15674, una delle tante storie di mia invenzione xD

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Reshy~*
CAT_IMG Posted on 2/9/2011, 20:20




ahah scusa xD è solo che ho finito le lodi lol
beh sei brava a descrivere i baci,io non saprei nemmeno da dove iniziaere :fg:
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 2/9/2011, 20:25




CITAZIONE (Reshy~* @ 2/9/2011, 21:20) 
ahah scusa xD è solo che ho finito le lodi lol
beh sei brava a descrivere i baci,io non saprei nemmeno da dove iniziaere :fg:

Maggrazie :3
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 15/9/2011, 15:22




e dopo un anno ci sono riuscitaaaaaaaaa!!

Capitolo 23

Come mi aveva detto Mark, poco distante dal punto in cui avevo salutato Deborah vedemmo una macchina, simile a quella di Mark e ad aspettarci un uomo alto, sulla quarantina, occhi infossati e mascella enorme, ma faccia da brava persona. Non so come, ma riuscii a fidarmi di lui all’istante.
“ Salite pure.” Disse vedendoci arrivare e aprendo la portiera dell’auto. Mia madre salì davanti e io dietro. La macchina partì silenziosa e durante il viaggio non spiccicai parola, ero stanco, triste e non avevo voglia di stare a rimuginare su quanto successo poco prima. Mi tolsi il pigiama di dosso così da disfare le prove della mia intrusione.
Arrivammo a casa, e di corsa filai in camera mia, senza però far troppo rumore. Non volevo che mio padre si svegliasse … specialmente ora che tutti erano in allarme per l’evasione di 15674. C’era il pericolo che Xavier avesse saputo della fuga della condannata e che ora la stesse cercando in lungo e in largo per darle una lezione.
Prima di salire in camera però, mia madre mi chiese sulle scale se stessi bene.
“ più o meno madre … ma voi come farete adesso? Io partirò, ma voi dovrete rimanere qui e subire ogni genere di angheria per aver interferito …”
“ tesoro … non preoccuparti di tua madre, ma pensa a te stesso per una volta. Ciò che probabilmente passerò io non è niente in confronto a cosa tu proverai e vedrai. Non rammaricarti per me. Io starò bene.” Mi rispose lei, stendendo i muscoli della faccia in un sorriso rassicurante. Si avvicinò a me fermo sulla gradinata un po’ confuso e mi diede un bacio sulla fronte delicatamente:” Riposa ora … ne hai bisogno.”
“ Va bene …” sussurrai io, senza muovermi. Non riuscivo a reagire davanti a quella calma di cui mia madre era dotata, oltre a un sangue freddo mai sentito prima.
Dunque mi recai in camera mia e chiusi lentamente la porta per poi coricarmi sul letto e addormentarmi di colpo, troppo pieno di pensieri per poterli catalogare e esaminare uno a uno.
E passai così la notte, senza sogni, ma alla fine constatando che un enorme peso sul cuore mi opprimeva e mi mozzava il respiro tanto da farmi girare la testa una volta che aprii gli occhi all’alba per partire.
Erano le cinque, e io mi precipitai giù con il mio borsone, mentre l’auto per accompagnarmi verso il luogo d’addestramento era ferma ma in moto.
Mia madre si era svegliata per salutarmi prima di partire, insieme a mio padre, che però non mi disse niente e stette a guardarmi con fare astioso e disprezzante.
Prima di salire, mia madre mi si avvicinò di nuovo:” Torna a casa. Vivo.”
“ Lo farò … lo prometto. Arrivederci … o … ad …”
“ Non dire “ addio” se non sei sicuro che lo sarà. Arrivederci … e buona fortuna.” Detto questo, mi baciò le guance calorosamente e infine anche la fronte, mentre intravedevo sul suo volto le lacrime.
Sorrisi, trattenendo le mie di lacrime e poi entrai in auto, senza volgermi verso mio padre.
In fondo lo odiavo, di vederlo in quel momento non ne avevo punto voglia.
Chiusi la portiera, mettendo il sacco accanto a me, poi la macchina partì, lasciando dietro di sé la scia del tubo di scappamento.
E anche stavolta non spiccicai parola con l’autista, ma mi limitai a osservare il cielo che insieme agli alberi correva dalla parte opposta alla mia, quasi a voler scappare dalla guerra. Cosa che io avrei fatto volentieri se ne avessi avuto la possibilità.
Deborah … chissà come stava ….

