornata per me come soldato. “ Beh .. il gatto ti ha mangiato la lingua Max?” disse, con fare scherzoso. Sinceramente, non avevo tanta voglia di scherzare, ma lui sembrava talmente a suo agio che un po’ della sua tranquillità mi arrivò e mi sciolse le parole in bocca :” Cosa diavolo ti è preso l’altro giorno??” gli urlai addosso. “ Volevo divertirmi un po’, tutto qui! Ti ho fatto preoccupare? Che tenero!” esclamò, mostrando un sorriso inadeguato alla situazione. “ Preoccupare? Sono morto accidenti! Dimmelo quando fai certe cose!” stavo urlando addosso al mio amico accecato dalla rabbia, nonostante fossi felice di averlo di nuovo accanto a me. “ La prossima volta ti mando una cartolina prometto! Ma vedo che te la sei cavata comunque!” fece, poggiandomi una mano in testa e strofinandola sul mio elmetto. Rimasi basito davanti alla sua azione, e non spiccicai altra parola. Mi limitai a mettermi in posizione, pronto a sparare chiunque mi attaccasse. Ero felice, in fondo, felice di riaverlo accanto a me. Ma può la felicità uccidere una persona o solo ferirla? Mi diedi una risposta da me, quando la vista mi si annebbiò all’istante, e un calore immenso e doloroso mi si diramò nel petto. “ Max!!” sentì l’urlo di Jordan, ovattato e non troppo stridulo. La presa sul fucile si allentò, sentii il mio corpo spinto verso il suolo, mentre con la coda dell’occhio vidi un foro nel muro dove prima ero appoggiato. “ Max!” un altro richiamo, ancora più ovattato. E poi buio.
Mi svegliai di colpo in un bagno di sudore. Avevo il fiatone, e appena mi poggiai una mano sul cuore, avvertii il battito accelerato a mille. Avevo fatto un incubo, ne ero certa. Avevo appena premonito qualcosa che ancora mi stava scioccando da sveglia. Le immagini del sogno mi passarono davanti agli occhi come fotografie: Io da sola in mezzo a un cerchio di fuoco, il suono di un proiettile, le fiamme che si erano alzate per magia e io che morivo dal caldo e dalla paura. La comparsa del numero 15674 sulla terra. In fiamme anche quello. Una voce in lontananza che chiamava il mio nome. Cosa diavolo fosse stato non ne ero certa, ma un’orrenda sensazione mi stava lentamente uccidendo. Il mio pensiero, non seppi mai perché, volò alla sola persona che in quel momento il sogno mi rammentò: Max. Doveva essergli successo qualcosa, di sicuro. Ma non ne ero sicura, eppure … un enorme fastidio mi premeva il petto soffocandomi in atroci sofferenze di spirito. “ Max .. Max .. Max …” ripetei il suo nome a ritmo del mio respiro, mentre lacrime silenziose si fecero strada sulla mie gote.
Capitolo 42
Un buio pestilenziale mi invadeva gli occhi, mentre l’udito era ovattato e un penetrante odore di alcool mi penetrava le narici. Non sentivo niente di definito, solo un rombo ovattato, come se qualcuno stesse parlando, ma io non stessi sentendo nessuna delle sue parole. Poi, un suono, sempre più definito e assordante, prese spazio tra il trambusto che mi perseguitava i timpani: un ticchettio, qualcosa di discontinuo ma regolare, a ritmo del mio cuore che constatai battere ancora. Dopo aver sentito il calore estenuante e i sensi mancare dopo il colpo sul campo, avevo seriamente pensato che la mia vita fosse finita. Anche se mi ero stupito del fatto che il solito filmino sulla vita non mi fosse passato davanti agli occhi. Tentai di reagire al buio, e cercai in qualche modo di fare in modo che i miei muscoli sforzassero qualche movimento. Come risposta ottenni uno schiarimento del buio nei miei occhi, e se prima l’udito era ovattato, ora potevo sentire la cantilena divenire richiamo: il richiamo del mio nome, ma da parte di una voce femminile, e che subito riconobbi. “ madre …” la mia voce uscì dal nulla, mentre uno spiraglio apparve e la luce mi accecò. Da tutto sfocato vidi nitido, constatai che un apparecchio registrava i battiti del mio cuore, e che accanto a me, oltre a Jordan, c’erano anche quegli occhi colmi di amore materno tipici della mia genitrice, che mi guardò con le lacrime che stavano per esplodere. “ max! Figliolo … sei vivo!” sentii il caldo delle sue labbra poggiarsi sulla mia fronte, mentre io sorrisi, cercando di capire dove fossi. Girai la testa, e vidi file di letti accanto e davanti a me. Altri soldati, tutti fasciati, stesi sulle loro brande o in compagnia dei loro familiari, vivevano la mia stessa situazione dentro una stanza dall’alto soffitto e odorante di medicina. “ Sono vivo …” esclamai, afferrando delicatamente la mano di mia madre, che me la strinse baciandola avidamente:” Mi sei mancata madre ..” “ Anche tu figliolo … quando ho ricevuto la chiamata dall’ospedale, non ho esitato a venire, ho temuto il peggio per mio figlio …” le lacrime si fecero strada sul suo viso segnato dagli anni ma ancora fresco, e mi fece tenerezza vedere tutto il suo amore rivolto verso il figlio ritrovato. “ menomale amico … ho temuto davvero che fossi morto quando ti hanno colpito …” Jordan era dall’altra parte del letto, e appena mi voltai, vidi oltre al suo sorriso rincuorato il riflesso di una piccola lacrima che si era frenata prima di uscire totalmente:” Stavi per metterti a piangere?” scherzai con lui, per sdrammatizzare il tutto, e lui si asciugò rapido il residuo, sfoggiando uno dei suoi bellissimi sorrisi amichevoli:” O, non prendermi per una donnicciola!” Risi, e anche mia madre lo fece:” Grazie di cuore, ragazzo … senza di te, mio figlio sarebbe stato perso …” “ Si figuri, signora, per me è stato un onore …” Vidi l’imbarazzo di Jordan in volto e sorrisi compiaciuto. Girai la testa verso un comodino di legno accanto al letto, e notai una piccola forma tondeggiante, metallica. “ Cos’è?” chiesi, tentando di prenderla con la mano libera. Mia madre mi precedette:” è la tua medaglia al valore … la danno a tutti i soldati che si sono congedati dalla guerra … dimostra quanto vali, figliolo mio …” ma le porse in mano, e la rigirai fra le dita, ammirandone il disegno a rilievo e la piccolezza. riluceva di una luce giallognola, quasi bronzea, e me la puntellai sul petto, per provarmela. Mi piacque tantissimo. “ Bella vero? Guarda la mia!” Jordan mi mostro la sua, così piccola in mezzo alla robustezza del suo petto, e sorrisi, ancora una volta riuscii a sorridere nonostante fossi quasi morto. E ora ero lì, su un letto sicuro, con mia madre e il mio migliore amico. Stavo bene, non benissimo, ma bene. E sarei stato meglio appena mi sarei ricongiunto con l’altra metà di me stesso. “ Io vado, vi lascio parlare, avrete tante cose da dirvi in fondo … Ci vediamo, amico.” Jordan si alzò dalla sedia, lasciando me e mia madre a parlare da soli. Lo salutai con un cenno della mano, e poi lo vidi voltare le spalle in direzione dell’uscita dalla stanza. Rimasi a quattr’occhi con mia madre. “ Sono felice … sai?” “ Anch’io … è da una vita che volevo parlarti, figliolo …” “ anch’io madre, anch’io … e mio padre? Come sta?” Sì, mi importava anche dell’uomo più malvagio che avevo finora incontrato nella mia vita. Vidi il volto di mia madre scurirsi leggermente:” è morto …” disse flebilmente. Sobbalzai alla freddezza di quella risposta, un silenzio di tomba si sovrappose tra noi due. “ Come è successo?” “ Infarto … dicono che la falsa notizia della morte del Fuhrer l’abbia a tal punto traumatizzato che …” “ Il Fuhrer è morto?” quasi urlai, e mia madre mi zittì all’istante con lo sguardo:” Tu non puoi saperne … pochi giorni fa hanno attentato alla vita del Fuhrer … ti ricordi dell’Operazione Valchiria? Si dice che l’abbiamo modificata per fare in modo che la repressione andasse contro lo stesso Hitler … dopo averlo ucciso, gli attentatori avrebbero preso il controllo del governo … invece sembra che il colpo sia andato a vuoto …” Mi ricordavo dell’Operazione Valchiria, ma sapere che era andata a fallire mi deluse profondamente:” Pensa se davvero fosse morto … a quest’ora molte cose sarebbero cambiate.” “ Hai ragione … ma adesso non pensiamoci … a proposito …” vidi un sorriso incoraggiante sul volto di mia madre: “ poco fa mi sono messa in contatto con Mark … ho una buona notizia.” “ Mark? Davvero? Cosa ti ha detto?” Un largo sorriso si stampò sul volto di mia madre :” Deborah e Elly sono salve, e a breve le potremo riabbracciare.” Una gioia immensa e indescrivibile si fece spazio dentro di me.