La luna accompagnava il mio sguardo che divagava nella foresta, che correva veloce dalla parte opposta alla mia, quasi non volesse seguirmi. Elly mi era accanto, e anche lei faceva la stessa mia cosa, con aria assorta.
C’era uno strano silenzio, non assoluto, dato che la macchina faceva un baccano infernale mentre faceva scricchiolare sotto le sue ruote i vari ramoscelli nel bosco e il motore di certo non era silenzioso. Ma decisi comunque di rompere quel silenzio che mi stava opprimendo sin troppo.
“ Mark, dove stiamo andando di preciso?” chiesi all’autista, che guidava stando attento al percorso. Lo vidi squadrarmi dallo specchietto retrovisore con aria seria: “ Andrete entrambe dai signori Mendel. Sono una famiglia tollerante tedesca, ho chiesto loro di potervi accogliere fino a che non avrete campo libero … per poi poter scappare in Svizzera.”
“ Davvero?” disse Elly alquanto sorpresa:” Dovremo quindi scappare in Svizzera? Ma perché dite “ quando avrete campo libero”?
“ I controlli ai confini sono intensificati, e anche se la Svizzera è neutrale alla guerra, non sarà una passeggiata raggiungerla … quindi, fino a che le cose si saranno calmate, voi resterete in quella casa. Dopo io vi aiuterò a fuggire. Da lì potrete dire a Max che state bene e che vi raggiunga, sempre che tutto vada per il verso giusto.”
Per un attimo il cuore balzò in petto. Al pensiero di Max che partiva per la guerra mi venne da singhiozzare flebilmente. Ma non piansi, e voltai il viso di nuovo verso il finestrino per distrarmi.
Del resto, ero soddisfatta. Avrei vissuto all’oscuro, per poi scappare. Beh, sempre meglio che morire. E sarei anche riuscita a terminare la mia sfortunata gestazione senza dover correre da un punto all’altro della nazione. Ma poi mi sorse un dubbio: di certo il mio viso non era passato inosservato al campo, dunque ero una latitante. E … se le forze dell’ordine fossero giunte anche dove avrei stabilito la mia dimora per quei mesi? Per il camice sarebbe bastato bruciarlo, i capelli li avrei potuti tranquillamente tagliare … ma il tatuaggio di 15674 … come avrei fatto a nasconderlo? In estate non potevo morire di caldo solo per evitare di far vedere il mio simbolo a fuoco sul braccio. E di certo non avevo i mezzi per toglierlo senza lasciar tracce. L’ansia a un tratto mi assalì.
“ Ci sarebbe un piccolo problema …” dissi debolmente, quasi che me ne vergognassi.
“ Cosa?” Mi squadrò Elly dubbiosa. Presi la manica del grembiule e la alzai fino a mostrare il numero impresso sul mio esile e diafano braccio: “ Questo …”
Anche Mark osservò dallo specchietto e aggrottò le sopracciglia. Da quanto potevo capire anche lui aveva capito il grattacapo da risolvere.
“ Giusto, dobbiamo disfare le prove … d’accordo … fermiamoci qui un attimo.” D’improvviso svoltò verso una radura deserta e ben nascosta da alcuni cespugli piuttosto alti e parcheggiò, lasciando però accesi i fari.
“ Scendiamo …” disse, seriamente, per poi aprire la sua portiera. Io e Elly lo seguimmo a ruota, perplesse.
“ Che intendi fare?” lo vedemmo intento a togliere dal bagagliaio quello che ai miei occhi sembrò una piccola catasta di legna da ardere.
“ Ragazze, toglietevi il grembiule e cambiatevi.” Disse, accatastando i rami in un piccolo mucchio, e afferrando dalla sua tasca un accendino:” Facciamo presto però.”
Io e Elly capimmo finalmente le sue intenzioni e ci fiondammo in macchina. Nel borsone di Elly c’era il cambio per entrambe, e senza pudore, visto che eravamo ragazze, ci togliemmo il pigiama per poi poter indossare i nuovi abiti. Il nuovo vestito estivo e le calze lunghe mi stavano più comode dei miei sudici indumenti di poco tempo fa. Ma il problema del tatuaggio restava.
Non poteva passare inosservata quella chiazza nera sul mio braccio, così osservandolo preoccupata, pensai a in che modo sbarazzarmene. Ma alla fine mi venne solo una cosa da fare … e non era tra le più piacevoli. Ma tentar non nuoce.
Appena anche Elly si cambiò, demmo i nostri vestiti a Mark, che li buttò sul fuoco ben alimentato che nel mentre aveva acceso. Il tessuto bruciò meravigliosamente,anche se l’odore era insopportabile. Mentre osservavamo il falò distruggere i vestiti, esclamai a bruciapelo:” Mark … hai delle fasce o una cassetta del pronto soccorso in quella macchina?”
“ S – si …” dal suo tono supposi la sorpresa in quella richiesta.
“ E un coltello?” continuai a chiedere, stentando a spiccicare le parole. Mi faceva paura ciò che stavo escogitando fino in fondo. Elly si volse verso di me preoccupata:” Deborah! Che diavolo vuoi fare?”
“ Niente di preoccupante … ora portami la cassetta e il coltello …” risposi duramente. Mark esitò un attimo prima di eseguire, ma vedendomi come determinata, andò a prendere ciò che gli avevo chiesto. Dalla sua tasca estrasse un coltellino, piccolo ma affilato, e dal bagagliaio la cassettina, munita di fasce e disinfettante.
Presi il coltello, per poi alzarmi la manica del vestito fino a far vedere il tatuaggio alla luce dl fuoco.
“ Non avrai mica intenzione …” Elly cercò di slanciarsi verso di me per impedirmi di fare ciò che stavo per fare, ma io la trattenni a parole:” non abbiamo tempo, a mali estremi, estremi rimedi.”
Lentamente accostai la lama pelo a pelo con la pelle, fino a creare una striscia di sangue sopra il marchio nero. Le urla non attesero a farsi strada nella mia gola, ma nonostante il dolore continuai a raschiare la pelle, mentre il sangue inondava il mio braccio e la pelle veniva come tranciata dalla lama di quel coltello.
Elly E Mark guardavano allibiti il mio gesto. Ma non esitai e continuare. Era in gioco la mia libertà dopotutto. E nonostante i conati, sfregiai il mio povero braccio fino a far sparire quel maledetto segno.
 
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Maria G.2
CAT_IMG Posted on 17/9/2011, 20:34




merdina ho perso due capitoli...
lavoro superbo cacchetta
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 19/9/2011, 09:08




CITAZIONE (Maria G.2 @ 17/9/2011, 21:34) 
merdina ho perso due capitoli...
lavoro superbo cacchetta

Grazie esserino *---*
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 19/9/2011, 19:56




Capitolo 24

Tetro. Nessun aggettivo poteva definire meglio ciò che mi apparve davanti agli occhi appena arrivato al campo di addestramento.
In breve, era tetro. Ordinato, grigio, senza anima. L’edificio più squallido che avessi mai veduto in vita mia.
Non ne ebbi timore, ma mi trasmise lo stesso inquietudine. Un edificio murato e cementato, grigissimo, che si stagliava sul cielo plumbeo da cui il sole non penetrava in nessun modo.
Un enorme recinto all’ingresso trasmetteva un senso di prigionia forzata a chi vi entrava, o perlomeno fu quello che io sentii appena ne fui come inghiottito.
Tutto ciò mi diede modo di pensare che niente da quel momento sarebbe stato facile. Anzi, non lo avevo pensato per niente. E ora ne potevo avere la conferma.
Arrivai forse appena dopo l’alba, ma da quello che potei vedere il sole lì non era mai giunto. Scesi dall’auto esitando leggermente, poi presi i miei bagagli dal cofano della macchina, e insieme all’autista mi diressi all’ingresso principale, un enorme portone in legno intarsiato, ma che stonava completamente con tutto il resto dell’edificio. Sulla soglia potei vedere un uomo dalle spalle piuttosto grosse, posatura fiera e sguardo indifferente, che attendeva il mio arrivo. Salii la lunga gradinata con passo svelto, per paura di farlo attendere oltre, e giunto al suo cospetto potei aggiungere alla mia descrizione un bel 1,88 di altezza, o forse più, dato che la mia testa non sfiorava minimamente la sua robusta spalla.
Degli occhi di ghiaccio mi scrutarono attentamente:” Lei deve essere il signorino Schubert … la nuova recluta.”
“ Sissignore …” risposi io tenendomi come a distanza di sicurezza da quel vocione grosso e intimidatorio.
“ Sai perché sei qui? Non penso ci sia bisogno di ripetertelo …”
“ Sissignore …” la mia voce suonò di rammarico e frustrazione.
“ Sappi che qui non tolleriamo scempiaggini del tuo genere … e ti consiglio di filar dritto e di eseguire gli ordini … intesi?”
“ Sissignore …” conclusi io a testa bassa. Non volevo proprio mettermi contro di lui e tantomeno farlo arrabbiare, dalle dimensioni delle sue mani potevo solo immaginare il dolore che avrei provato al minimo ceffone.
“ bene … ti conduco nella tua stanza … sono il generale Strauss. Piacere.” Disse quell’uomo freddamente, per poi voltarsi e marciare, seguito da me che intimorito osservavo le sue enormi spalle muoversi a ritmo di marcia.
Attraversai, prima di arrivare alla mia stanza, un corridoio lungo e deserto segnato da moltissime porte. Doveva essere il piano degli alloggi delle reclute, e a giudicare dal numero delle porte dovevano essere parecchi. Non feci a meno di rattristarmi davanti a tutto ciò … se solo non ci fosse stata la guerra, tutte quelle persone chiuse in quelle stanze … potevano tornare dalle loro famiglie, invece di essere costretti a combattere per una causa, forse giusta, ma comunque insensata ai miei occhi.
Ma non potei approfondire le mie riflessioni poiché ero già arrivato alla mia stanza. Il generale aprì la porta che scricchiolò fastidiosamente e mi ritrovai in una stanza enorme, tenuta a malapena in ordine, in cui gli unici pezzi di arredo erano un armadio e dieci letti, nove dei quali occupati da ragazzi che ancora dormivano e che appena sentirono la porta aprirsi si voltarono su di loro a guardare verso la porta.
La cosa inquietante di tutti loro era il fatto che sembravano cloni; tutti biondi, tutti occhi azzurri, glaciali e mozzafiato. Mi sentii così fuori dal mondo appena fui in mezzo a loro. Sembravano tutti più grandi di me, e non avevano di certo l’aria di voler socializzare.
“ Ragazzi, attenti!” Al comando del generale ognuno di loro saltò giù dal letto e si mise in posizione subito, quasi fossero tutti statue uguali.
“ Questo è il vostro nuovo compagno di stanza … vedete di trattarlo bene. È figlio del tenente colonnello Schubert, quindi esigo da voi rispetto verso di lui. Trattatelo come si deve, o subirete la mia ira. Bene …” si volse verso di me, che guardavo con occhi attenti ognuno dei ragazzi davanti a me:” Ti auguro un felice soggiorno …” la sua bocca si piegò in un ghigno a dir poco malefico:” Dieci minuti e poi al campo. Puntuale.”
“ Sissignore.” Dissi distaccato, per poi avviarmi verso l’unico letto libero e posare le mia borsa sul letto.
La porta si chiuse lentamente, e le tenebre ripresero il sopravvento sulle stanza, dopo che solo il fascio di luce proveniente dalla porta aveva illuminato il tutto.
Il resto dei ragazzi si alzò anch’esso e iniziò a indossare la divisa. Era l’ora dell’addestramento, quindi anch’io estrassi la divisa dalla borsa e mi affrettai a mettermela. Per il momento preferii non proferire parola con il resto del gruppo.
Già tutto non poteva andare peggio di così.