“ Deborah, sei sicura che vada tutto bene?” Elly sembrava preoccupata, dopo averle raccontato del sogno la sua irrequietezza per il viaggio era aumentata a dismisura. La sensazione che mi aveva attanagliata lo stomaco quella notte, quando mi ero svegliata di soprassalto a causa dell’incubo, era sparita per il momento, anche se persisteva una strana nausea che non mi lasciava in pace. “ Si, ormai è tutto passato …” la rassicurai, tornando a guardare fuori dal finestrino del furgone con il quale Mark ci stava portando verso il confine. “ Mmh …” la mia amica mugolò appena, tornando a poggiare la sua testa sulla spalla di John, immerso nei suoi pensieri. “ Ragazze, manca poco, resistete ancora un po’ …” Ci disse Mark, con tono rassicurante. Immersi i miei occhi nella luce del sole che stava appena sorgendo all’orizzonte, e mi persi nelle ombre notturne incastonate in ogni albero sul ciglio della strada che correva davanti ai nostri occhi con velocità impressionante. “ Sei sicuro che passeremo inosservati?” domandai, ancora in ansia per il progetto di fuga. Lui mi rivolse un’occhiata di intesa dallo specchietto retrovisore. “ Ho il piano B nella manica, soprattutto nel tuo caso … sempre se te la senti …” “ Che piano B?” non ne sapevo niente, quindi qualcosa come una lieve angoscia prese possesso dei miei sensi. “ Niente di pericoloso … ho con me un siero che simulerà la tua morte.” “ un siero di morte apparente?” ero a dir poco scioccata dalla rivelazione di Mark, lui divertito mi squadrò sempre dallo specchietto, notando che anche Elly e John si erano incuriositi. “ Esatto … nel caso le guardie di confine non si fidino, berrai solo qualche goccia del siero che ti darò. All’inizio sarà doloroso, poi sarà come aver preso un potente sonnifero. Quando ti sveglierai, sarai a destinazione. Te la senti?” mi chiese, continuando a guidare e svoltando per un bivio sulla strada, verso sinistra. Io rimasi a riflettere sulla capacità di quell’uomo di escogitare piani davvero geniali, e poi annuii:” Sono disposta a tutto per la mia libertà.” “ bene … ecco la linea di confine … state pronti. Eccoti il siero.” Mark mi porse una boccetta, contenente un liquido trasparente, che all’olfatto era inodore:” Bevilo solo se te lo dico io.” La macchina si fermò davanti alla sbarra, mentre un gruppo di uomini in divisa si avvicinò alla vettura. Potei intravedere oltre i finestrini dell’automobile alte montagne ricoperte di neve e una strana sensazione di purezza mi invase le vene. “ Porta merce con sé?” chiese uno degli uomini, un uomo con un paio di baffi grigiastri in volto. “ Niente, solo passeggeri signore.” Rispose con assoluta calma Mark. L’uomo con i baffi non sembrò osare guardare oltre i finestrini della vettura, e io non ebbi certo intenzione di dare nell’occhio. Era già stata una buona idea tagliarmi di nuovo i capelli, stavolta più corti, per non farmi riconoscere subito, e travestire la cicatrice al braccio con delle maniche lunghe, nonostante il caldo estivo. “ potete passare … alzate la sbarra!” uno degli uomini di guardia entrò in un casotto lì accanto, e alzò la sbarra di confine. La macchina passò oltre, e appena il posto di blocco fu lontano, tirai un enorme sospiro di sollievo:” siamo salvi … e non c’è stato neanche bisogno di questo!” feci, agitando la boccetta. “ Già, menomale … ma mi servirà per fare un altro viaggio, quella …” “ in che senso?” “ Vi porto a destinazione, poi dovrò ripartire … devo ancora fare una cosa urgente.” La frase criptica di Mark mi fece tenere il dubbio, ma non vi diedi troppo peso. Un primo scorcio di paesaggio svizzero, completo di cascata a torrente scrosciante su un lato di una collina verdissima, fu un toccasana per il mio cuore. “ Casa dolce casa …” mormorai.