Accidenti a me. La ferita era davvero troppo profonda, e nonostante mi fossi assicurata che almeno ci fossero i mezzi per curarla, continuava a sanguinare in modo anomalo anche dopo averla disinfettata e fasciata.
Elly continuava a guardare la benda rossa di sangue che tenevo premuta sul braccio trattenendo le lacrime di dolore con sguardo preoccupato:” Sei davvero un’incosciente.”
“ perlomeno il problema è risolto adesso … fa un male boia ….” Imprecai alla fitta al braccio, mentre la buca che prendemmo in pieno non contribuì certamente a farmi stare meglio. Avevo sia i conati di vomito per la gravidanza sia per la brutta sensazione di mal di testa che il mio dissanguamento stava provocando. Dovevamo affrettarci a raggiungere il rifugio,o avrei rischiato di prendermi un’infezione.
“ Si, ma morirai dissanguata … che stupida … e se ti becchi un’infezione?”
“ non portare iella!” ribattei inbronciandomi:” pensi che io non mi renda conto della situazione? Mark …. Accelera per favore.”
“ Subito … tenetevi forte, siamo quasi arrivati.” Sentii l’accelerazione della macchina e appoggiai la schiena al sedile, continuando a guardare al paesaggio e cercando di non imprecare dal dolore.
Per nostra fortuna la meta era a dieci minuti di distanza., e il rifugio in campagna si presentò davanti a noi in poco tempo. Era una modesta casa di campagna, immersa nel verde, ma sembrava un luogo piuttosto sicuro nonostante l’isolamento dal resto del mondo conosciuto.
Scesi subito dalla macchina appena si fermò e potei così vedere i componenti della famiglia Mendel, che conobbi poco dopo: Agata, la donna di casa, una anziana signora bassa e grassottella, ma dalla faccia tenera; Gustav, l’uomo di casa, che al contrario della moglie era alto e magrissimo, occhi color nocciola e capelli biondo ossigenato, e John, figlio dei coniugi Mendel. Vent’anni, e in guerra non ci poteva andare poiché ferito alla gamba. Potevo infatti notare come si sorreggeva a malapena sull’arto destro grazie alle
stampelle.
La piccola famigliola ci attendeva sulla soglia con un sorriso accennato sulle labbra. Io e Elly ci dirigemmo fianco a fianco da loro, mentre Mark portò i nostri sacchi a presso per posarli all’ingresso.
Poi l’uomo ci presentò:” Loro sono Elly E Deborah, le ragazze di cui vi ho parlato. Abbiatene cura finché rimarranno con voi.”
“ Ma certamente.” Disse bonaria la donna. Ci fecero accomodare dentro, e davanti a una tazza di caffè, si presentarono uno a uno. Poco dopo mi feci curare la ferita più approfonditamente, e per il momento quello cessò di sanguinare. Faceva male lo stesso,ma per adesso non rischiavo di dover morire dissanguata.
E quello fu il primo giorno di una lunga serie di eventi che mi provò l’animo e mi preparò all’incontro con Max. Lui fu il mio pensiero quella notte, mentre inginocchiata davanti a Dio pregavo per la sua salvezza e perché non gli capitassero disgrazie di alcun tipo.
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 24/9/2011, 15:22