Non me ne frega niente, ci sono altri 3 capitoli e ve li ciucciate tutti comunque XD
Capitolo 43
Una casa in mezzo alla natura incontaminata, incastrata nel legno dei tronchi che ne componevano la struttura, con quell’odore caratteristico del muschio bagnato di prima mattina, misto a quello della dolce libertà di cui ormai potevo godere. Il tutto incorniciato da uno sfondo di montagne innevate, lontanissime ma vicinissime allo stesso tempo, di cui volevo toccare, sfiorare anche con un solo dito la presenza eterna che da sempre avevano in quel posto. La Svizzera, posto di pace in mezzo alla guerra, fuga per tanti alla ricerca di un momento di tranquillità. Non potevo desiderare di meglio. Anzi, una cosa c’era, ed era inevitabile che non pensassi che fosse indispensabile. Volevo rivederlo. Anzi, rivederli. Si, entrambi. Da quel che Elly mi aveva raccontato entusiasta appena arrivati al rifugio, avevo capito che non ero la sola di sangue ebreo della mia famiglia ancora rimasta viva. Non riuscivo a spiegarmi ancora, in mezzo a lacrime di pura gioia, come mio padre fosse sopravvissuto a tutto quello, e come avesse conservato il suo carattere pacato che usava con sua figlia. Elly era stata chiara con me sin dall’inizio:” Non ho faticato a paragonarlo a te, avete davvero lo stesso sguardo.” “ Dici?” l’avevo detto con la voce tremante, stretta a lei dalla felicità:” Davvero ha conservato quegli occhi?” “ Se intendi quello sguardo carico di saggezza e tanto simile al tuo, stai certa che è proprio quello …” “ Come stava? Lo trattavano male?” “ Non sembrava in cattive condizioni , ma non si può dire che sprizzasse gioia da tutti i pori …” Sorrisi mesta a quell’affermazione, solo ricordarmi che era ancora in prigione mi faceva abbassare il buon umore di parecchio. Anche se dolo il sapere che era vivo mi aveva a dir poco resa felice. E ancora di più, la notizia che Mark stava per partire a prendere l’altro elemento che non vedevo proprio l’ora di rivedere: Max. “ Passerà un giorno prima che io torni con i nuovi ospiti … cercate di ambientarvi, sarò di ritorno presto, non preoccupatevi.” Aveva detto, dopo aver messo in moto la vettura. Io mi ero avvicinata al finestrino prima che lui partisse:” Non esitare a tornare, va bene?” “ Ricevuto, fanciulla. Vedrai, filerà tutto liscio come l’olio!” Mark sorrise, e poi tirò il freno a mano. La vettura si mosse, e sollevò un enorme polverone, lasciandomi dietro una scia di speranza e angoscia mescolate insieme. Ci sarebbe voluto un giorno, un giorno miserabile che non vedevo l’ora passasse il più in fretta possibile. Ero una tipa paziente alle volte, ma per questa volta quella mia pazienza era andata leggermente al diavolo. Non vedevo l’ora che, all’alba di domani, la macchina di Mark fosse nel viale sotto casa, stavolta piena di amore e persone amorevoli.
La nuova dimora era davvero confortevole, e non esitai a dare un’occhiata a ogni minimo mobilio presente in quella casa, che all’interno sapeva di erba fresca di bosco. “ è davvero bella … e tra un giorno lo sarà ancora di più!” esclamai, girando su me stessa nell’ampio salottino, sotto lo sguardo del mio John. “ Vedo che sei felice Elly …” mi disse, avvicinandosi a me. “ lo sono, John, tanto … non vedo l’ora che anche Max possa riunirsi a tutti quanti … mi manca tanto …” mi accoccolai sul petto del mio uomo, mentre lui mi circondò con le sue braccia:” Dicci che Deborah piangerà appena lo vedrà?” “ Forse … ma le sue lacrime non saranno certo di rammarico, bensì di gioia … sarà come se sorridesse in un modo alternativo!” mi rispose John schioccandomi un bacio sulla guancia. “ Hai ragione … a proposito di familiari … hai saputo qualcosa dei tuoi?” mi morsi quasi la lingua dopo aver pronunciato quella pungente domanda. Spostai alla svelta lo sguardo su John :” oddio, non volevo fartelo …” “ Non so ancora niente sui miei genitori, ma data la pelle dura di mio padre, spero solo che siano vivi, dovunque essi siano.” Replicò, con viso apparentemente tranquillo:” Non preoccuparti Elly, i tuoi futuri suoceri ti vedranno sull’altare, non mancheranno di certo!” sorrise a trentadue denti, facendomi arrossire fino alla punta dei miei biondi capelli. “ John! Che sciocco che sei …” mi strinsi a lui ancora di più:” Davvero vuoi sposarti al più presto come mi hai detto ieri?” “ Assolutamente, il più presto possibile.” Lo aveva sussurrato tanto vicino al mio orecchio che aveva tremato leggermente. “ Ne sei sicuro? Sappi che sono una tipa difficile da sopportare! Lo dice anche Max …” “ Sono curioso di scoprire tutte le tue carte, mia cara … o futura signora Mendel.” Sentii il mio peso sollevato in alto e tutto intorno a me iniziò a girare, accompagnato dal mio grido di gioia e amore. “ Certo che sei davvero incorreggibile,tu!” “ Anch’io ti amo, Elly.” Mi rispose a terra e gli sorrisi guardandolo negli occhi, nei tanto amati occhi che mi avevano accompagnato nel viaggio insieme a Deborah:” Ti amo.” Congiunsi le mie labbra alle sue. Ero felice, lo sarei stata di più in futuro, ma bastava poco ormai perchè tutto il mondo mi potesse sorridere in istanti vissuti con così tanta fatica.
La macchina di Mark si fermò nel viale davanti all’ospedale, e il nostro famoso amico uscì dal posto del guidatore, raggiante in volto:” I passeggeri sono pregati di salire a bordo!” “ Salve Mark, ti vedo di buon umore.” Replicai, con un enorme sorriso stampato in volto. “ Direi che è una bella giornata, non potrei essere di umore migliore. Salite, il viaggio sarà lungo.” Ci aprì la portiera di dietro, e io, seguito da mia madre, salii a bordo, stando attento a non sforzarmi troppo. Mia madre salì sul sedile di davanti, nel mentre Mark si occupò di porre le valigie nel bagagliaio. Solo sedendomi, mi accorsi di un figura seduta accanto a me. Vestito di nero, poggiava la testa al finestrino, quasi stesse dormendo. Mi sporsi un po’ per poterlo vedere in faccia, ma mia madre se ne accorse:” max! è maleducazione!” “ Voglio solo sapere chi è … sembra stia dormendo.” “ Lascialo stare lo stesso …” anche lei, però, continuava a guardarlo. Lo osservai meglio, sembrava un uomo di mezza età, e il suo respiro era fiacco ma regolare, appesantito da qualche filo di catarro, tipico delle persone anziane. In testa portava un cappello che nascondeva qualche ciuffo di capelli brizzolati, e il volto era nascosto dal colletto del grande cappotto nero che lo copriva. Mark si mise al posto del guidatore, e gli chiesi così chi fosse quell’uomo. Lui mi guardò e rimase sul misterioso:” lo scoprirai a tempo debito … ora lascialo riposare” mise in moto la macchina e lasciò il cortile dell’ospedale, lasciandomi la curiosità addosso su chi fosse quell’uomo. Ma ero felice, lo stesso: l’incubo da cui mi ero ridestato era finalmente scomparso, e nonostante forse ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo perché tutto finisse, ero contento che almeno per me le cose stessero per andare alla meglio. Un lungo viaggio, verso i confini, mi attendeva: avrei lasciato quella terra di odio o di giustizia nascosta, ma corrosa dal sangue, per sparire dalla circolazione in una terra pura, come la Svizzera. Stavo per lasciare la mia carriera di soldato, per vivere quella di normale cittadino. In fondo, mi dispiaceva un po’, poiché salutare Jordan così alla svelta era stato un po’ doloroso, era rimasto accanto a me per tutto il tempo, per tutto il tempo dell’incubo. “ Tu cosa farai?” gli avevo chiesto prima di vedere l’auto di Mark arrivare. “ Penso che tornerò dai miei, mia madre mi attende, mi ha scritto l’altro giorno.” “ Era felice?” “ Molto … ho notato che ha addirittura pianto.” Mi mostrò la lettera, e c’era davvero la traccia di una lacrima sulla carta giallognola coperta da quella grafia elegante e signorile:” Chissà come era in pena … le metto sempre l’ansia, povera donna!” sorrise, rimettendo la lettera sulla tasca del giubbotto all’altezza del cuore. “ Ti auguro di poterla rivedere presto, allora …” “ E io ti auguro di poter rivedere chi tu sai!” mi aveva risposto, dandomi una pacca da buon amico. Sorrisi, e spinto dall’emozione lo abbracciai, prima di venir schiacciato dalla potenza delle sue braccia. “ Stammi bene, e spero di rivederti presto!” mi disse, dopo avermi sciolto dall’abbraccio. “ Se non si muore, ci si rivede, non dice così il proverbio in fondo?” gli canzonai prima di notare la macchina di Mark arrivare scricchiolando sull’asfalto. “ Come non detto! Ciao!” Un lungo saluto con la manona ricambiato dalla mia, incapace di fermarsi, insieme ai sospiri. Anche lui, a quanto sembrava, poteva ritornare alla vita di sempre, accanto a sua madre, che sarebbe stata felice di vederlo quanto la mia, e questo mi sollevava, tantissimo. La macchina si inoltrò presto nella campagna, lasciandosi alle spalle la cittadella dove ero stato ricoverato. Le file di alberi correvano sotto i miei occhi, le nuvole camminavano sopra il cielo, e la strada correva sotto lo ruote, veloce e sfuggente. E io continuavo a guardare fuori dal finestrino, e intanto mandavo qualche occhiata all’uomo accanto a me, curioso di sapere chi fosse e che ruolo avesse nella mia fuga. “ Mark … ora puoi dirmi chi è quest’uomo?” “ siamo impazienti, giovane mio … è un signore, molto gentile, che se riuscirai a farti amico ti darà qualcosa di davvero importante …” mi disse, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore. Lo fissai interrogativo, e rivolsi di nuovo lo sguardo sull’uomo, che si mosse, voltando la faccia verso sinistra,ancora più appiccicato al vetro. “ Non svegliarlo Max … ha riposato poco stanotte, è meglio che dorma adesso.” “ D’accordo …” girai i miei occhi verso il paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino. Era un uomo che se avessi reso mio amico mi avrebbe dato qualcosa di importante? In che senso? Ero incerto su quello che mi aveva appena detto Mark, e continuavo a non collegare le cose. Riflettei su cosa c’era d’importante nella mia vita: la mia famiglia, la libertà, e … Deborah. Si, lei era qualcosa di indispensabile, e non vedevo l’ora di poterla riabbracciare. Insieme ad Elly, ovviamente. Ma cosa sarebbe stato quel qualcosa di importante che mi avrebbe donato quell’uomo, oltre a quel poco che desideravo? Avrei dovuto chiederglielo di persona, ma non volevo destarlo dal suo sonno tanto profondo. “ aspetterò …” pensai, e un raggio di sole mi colpì al viso, riscaldandolo leggermente con un tepore che mi fece assopire. Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentato all’improvviso, tanto da non riuscire ad accorgermi che il confine era stato ormai passato. Quando aprii gli occhi, il sole era già sotto la linea dell’orizzonte. “ Che ore sono?” chiesi, sbadigliando e constatando che ormai, l’uomo accanto a me si era svegliato. “ è sera.” Mi rispose l’anziano signore, sorridendomi: “ vedo che hai dormito tutto il viaggio … stanco?” “ Un po’ … posso chiederle il suo nome?” mi feci coraggio e iniziai a porgli alcune domande, tanto per fare conoscenza con il buon uomo. E ci fu una cosa che notai all’istante: I suoi occhi nerissimi e che riflettevano una saggezza immensa. “ Menuchin … tu devi essere Max.” fece, porgendomi la sua mano. “ Esatto … glielo ha detto Mark il mio nome?” gli chiesi, stringendo la sua mano rugosa e callosa nella mia piccolissima in confronto alla sua. “ Diciamo che ho tirato ad indovinare …” ammiccò vispo, e io non potei fare a meno di trasalire, davanti a quella spavalderia da vecchio che possedeva. “ capisco … beh, spero di poter andare d’accordo con lei, signor Menuchin.” Gli dissi, sorridendo. Lui ricambiò il sorriso, e allargò la bocca in una smorfia tanto familiare che mi sobbalzò il cuore al sol vederla. Somigliava così tanto al sorriso di Deborah che mi venne il sospetto che quell’uomo avesse qualche legame con lei. Non sapevo ancora che i miei dubbi era completamente fondati.
Capitolo 44
Non riuscivo a dormire dall’emozione, tanto ero agitata, come non lo ero mai stata in vita mia. Ero rimasta alzata tutta la notte, davanti alla finestra della camera dove avevo deciso di porre il mio letto, e guardare il cielo correre sotto i miei occhi, in attesa che i cavalli della notte corressero e lasciassero la pista delle stelle, come era giusto che facessero. Elly era andata a dormire insieme a John, dunque ero rimasta nella mia solitudine ad aspettare che l’auto di Mark passasse davanti ai miei occhi, con a bordo le due persone che attendevo più di chiunque altro a questo mondo. Continuavo a fissare il viale, pretendendo addirittura che quell’auto spuntasse per magia. Non avrei accettato la scusa dell’alba per vedere chi volevo vedere. Sì, la mia impazienza cresceva di minuto in minuto. Tutta assorta dalla mia impazienza, non mi accorsi nemmeno che Elly era dietro di me:” Deborah! Non riesci a dormire?” mi chiese, insonnolita e in camicia da notte. “ No, sto morendo di impazienza Elly … accidenti al tempo! Perché non passa più in fretta?” “ Dagli tempo, la notte deve ancora passare … dormi, non vorrai mica che Max ti veda con le occhiaie, vero?” “ In effetti lui, per la prima volta, mi ha visto che le occhiaie, non ricordi?” sorrisi a quell’affermazione, anche se ricordare il primo incontro che ebbi con Max non fu piacevole. Dover ricordare anche la stretta al braccio da parte del padre, e il mio dolore che non poteva essere urlato, era terribile. “ Vero … comunque non restare lì impalata, se non hai sonno almeno stenditi e chiudi gli occhi. Rilassati, su.” Mi venne accanto e mi abbracciò:” Andrà tutto bene.” Ricambiai l’abbraccio, stanca ma febbricitante di ansia. “ Vada per stendermi …” dissi, dandole poi la buonanotte e mettendomi stesa sul materasso del mio letto. Fissai il soffitto per qualche secondo, pensando ancora a Max e a dove, probabilmente, potesse essere. “ chissà se è qui vicino …” sussurrai, portando la mano vicino al cuore, come se davvero riuscissi a sentire anche il suo battito oltre al mio:” spero solo che il sole venga presto …” pensai, chiudendo gli occhi. Mi rilassai, tanto da assopirmi leggermente, e un buio ristoratore si impossessò della mia vista. Per un tempo indeterminato, forse per il resto della notte, anche l’udito sfuggì alle mie capacità e mi addormentai, estenuata dall’emozione. Non feci sogni, nemmeno incubi, ma il sonno fu così pesante che alla fine mi svegliai solo quando il sole era ai suoi primi albori. “ Mi devo essere addormentata …” mi stiracchiai come un gatto, mettendomi a sedere in fretta sul materasso. Dalle tende della finestra filtrava la luce del sole, abbagliante ma leggera, quasi che volesse svegliare tutti dal loro sonno. Ascoltai i rumori che provenivano dall’esterno, il cinguettio dei passeri che annunciavano l’arrivo del sole, il sussurro del vento che spifferava attraverso la finestra. I rumori della vita, di una vita ritrovata nella serenità di quel posto. Mi beai di quel momento di pace, e decisi di scendere al piano di sotto. Avvertii infatti un certo languore. “ da quel che mi ricordo ieri, c’era una torta nella credenza …” pensai, già pensando bene di mangiare una fetta di quella torta ancora in buona condizioni. Scesi rapidamente le scale, e feci per dirigermi in cucina, ma mi accorsi che il portone d’ingresso era semiaperto. Un solo pensiero mi attraversò la mente. “ Sono arrivati … sono arrivati … sono arrivati! Ma come ho fatto a non rendermene conto prima?” Mentre pensavo ciò mi ero già piombata fuori, scalza e ancora con la veste da notte. L’odore del carburante di una macchina in moto mi invase alle narici, e un sorriso travolgente travolse i miei occhi. Max mi sorrideva da dietro lo sportello aperto della macchina di Mark.