Capitolo 25

Ciò che mancava per rendere memorabile quella giornata già iniziata col piede sbagliato era la pioggia, che come sempre arrivò nel momento meno opportuno, ovvero il mio primo addestramento. Anche se prima che mi dovessi gettare nel fango a valicare muri altissimi e a strisciare sotto filo spinato, uno dei miei superiori si offrì di farmi la panoramica dell’accampamento. Era stato uno dei miei pochi compagni di stanza a rivolgermi la parola appena arrivato.
“ Ehi! Novellino!” si era rivolto a me in questo modo, avvicinandosi e porgendo la mano:” Jordan, piacere!”
Io per tutta risposta gli tesi la mia di mano e strinsi la sua, accennando un sorriso:” Max … piacere mio.”
“ E quindi tu saresti il figlio ribelle! La tua fama si fa sentire tra le reclute sai?”
“ Figlio ribelle? Per quello che ho fatto? Non definirei certo il mio atto qualcosa da ricordare …. In questo senso dico …” Ero leggermente spiazzato che la notizia della mia tresca con Deborah fosse arrivata alle orecchie di tali sconosciuti.
“ beh, non è da tutti … mettersi con “loro” … e contro tuo padre per giunta! Ma sai … non ti biasimo, in fondo sei molto più coraggioso di quanto pensassi .. o forse stupido.” Disse mettendo nell’ultima parola una nota divertita.
Io lo squadrai a dir poco serio:” Non mi pento di niente.” E in vero, non mi pentivo per niente di ciò che avevo fatto con lei. L’amavo, e ne ero consapevole. Se tutti erano così di mentalità chiusa per capirlo … beh, tanto peggio per loro. Ormai era andata in questo modo. Non c’era niente da capire.
“ Sai, mi ricordi Romeo Montecchi … che fece di tutto per la sua amata Giulietta nonostante le loro famiglie fossero in combutta … e se non ricordo male nella storia muoiono tutti e due alla fine.” Fece Jordan, come pensante, caricando evidentemente di ironia le ultime parole.
“ L’ultima cosa non succederà … almeno spero.” Intervenni io guardandolo storto. Più che guardarlo occhio a occhio, ero costretto a piegare la testa poiché il mio caro Jordan era un gigante in confronto a me. Come il generale Strauss, era di spalle larghe e costituzione robusta, ma invece di trasmettere inquietudine, dava sicurezza quella massa muscolare imponente.
Per il resto era uguale al gruppo in cui mi avevano collocato: Testa rasata bionda, occhi azzurrissimi misti a sguardo arcigno. Il classico tedesco di razza. In altre occasioni, pensai che lo avrei disprezzato tantissimo.
“ Tutti lo sperano … nessuno vuole morire qui … in questo schifo.” Rispose lui serio.
Abbassò leggermente la testa per emettere poi un sospiro e continuare tranquillamente:” Ti faccio da guida … seguimi, gli addestramenti non iniziano prima delle cinque e mezza.”
Annuii alla sua proposta e lo seguii mentre, da bravo Cicerone, mi mostrava ogni parte della caserma: la mensa comune, i campi rigorosamente esterni di addestramento, il poligono da tiro per i più esperti, i campi di simulazione, l’infermeria e le varie stanze dei soldati, da i soldati semplici ai gradi più alti, fino agli appartamenti dei colonnelli e dei generali.
L’armeria si trovava su una collinetta poco distante da lì, sempre super sorvegliata e retta da nubi temporalesche quasi fosse una fortezza spiritata.
Mi fece venire i brividi solo vederla. E con questo ultimo dettaglio finì il mio giro turistico, per così dire.
Suonò la sirena, segno dell’addestramento imminente.
“ OPS .. dobbiamo affrettarci, non voglio beccarmi un’altra strigliata dal caporale maggiore. Andiamo!” Jordan corse seguito a ruota da me. E la nostra fortuita vicinanza al portone principale ci permise di unirci alle truppe senza farci troppo notare per la mia prima giornata di lavoro.
La pioggia picchiava sul mio viso mentre le urla o comandi del caporale mi martoriavano le orecchie sin troppo disturbate dal rumore di alcuni fucili che sparavano ai bersagli nel sin troppo vicino poligono di tiro.
Quell’uomo, di cui mai ricordai il nome, era incredibilmente basso, ma aveva una voce talmente possente da mettere in soggezione chiunque stesse ad ascoltarlo. In breve ci spiegò come superare il percorso,e che pena avremmo ricevuto se avessimo battuto la fiacca o imbrogliato per finire. Ma di voglia di imbrogliare ce n’era ben poca per il momento, e nessuno aveva di certo voglia di prendersi un colpo per qualche disobbedienza.
Alla fine della spiegazione, tutti sugli attenti, ci mettemmo in posizione per cominciare. Il fischietto suonò forte nel cielo delle cinque tempestato di gocce di pioggia pungente e le mie gambe automaticamente si mossero verso i vari ostacoli che mi si presentarono davanti.
E potei giurare su Dio stesso che quello era stato il mattino peggiore della mia vita. Nonostante la mia buona condizione fisica mi permettesse di scavalcare muri e oltrepassare filo spinato con semplicità, lo scarso allenamento, unito alla pioggia e alla scarsa aderenza delle mie scarpe mi costarono delle cadute assai dolorose unite a un dolore di milza allucinante. Gli altri del gruppo sembravano stanchi quanto me, ma per qualche ragione assurda continuavano a fare il percorso senza fiatare, cadendo anche loro e ansimando. Ma niente sembrava fermarli, e io di certo non potevo lasciare che qualche schizzo di pioggia potesse impedirmi di fare peggio di loro.
Trattenni il dolore e continuai i vari ostacoli, dalla scaletta orizzontale alle funi di arrampicaggio, per poi saltare prendendo slancio un muro altissimo e atterrare in piedi, nonostante un potente crack al piede mi desse la sensazione di una brutta botta al palmo del piede. E me ne accorsi sin troppo presto. Ma non demorsi e dopo un’ora buona di fatiche inimmaginabili, il primo addestramento finì.
Mi sedetti per terra tenendo la testa sollevata con le mani e ripresi fiato a pieni polmoni. Le altre reclute fecero quasi lo stesso, senza rivolgermi nemmeno la più piccola occhiata.
Jordan solo mi si avvicinò:” Tenace il ragazzino per essere la tua prima volta … vieni, ci facciamo una doccia veloce poi a mangiare qualcosa prima di tutto il resto della giornata.”
“ ogni mattina è sempre così?” chiesi leggermente affaticato.
“ Sempre così? Oh! Anche peggio … vedrai, ti tratteranno come una massaia visto che sei un novellino , ma conta su di me per tutto .. e anche sugli altri in stanza, non sono strani, sono solo timidi vedrai!”
Come vuoi tu …” mi porse la mano dopo essersi alzato e io afferrandola balzai in piedi per avviarmi con lui verso le docce.
Non pretendevo certo che sarebbe stato facile, ma speravo solo di non spaccarmi la schiena troppo presto.
E per adesso, l’unica preoccupazione correva verso di lei.