La casa in cui avrei abitato era davvero la cosa più graziosa e desiderabile che potesse esistere a quel mondo. Dopo una notte passata a osservare le stelle, giungere all’alba, in silenzio, davanti a una struttura in legno appena illuminata dal sole era un’esperienza irripetibile. E sapere inoltre che dentro quella casa stava proprio lei, la mia amata, mi teneva in ansia come non mai. Parcheggiammo sul viale, e Mark scese dall’auto. “ Vado ad avvisarli del vostro arrivo … voi rimanete dentro, sarete la sorpresa!” uscì dalla macchina, e entrò dentro la casa, lasciando il portone semi aperto da quello che vidi. “ Sei felice Max? Finalmente rivedremo tutti oggi!” disse mia madre, sporgendosi dal sedile anteriore. La guardai, sorridendo:” Come non mai, madre … come …” non riuscii a finire la frase, poiché una visione celestiale mi apparve davanti. La giovane figura di Deborah era appena corsa fuori dal portone senza che ne notassi la presenza. Nonostante la vestaglia da notte, era sempre bella, bella come lo era sempre stata, anche di più, potevo dirlo con certezza. Vedere il suo viso temprato dalle fatiche e da quella luce tanto radiosa mi fece salire nel cuore un’emozione enorme. “ Al diavolo la sorpresa!” dissi a voce alta, aprendo in fretta la portiera della macchina. La vidi volgere gli occhi verso di me, e un enorme sorriso accompagnato dal mio ancora più euforico le si dipinse in volto. “ Deborah …” chiusi lo sportello in fretta, e con passi enormi le andai incontro, allargando le braccia, un invito a saltarmi addosso per poterla riempire di lacrime e baci, come desideravo fare da un sacco di tempo. Sembrò non farselo ripetere due volte: la vidi correre verso di me, con le lacrime agli occhi, pronta a saltare tra le mie braccia. Con un salto mi si fiondò addosso, stringendosi al mio collo piangente. La sollevai tra le mie braccia, facendo in mondo che si avvinghiasse con le gambe al mio petto. Potevo sentire i suoi singhiozzi:” Non ce la facevo più ad aspettare! Mi sei mancato come non mai …” mi stringeva tantissimo, e io ricambiavo quella stretta, commosso:” Neanch’io, ho sempre pensato a te per tutto questo tempo …” Volli guardarla negli occhi, in quei due occhi tanto profondi e belli,e annegarci per l’eternità. Erano lucidi di pianto, li asciugai con un bacio:” ora tutto è a posto, ora tutto è a posto …” Le presi il viso tra le mani, e lei mi baciò, con una passione mai vista. Risposi senza esitazione, assaggiando il suo sapore tanto casto e delicato, inclinando la testa per far combaciare alla perfezione le mie labbra con le sue. Mi erano mancate, mi erano mancati i suoi occhi, il suo viso. Lei mi era mancata, e tutto ciò che le apparteneva. Staccai il contatto dalle sue labbra, e iniziai a tempestarle le guance e il viso con baci che avrei voluto darle in tantissime altre occasioni. La sentii ridere:” Mi fai il solletico …” “ Ti farò il solletico finché morirai … dio, quanto ho atteso questo momento …” gli dissi guardandola negli occhi. Poggiai il mento sopra la sua testa, mentre sentii il suo respiro solleticarmi la pelle del collo. La tenni stretta a me, non avevo intenzione di lasciarla andare ancora. “ Ti amo.” Un sussurro detto dalle sue labbra, che mi fece stringere la presa esercitata sulla sue spalle. La mia risposta:” Ti amo anch’io …” sussurrata a fior di labbra e chiusa da un altro bacio fulmineo.
Sentii qualcosa scuotermi e mi svegliai. Appena aprii gli occhi, incontrai lo sguardo di Mark, sorridente:” Buongiorno! Scendete giù, ci sono alcune persone che vogliono vedervi.” Mi disse, uscendo dalla stanza. Io mi alzai di soprassalto e scossi John, ancora addormentato accanto a me:” sveglia!” “ Altri cinque minuti …” mugolò, nascondendo la testa sotto il cuscino. Gli tirai un colpo in testa con il mio cuscino e lo baciai lievemente:” Su, devi incontrare la tua futura suocera, muoviti!” Aprì i grandi occhi celesti sorridendomi, mentre io mi affrettai a vestirmi. Scendemmo poco dopo e ci precipitammo fuori. Constatai così che Deborah era già avvinghiata a Max, e vidi nostra madre uscire dalla portiera dell’auto. Il suo viso stanco era solcato dalle lacrime, come il mio a distanza di nemmeno due secondi dall’averla vista. “ Mamma!” urlai, con tutto il fiato rimastomi in corpo. Mi corse incontro, come feci io, e sentii le sue forti braccia avvolgermi amorevolmente, in una stretta carica d’amore:” Elly, figlia mia!” “ Madre … oh madre!” non riuscivo a dire nessuna parola di senso compiuto, mi sentii la faccia tempestata da baci di un calore incredibile e le mie gote si bagnarono di lacrime estranee alle mie. “ Non ho smesso nemmeno un momento di pensarvi, figli miei …” disse, con la voce rotta dai singhiozzi. Strinsi la presa su di lei, affondando il viso nel suo seno:” Anche tu mi sei mancata tantissimo …” ci misi tantissimo a lasciare la presa da lei, non avevo alcuna intenzione di dovermi separare da quel calore tanto familiare e amato. Ero a casa, in fondo: una casa in senso diverso ma uguale, dato che avevo cambiato dimora, pur avendo la mia genitrice accanto a me. Vidi poi Max avvicinarsi, e lo guardai in viso: un viso tanto stanco e temprato dalla battaglia che mi commosse da come fosse, al contrario di quello che avevo pensato, bello e raggiante come lo ricordavo. “ Fratello mio!” mi strinsi a lui abbracciandolo con trasporto, e lui ricambiò con lo stesso calore:” Sorella mia! Vedo di esserti mancato in fondo!” rise, continuando ad abbracciarmi, e a quell’abbraccio si unì anche nostra madre, commossa. Sentire le loro braccia avvolgermi e trasmettermi il loro calore mi fece sentire come a casa. Ero a casa, finalmente.