Decisi di riposare dopo essermi medicata la ferita, che per un po’ non mi procurò problemi. Dopotutto avevo fatto pochissime ore di sonno, quindi mi coricai sulla mia brandina in camera mia e di Elly e chiusi gli occhi per due ore buone, mentre Elly andò con Agata nella stalla dietro al casa per iniziare i primi lavoretti per poterci mantenere e non essere troppo d’intralcio alla famiglia.
L a stanza che ci avevano assegnato era piccola ma confortevole, e la piccola e tonda finestrella che dava sul giardino faceva filtrare un piacevole raggio di luce solare che mi riscaldò il viso infreddolito dalla notte di prima.
Feci un sogno strano, quel che mi ricordai fu lo sprazzo di un viso dolcissimo e di una voce altrettanto carica di miele. Morbidi capelli castani e due occhi neri profondi come i miei. Mia madre , che era come se sdesse su una sedia a dondolo, sospesa in un spazio monocromatico e offuscato, come di dimensione onirica.
La bellezza di quel sogno che mi provocò tantissima nostalgia e tristezza fu il fatto che tutto mi sembrò straordinariamente reale.
La sedia produceva davvero quel suono scricchiolante classico delle sedie a dondolo, sentivo davvero la sua voce melliflua e quasi il suo calore materno.
Mi avvicinai a lei :” madre …” aleggiavo nel mezzo di uno spazio informe, ma sentivo come se tutto quello fosse visto con i miei occhi.
“ Deborah, margherita mia …” Mia madre era solita chiamarmi margherita mia. Lei adorava quei fiorellini tanto modesti ma bellissimi, e io adoravo i suoi occhi che ogni volta si illuminavano davanti a un campo primaverile di margherite selvatiche. E sapevo che non avrei più rivisto quegli occhi, poiché scomparsi dietro un nero portone di ferri, cremati dalle fiamme dell’odio.
Mi vennero le lacrime a ripensarci e mi buttai sul suo grembo, mentre lei continuava a dondolarsi sulle sedia a dondolo e mi carezzava i capelli.
“ mi dispiace … mi dispiace …” e mi dispiaceva davvero, non volevo che lei morisse, non lo avevo mai voluto. E ora l’unico luogo in cui potevo dirle scusa era nei miei sogni. Tutto ciò non potevo sopportarlo. Continuavo a ripetere quanto mi dispiacesse, e lei continuava ad accarezzarmi la testa sussurrandomi che andava tutto bene:” Non hai colpe fanciulla mia … non hai colpe.” E la dolcezza della sua voce mi faceva malissimo.
E quel sogno durò un’eternità, fino a che non mi accorsi che un raggio di sole mi aveva disturbato. Mi svegliai in lacrime, potevo sentire gli occhi umidi e rossi e il cuscino umido.
Mi soffiai il naso e stropicciai i miei occhi stanchi e tristi e solo dopo mi accorsi che Elly mi aveva osservata per tutto il tempo.
“ Stavi piangendo nel sonno … stai bene?” mi chiese premurosa sedendosi accanto a me.
Come dirle quanto il rimorso per aver mandato a morte mia madre stesse influendo sul mio umore? E adesso, sarebbe toccato a Max, per una semplice ferita alla mano …
“ Si …” mentivo spudoratamente, sapevo benissimo di stare un male boia per fatti sin troppo significativi. Le lacrime continuavano a scendere senza sosta, e potevo sentire gli occhi di Elly puntati su di me. Sapeva che stavo dicendo balle, chiunque lo avrebbe intuito.
“ Dimmi la verità …” fece flebilmente avvolgendomi le spalle con il braccio.
A quel punto non mi trattenni. Mi ritrovai a piangere sulla sua spalla, a ripetere che mi dispiaceva, a sentire la sua mano muoversi su e giù sulle mia schiena e quei piccoli schiocchi delle sue labbra sulle mie tempie, mentre mi aggrappavo ai suoi vestiti come a una colonna.
Ero stanca di tutto questo. Perché il mondo mi si rivoltava contro sempre? E se anche mio figlio avesse avuto questo stesso mio triste carattere?
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 28/9/2011, 17:01