Osservai Elly, Max e Elena abbracciati come una vera famiglia, e lacrime di commozione mi salirono dal cuore dritte fino agli occhi. Ero felice che si fossero finalmente ritrovati, dopo tutto quel tempo. Felice nonostante io, la mia famiglia, non ce l’avessi più. Questo era quello che pensavo, prima di poter vedere un uomo dalla faccia che riconobbi all’istante uscire dall’auto e sorridermi. Lo guardai bene, e la quantità di lacrime aumentò all’istante: Lo stesso viso di dieci anni prima, un po’ più invecchiato, ma lo stesso sguardo buono e amorevole che mi aveva rivolto nella mia infanzia ormai lontana. Lo vidi venirmi davanti, e i suoi denti un po’ ingialliti ma dritti mi rivolsero un saluto degno di un vero padre: ” La mia Deborah … come sei cresciuta bambina mia.” “ Padre …” dissi in un sussurro, prima di abbandonarmi totalmente al pianto più sfrenato. Non esitai a fiondarmi su di lui, come avevo fatto poco fa con Max. Avvolsi la sua tozza corporatura, e sentii le sue braccia possenti che in tempi lontani della mia memoria mi avevano amorevolmente cullato stringermi forte, come se fossi la cosa più preziosa che avesse al mondo. “ Padre … pensavo che anche tu fossi morto!” “ Non potevo permettermi di morire, prima di poterti rivedere bambina mia …” la sua voce calda e tranquilla mi penetrò nel cuore, sciogliendolo dai nodi alla gola provocati da anni di mancanza paterna. Ero ormai in preda ai singhiozzi:” Mi dispiace … non sono riuscita a salvare la mamma!” “ Non importa, ora lei sta in un posto migliore di questo … veglia su di noi dall’alto …” mi strinse ancora a sé, e io mi beai di quella stretta che tanto mi era mancata durante tutti quegli anni. “ Si …” sussurrai, rivolgendo il pensiero a mia madre, che dall’alto ci stava sicuramente guardando. Mi staccai dall’abbraccio, ma mi tenni comunque stretta a mio padre:” Sarai stanco … Elly mi ha detto che voi vi conoscete di già …” “ Esatto …” Lo vidi rivolgere lo sguardo a Elly, e il volto della ragazza si illuminò di gioia:” Signor Menuchin! Anche lei qui!” Elena, Max, Elly e John ci vennero incontro:” Non potevo non rivedere mia figlia.” “ Quindi non mi sbagliavo nel pensare che Deborah fosse sua figlia!” Esclamò sorpreso Max, sbarrando gli occhi. Risi di cuore, vedendolo inchinarsi di fronte a mio padre:” Mi dispiace di non averla riconosciuta sin dall’inizio, buon uomo!” “ Ragazzo, non fare tante moine e fatti abbracciare da questo vecchio!” Max venne travolto dall’affetto di mio padre,e rise abbracciandolo. Io assistevo commossa alla scena. “ ehi! Mi sento escluso da tutto questo calore!” Esclamò John, quasi infastidito. Elly si affrettò a schioccargli un bacio sulla guancia per consolarlo:” lui è John, il mio fidanzato …” “ Nonché mio futuro cognato, suppongo …” esclamò Max, porgendo la mano al biondo che gliela strinse felice. “ Esatto … ma prima vorrei tanto la benedizione della signora Schubert, se non le dispiace …” La signora Schubert si avvicinò a John, e posò le sue labbra sulla fronte del ragazzo:” Benedizione concessa, hai reso felice mia figlia, non posso pretendere di meglio.” Sorrise al ragazzo, che arrossì lievemente stringendo la mano di Elly. “ Direi di prendere due piccioni con una fava!” disse all’improvviso Max, rivolto a mio padre:” Signor Menuchin, vorrei che mi concedeste la mano di vostra …” “ Te l’avrei concessa sin dall’inizio, giovanotto … vedo l’amore più sincero nei tuoi occhi, e come ha detto la signora, non posso pretendere di meglio per la mia bambina. Sei onesto e coraggioso, e ami dal profondo del tuo cuore.” La manona di mio padre andò a poggiarsi sulla testa di Max, che sorrise imbarazzato e euforico: “ Grazie davvero …” Sorrisi con le lacrime agli occhi e alla fine osservai il quadretto finale della vicenda. Tutti insieme, nel bene e nel male. Le storie che avevamo da raccontarci erano lunghe e entusiasmanti e ora c’era davvero tutto il tempo per poterle narrare, e magari conservare per i tempi futuri. “ C’è una torta deliziosa dentro … e io ho intenzione di fare colazione, voi?” dissi, felice. Tutti mi sorrisero e allegramente entrarono dentro. Max mi cinse le spalle con le sue braccia. “ Da uno a dieci, quanto sei felice?” “ Da uno a dieci, lo sono cento … tu?” lo guardai nei bellissimi occhi verdi. “ lo sono cento volte più di te …” posò le sue labbra sulla mie, con delicatezza. Entrammo dentro, accompagnati da un fantastico senso di leggerezza nel cuore.
Capitolo 45
“ Deborah … Deborah?” il suo volto era rilassato nel sonno, sprofondato nel guanciale del letto e rispecchiava un sonno senza incubi, leggero ma ristoratore. La scossi lievemente, era ormai mattina inoltrata ma ancora dormiva della grossa. La sentii mugolare piano, e la vidi aprire i grandi occhi neri e che tanto amavo:” Max …” “ Buon compleanno, tesoro …” la baciai sulla fronte lievemente, il suo meraviglioso sorriso le illuminò il viso, ancora giovane nonostante gli anni. Si stiracchiò per bene, poi si mise seduta con la schiena contro la testiera del letto:” Grazie, tesoro ..” “ Ti ho portato la colazione …” presi il vassoio appoggiato sulla credenza e glielo misi sulla gambe. L’invitante odore di croissant francesi mi diede il buon umore, e anche a lei, da quel che vidi riflettersi sul suo viso come un ringraziamento:” Che buon odore …” “ The, paste e latte … tutto ciò che vuoi …” “ Non è che mi coccoli troppo?” domandò lei sarcastica, mescolando lo zucchero nella tazza di the. “ è il tuo giorno.” Le stuzzicai il naso come ogni mattina, e lei lo arricciò, con una smorfia amabile in volto. “ è sempre il mio giorno, una volta l’anno … le stesse parole che mi ripeti da qui a quasi trent’anni ormai!” sorrise, e io con lei. Scostai le tende che ostacolavano la luce del sole e le pareti vennero illuminate all’istante. Il panorama delle alte montagne, il rifugio che avevamo scelto, la culla dei nostri sogni, ci schiaffò la sua magnificenza dolcemente. Dalle cappe dei camini di alcune case del piccolo villaggio erano già in fermento,e il fumo che si dissolveva nell’aria incontaminata svolazzava come la miriade di passeri, che si godevano i caldi raggi di giugno volando in piena libertà e cinguettando allegri. “ è un’ottima giornata …” sussurrai, aprendo la finestra e inspirando a pieni polmoni l’aria fresca e pungente. “ Già … perfetta per una riunione di famiglia!” intervenne Deborah, togliendosi il vassoio dalle ginocchia e tentando di mettersi seduta sul materasso. Andai a darle una mano, la sua mole faticava per il momento anche a fare i gesti più semplici. “ Oh, che sarà mai? Non è il primo!” “ Fatti aiutare e basta! Non vuoi che gli succeda niente, no?” Le porsi la mano e l’aiutai ad alzarsi. “ Non mi sembra che Karl sia venuto su male, in fondo.” Sorrise, accarezzandosi il ventre, gonfio per la gravidanza quasi giunta al termine:” Chissà se sarà una femmina … ne vorrei tanto una, sai?” “ Ogni tuo desiderio è anche mio, ricorda …” la abbracciai, felice, e poi posai le mie mani sul suo grembo, panciuto e tanto grazioso:” E come la chiamerai?” “ Josephine …” quel nome, emesso dalla sua voce dolce, era pura melodia. “ Come una delle protagoniste di Piccole Donne? Quella caparbia, sognatrice, capace di affrontare ogni cosa senza arrendersi e con un grande cuore?” “ proprio lei, l’adorabile Josephine … speriamo che possieda i tuoi occhi ..” la vidi osservarmi e mi protesi per baciarla dolcemente sulle labbra. La riabbracciai, chinandomi verso di lei: “ sai, ho scoperto una cosa interessante … dopo vieni giù, ti aspetto.” Mi allontanai, uscendo dalla porta della camera che aveva custodito i nostri sogni fin dal giorno del nostro matrimonio, e chiusi la porta, così che potesse cambiarsi in pace. Avevo una cosa urgente da sbrigare.
Mi cambiai rapidamente, e mi ammirai nello specchio. L’enorme pancione della mia seconda gravidanza, di nuovo quell’emozione provata già con la nascita di Karl, ragazzo alto e robusto ormai, tutto sua madre per aspetto fisico ma con il carattere quasi di suo nonno Franz, anche se molto più docile di lui. Il rancore verso quell’uomo era ormai sparito in tutti quegli anni, mi era quasi dispiaciuto che fosse morto prima del mio ricongiungimento con Max. Mi avrebbe fatto quasi piacere, e dico quasi, che potesse vedere i suoi due figli sposati, con una famiglia. Sarebbe stato mio suocero, almeno. E invece, mi dovevo accontentare, e non me ne pentivo, di una dolce suocera e di una cognata, nonché migliore amica, con cui passavo i week end più belli della mia vita. “ Speriamo davvero sia una femmina …” sussurrai, accarezzandomi la pancia coperta dal mio vestito a fiori. Quaranta cinque anni giusti giusti, ormai ero quasi a metà della mia vita. E, come ogni mio compleanno, Max mi augurava il buongiorno, mi dava quei suoi baci ammalianti sulla fronte e mi strizzava il naso, spensierato e sereno. E io lo amavo ogni giorno di più, sarei giunta ad amarlo più della mia vita ai cent’anni, di questo passo. Uscii dalla stanza, e incrociai lo sguardo beffardo ma imbarazzato di Karl, i capelli ancora tutti spettinati ma la faccia pulita e limpida, in cui splendevano i suoi occhioni neri, perfetta copia dei miei. “ Buongiorno madre, e buon compleanno.” La sua voce ormai matura per i suoi diciassette anni mi salutò come suo solito, gentilmente ma quel tono di imbarazzo tipico di ogni ragazzo che saluta sua madre la mattina. “ Grazie Karl … tuo padre è giù vero?” “ Si, penso stia chiamando zia Elly e nonna Elena …” “ Bene …” sorrisi, accarezzandomi istintivamente di nuovo il grembo. “ Quando nascerà?” mi chiese Karl. “ Manca poco ormai … ti ho mai raccontato che tu non sei stato il mio primo figlio?” il ricordo nostalgico e malinconico di circa trent’anni fa mi tornò in mente, senza volerlo. Lui alzò il sopracciglio:” Intendi la storia del … francese? Me l’ha raccontata papà. Sei ancora triste per questo?” la premura di Karl mi commosse enormemente. Rividi gli occhi di Elly, tristi e dispiaciuti, in quelli di mio figlio, e mi venne da sorridere:” Non posso di certo cancellare qualcosa che mi ha condotto qui … a quest’ora avrebbe avuto forse ventinove anni … ma forse, sta meglio dove è adesso.” L’immagine del sangue dopo l’aborto mi si presentò come una fotografia negli occhi, e per un istante pensai che una lacrima mi stesse scendendo lungo la guancia. Mi portai il dito all’occhio. “ Mamma ..” “ non sto piangendo, tranquillo … sono solo felice di essere giunta fin qui, e di avere te e Max.” mi avvicinai e posai le mie labbra sulla fronte di Karl, che colto di sorpresa indietreggiò rosso in volto. “ Ora scendiamo però …” concluse lui, in fretta. Mi aiutò a scendere al piano di sotto, tenendo gli occhi bassi per l’imbarazzo. Sorrisi per tutto il tragitto. Appena fummo al piano terra, il mio sguardo cadde sul calendario, affisso alla parete lì vicino. Guardai la data, e mi venne un sussulto al cuore. E capii all’istante le parole di Max della sera prima. “ Quello di domani è un giorno da segnare negli annali.” Aveva proprio ragione. Una data davvero particolare.
Il motore dell’auto rombò nel viale del giardino e corsi alla porta, ad accogliere i nuovi arrivati. “ Siete arrivati giusto in tempo!” esclamai, avvicinandomi con le mani in tasca all’auto. La figura possente di mio cognato John uscì dal posto del guidatore, i suoi occhi simili per colore e espressione beata a quelli di sua moglie, nonché mia sorella Elly, mi scrutarono allegri:” Non potevamo non venire!” esclamò lui, porgendomi la mano. I suoi capelli brizzolati rilucevano sotto la luce del sole, filtrata appena dagli alberi in giardino: “ Dov’è la festeggiata?” “ Dentro … venite!” Mia sorella Elly scese dalla macchina e mi venne incontro, con in braccio la pargoletta dai grandi occhioni azzurri, Emily:” Fratellino! Da quant’è che non ci vediamo?” “ da … cinque giorni, da quel che mi ricordo!” risi, abbracciandola come sempre. Il suo viso non era invecchiato per niente, era sempre lo stesso viso serio ma che sapeva emanare una dolcezza infinita che solo lei possedeva e che sua figlia aveva ereditato. Pizzicai una guancia paffuta a mio nipote, che per risposta si accucciò nella spalla di sua madre, brontolando. “ Vai con lo zio, su!” la presi in braccio e la feci giocherellare, il suo sorriso coperto solo da pochi dentini mi consolo del mio operato di buon zio che ero. Un’altra macchina in quel momento giunse sul viale, era il resto degli ospiti a casa Schubert. Il viso di mia madre, insieme a quello di mio suocero, apparvero allegri oltre il vetro della vettura. Agitai la mano felice, mentre l’auto si fermò sul viale e i passeggeri scesero dalla vettura. “ Madre! Sono tanto felice di vederti!” baciai mia madre affettuosamente, e lei ricambiò calorosa, era più di un mese che non la vedevo in fondo:” Ti fa ancora male la gamba?” “ non mi dà noia come prima diciamo!” la sua voce, invecchiata dagli anni, teneva sempre lo stesso tono saggio. “ Il viaggio da Berna è stato lungo?” “ Niente di che, non mi ha stancato per niente … e smettila di preoccuparti, so badare a me stessa! Non sono ancora del tutto fuori uso, nonostante la mia età!” In effetti, si dimostrava una vecchietta ancora piuttosto arzilla, nonostante gli anni che portava sulle spalle. “ E io che mi preoccupo soltanto …” sorrisi, lasciando Emily tra le sue braccia per aiutare il signor Menuchin a scendere dalla vettura. “ Come sta, signore?” “ benissimo figliolo!” La sua allegria mi arrivò come una scossa, chiara e rilucente. Gli porsi il bastone da passeggio:” Tenga!” “ Grazie mille … mia figlia è già sveglia?” “ Sua figlia è sveglia come sempre, e più si fa grande, meno invecchia!” “ Ah, l’ho sempre detto che tu sei il meglio! Accompagnami dentro, va!” lo presi sottobraccio e invitai gli altri a entrare in casa. Deborah e Karl mi attendevano sul portone.