Capitolo 26

In casa non si respirava aria buona. Ma non ero poi preoccupata dal fatto che mio marito mi avrebbe scorticata viva sapendo della mia intromissione; per ora l’unica cosa a cui pensavo intensamente era il destino dei miei due figlioli cari.
Max in guerra, Elly in compagnia di Deborah, sperduta e esposta ai pericoli incombenti del mondo attuale. Non sapevo a che santo votarmi per dare loro una mano dal punto fermo in cui mi trovavo.
Ero seduta in salotto e guardavo incessantemente l’orologio a pendolo che ticchettava inesorabile scandendo ogni secondo che pian piano cercava di allontanare il ricordo dei visi dei miei due figli. Ma se pensava di farla franca con me si poteva sbagliare di grosso. Niente mi avrebbe fatto cancellare il loro ricordo. Sentivo nostalgia, pensavo che tutt’a un tratto si sarebbero precipitati alla porta a bussare. Io avrei aperto, loro mi avrebbero abbracciato festosi e io tra le lacrime li avrei baciati e ribaciati dalla gioia. Ma sapevo che era solo un’illusione, seppur temporanea. Quella porta non si sarebbe aperta, le mie lacrime sarebbero state versate per altri motivi.
Ero immersa in questi vani tentativi di evasione, quando Frank fece tuonare il mio nome in tutta la casa, con una furia spaventosa: “ Elena!”. Le pareti quasi tremarono insieme a me a quel richiamo.
Mi alzai lentamente e andai nel suo studio, tenendo però la testa alzata, come a volerlo sfidare appena varcata la soglia dello studio. Ed era ciò che avevo intenzione di fare.
Lui era lì, seduto nella sua sedia, e mi guardò con occhi ardenti:” Siediti.” Mi comandò.
“ Sono tua moglie, trattami come tale …” non abbassai lo sguardo e lo sfidai fissandolo dentro le iridi celesti che si restrinsero alla mia quasi pretesa.
“ Non fare la permalosa con me! Non funziona … siediti.” Mi tornò a dire alzandosi.
Io mi sedetti lentamente, e da lì lui mi fulminò come fossi un cane colto nel momento in cui viene beccato a rubare del cibo.
“ Elena, sai che io e te ci abbiamo messo un sacco di tempo a educare i nostri figli al rispetto, soprattutto verso noi … “
“ Esatto, Frank, e non sembra che non mi abbiamo portato rispetto, quindi non capisco dove vuoi andare a parare …” feci io ironica, già conoscendo quel discorso a memoria. Intuii, però, che stavolta sarebbe finita diversamente.
“ Esatto mia cara mogliettina, ma si dà il caso …” qui avvicinò il suo viso al mio orecchio da dietro lo schienale di soppiatto. Sobbalzai sentendo il suo fiato caldo sul collo:” Che abbiano in qualche modo mancato di rispetto a me. E questo non va bene. E cosa scopro poi? Che tu!” la sua mano fece un tonfo sullo schienale della sedia, come se l’avesse sbattuta di proposito. Non volsi nemmeno la faccia:” C’entri in questo trambusto …”
“ Non so di cosa tu stia parlando …”
“ Vuoi che ti rinfreschi le idee? Sai che ci posso riuscire benissimo …” Poggiò la sua grande mano sulla mia spalla, e sentii la pressione delle dita che stavano stringendo l’osso. Scattai in piedi voltandomi verso di lui e facendomi schermo con la mano. La mia faccia si contrasse disgustata:” Non osare toccarmi.”
“ Non farei del male a mia moglie per nessuna ragione. Dimmi solo perché diavolo ti sei messa in mezzo!”
“Perché voglio bene ai miei figli, al contrario tuo!” sbottai furiosa. Lui era accecato dall’ira, e per poco non avrebbe teso la sua mano per darmi uno schiaffo, ma vedevo chiaramente che si tratteneva dal farlo.
“ Non tirare fuori sciocchezze donna! Io ho educato loro al rispetto e all’odio verso quegli esseri, e mi ritrovo un figlio innamorato di uno di loro, e l’altro in sua difesa! E ti ci sei messa anche tu, aiutandoli nell’evasione! Ti rendi conto? Hai rovinato la mia immagine!” diede una sfuriata pazzesca, battendo il pugno sul tavolo tanto da far saltare di qualche centimetro la tazza di caffè.
“ Quale immagine ti avrei rovinato io? Quella di un despota senza pietà? Ma per favore … ad essere sincera ne vado altamente fiera. E non tirare fuori scuse politiche che solo tu sapresti tirare fuori! Qui non c’entra la tua reputazione, non ti va a genio che io stia dalla parte dei miei figli piuttosto che dalla tua, ammettilo!!”
Non feci in tempo ad accorgermi dello schiaffo che mi arrivò alla guancia sinistra, che mi fece risedere sulla mia sedia di botto. Mi toccai la gota che bruciava dolorante e lo guardai con occhi pieni d’odio.
“ Taci.” Tuonò lui arrabbiato.
Mi alzai dalla sedia e non stetti ad ascoltarlo ulteriormente. Ma di certo lui riuscì a sentire il mio “ Va al diavolo” poiché glielo dissi in faccia chiaro e tondo, per poi sbattere la porta dietro di me con un colpo secco.
Non piansi per lo schiaffo, non piansi per niente.
Sapevo quanta cocciutaggine ci fosse in quella testa di mulo che mi ritrovavo come marito, sarebbe stato inutile discuterne.
Era comunque un punto a mio favore.