Che riunione! Tutti a farmi i complimenti per la gravidanza, mentre io, rossa in volto, ringraziavo tutti senza dare troppo l’intenzione di essere visibilmente imbarazzata. “Speriamo gli stia bene …” la signora Schubert mi mostrò la tutina cucita da lei stessa per il nascituro, e io me la rigirai tra le mani, contenta. “ Sono sicura che gli calzerà a pennello …” “ Karl, diventerai fratello maggiore!” l’esclamazione della nonna al nipote fece diventare il volto di solito pallido mi mio figlio paonazzo. “ Nonna!” inveì lui, imbarazzato:” ho diciassette anni!” “ Io trattavo così tuo padre, e lui non ha mai protestato! Vero Max?” Sentii mio marito borbottare, e mi venne quasi da ridere:” Come no!” Vidi Karl rigirare gli occhi infastidito, e risi divertita, insieme al resto della compagnia. Afferrai un pasticcino che era sul tavolo e lo assaggiai, facendo poi i complimenti a Elly per l’ottimo lavoro. “ Sono riuscita a portarveli in tempo, altrimenti sarebbero finiti tutti in mano dei clienti!” “ ma tu ci lavori in pasticceria! Come fai a dire che ti mancherebbero i dolci?” “ Beh, si …” tirò fuori la linguaccia, per poi offrire il dolce a Emily, che lo addentò con i pochi dentini che aveva, sporcandosi il musetto di panna. “ Sai Max … ieri ho visto una persona … non so te, ma ho voluto invitarla, ti dispiace?” intervenne Elena, guardando suo figlio che alzò il sopracciglio perplesso e poggiò la tazza di caffè sul tavolo. “ E chi sarebbe?” “ Oh, lo vedrai presto …” la vidi ammiccare, e poco dopo qualcuno bussò alla porta. Max si alzò per andare ad aprire, e appena aprì la porta lo vidi pietrificarsi di colpo. “ da quanto tempo eh!” “ Tu qui!” la voce di mio marito era a dir poco sorpresa e si notava la felicità nel suo tono di voce. Fece entrate l’ospite, che si tolse affabile il cappello che aveva in testa. La sua potente stazza superava addirittura quella di John, e non era cosa da poco. In più i suoi occhi sembravano arzilli e giovanili. “ Salve a tutti, ho disturbato un momento importante?” “ per niente …”mi alzai per dargli il benvenuto, e lui mi baciò galantemente la mano, sotto lo sguardo leggermente invidioso di Max. “ la mia consorte Deborah …” mi presentò Max. Vidi l’uomo sorridere a Max:” Proprio come l’hai sempre descritta …” “ Posso avere il piacere di sapere chi è lei?” chiesi, tanto per non rimanere fuori dalla conversazione. “ Oh, le devo le mie scuse … Jordan, nonché amico di accademia e di guerra di suo marito Max. Ho incontrato per caso la signora Schubert l’altro giorno, e ho saputo dove abitava il mio amico. Ne ho approfittato, ma vedo che siete in riunione.” “ Mi piacerebbe che rimanessi anche tu, dopotutto compio gli anni, e poi voglio conoscere chi ha aiutato mio marito durante la guerra!” lo invitai a sedersi, e lui molto garbatamente si mise a sedere accanto a mia suocera, unendosi al resto della conversazione. Ecco il quadro di tutto, il più bello tra tutti quelli appesi in salotto, anche più bello della mia foto in abito da sposa, grande e vaporoso, in compagnia di Max, vestito di tutto punto con la medaglia attaccata alla divisa da soldato, il giorno del nostro matrimonio, e anche più bello del matrimonio di Elly, lei raggiante con i suoi occhi di zaffiro e l’abito anche più bello del mio e il suo John accanto a lei. Il quadro di quella situazione, il più vistoso insieme a tutte le foto messe sui mobili in casa, che raffiguravano la mia famiglia, la mia nuova famiglia, completa di Karl in tutti i suoi anni, di tutte le feste in paese in quegli ultimi anni, di tutti i sorrisi di famiglia. Io e max, sposati da ormai venticinque anni e con un figlio, anzi due, da accudire; Elly e John, sposati pochi mesi dopo me e Max, e la loro figlioletta Emily, di appena un anno; Elena e Menuchin, che anche se ormai erano ridotti a due vecchietti con gli anni addietro, conservavano ancora quella spigliatezza e vivacità giovanile, tipica dei loro figli; e Jordan,l’omone robusto che aveva accompagnato Max durante la sventura della guerra, e che ora era un abile uomo, bello e con un sacco di esperienza alle spalle. Tutti insieme, in serenità, riuniti per i miei quarantacinque anni. La giornata si potè annunciare una delle migliori della mia vita.
Dopo la festa, rimanemmo sulla soglia a salutare gli ospiti che tornavano alle loro case, mentre noi rientrammo dentro, stanchi ma felici. “ Beh, direi che per oggi può bastare …” Karl si stiracchiò stanco, e fece per salire le scale, ma lo bloccai in tempo:” non ancora … figliolo, vieni. Ti devo far vedere una cosa.” Vidi Deborah sorridere e avvicinarsi al calendario:” è questo?” “ Esatto … dimmi, figliolo. Che giorno è oggi?” “ il giorno del compleanno di mia madre?” il tono dubbioso di Karl mi fece ridere. Gli mollai una pacca sulla schiena:” Non in quel senso … data?” “ 15 giugno del 1974 …” disse, ancora dubbioso. “ Esatto, il 15 giugno del 1974 … sai che vuol dire?” intervenne Deborah, sfiorando la plastica del calendario. Osservai Karl riflettere un momento, e poi il suo volto si rischiarò:” 15 – 6 – 74. 15674!” esclamò, indicando sua madre:” è il numero che portavi sul braccio o sbaglio?” “ non c’è bisogno di urlarlo figliolo! Comunque è proprio lui, e al posto suo è rimasta questa …” Deborah sollevò la manica del vestito, e la cicatrice della sua ferita apparve, in tutta la sua profondità di significato:” il segno della mia libertà …” sorrise nostalgica, per poi rimettersi la manica a posto. “ Mi sorprendo ancora oggi di come avete fatto a stare insieme voi due …” disse mio figlio, alzando le ciglia. Risi e gli strinsi le spalle con il braccio:” Si chiama forza di volontà, figliolo …” “ Ci credo!” sorride, e mi immortalai quel meraviglioso sorriso che aveva ereditato da sua madre. Anche lei sorrise, in modo perfetto. La perfezione dell’attimo. Il numero che ci aveva legati, divenuto un simbolo. E ancora a distanza d’anni, poteva far riecheggiare tutto se stesso come negli echi di un ricordo mai cancellato; l’amore in mezzo all’odio,l’amore che sopravvive a tutto. L’amore impossibile che diviene realtà. Grazie Deborah, grazie a me stesso. Grazie forza di volontà. Non avrei cambiato il mio passato, per niente al mondo.
E CON QUESTO è FINITO. grazie ^__^
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