Il primo giorno in quell’inferno passò, e la stanchezza mi fece quasi svenire sulla mia misera brandina in camera.
Durante quella terribile giornata mi vennero date le mansioni giornaliere. Oltre all’addestramento alla guerra, avrei dovuto svolgere anche lavori all’apparenza più semplici, ma che tutto sommato risultarono massacranti per la mia schiena e il mio fisico : SE dopo pranzo avevo dovuto fare servizio in cucina, a lavare piatti e spazzare per terra, nel pomeriggio venivo sfiancato dalle migliaia di addominali e flessioni e di esercizi di corsa. Per non parlare della sera: insieme a uno dei miei compagni di stanza, Lucas, dovevo pulire le vetrate di tutto l’edificio e pulire i pavimenti delle camere, e verso l’imbrunire avevo l’esercitazione al poligono di tiro.
Non essendo esperto in armi, il rinculo che mi beccai sparando il primo colpo di fucile della mia vita mi fece cadere a terra, tra le risate generali di tutti gli altri. Io non ne feci conto, e l’uomo addetto all’addestramento mi insegnò come posizionare quell’arma e come prendere la mira.
“ tienilo appoggiato alla spalla, e punta leggermente più in basso rispetto al punto che vuoi colpire, per ora. Poi dovrai essere sempre preciso. Capisce cadetto Schubert?”
“ Sissignore.” Eseguii il comando e in effetti trovai più facile mirare al bersaglio fisso davanti a me, e riuscii a governare i miei riflessi. In fondo non era difficile utilizzare quell’arnese, a parte la montatura e la carica delle munizioni,bastava avere la mano ferma.
Ma non avevo intenzione di usarlo per ragioni esterne alla guerra. Lì sarebbe stato usato, lì era il suo utilizzo, e decisamente mi veniva la pelle d’oca al sol pensiero.
Finii così la giornata buttandomi a letto nonostante fosse prestissimo, ronfando alla grande come osservò Jordan il mattino dopo.
Non fu la giornata però a turbarmi di più. Ci pensò il sogno a rendermi le cose difficili. Cosa sognai? O per meglio dire chi? Lei, ovvio.
Lei che piangeva nel mezzo di un cerchio di luce bianchissima, in uno spazio nerissimo come la notte. Io che non riuscivo ad avvicinarmi a lei per abbracciarla, per poterla baciare su quelle labbra esangui e tremanti , bagnati di lacrime. Le mie, lacrime di sangue, che mi facevano piangere il cuore.
Una fitta terribile che mi stringeva lo stomaco, una voglia fortissima di volerla abbracciare stretta a me resa impossibile da una forza estrema che mi impediva di andarle incontro e di fare ciò che volevo.
Cavolo. Perché anche la mia volontà mi si stava rivoltando contro? Non ero più padrone di mio stesso per caso?
Mi svegliai in un bagno di sudore, la luna splendeva da fuori accecando i miei occhi pregni di amarezza e nostalgia.

“ Stai bene adesso?” mi chiese dolcemente Elly, ancora stringendomi a sé. Annuii lentamente e alzai il viso asciugandomi le lacrime con il braccio:” Grazie.”
“ di niente.” Sorrise lei :” ma non farmi preoccupare … su, sorridi!”
“ Fosse facile lo farei …” aggiunsi io con una punta di rancore.
“ Provaci.” Prese il mio viso madido di lacrime e tese gli angoli della mia bocca, costringendo il mio viso a stendere i muscoli della bocca in un ‘espressione serena:” Visto? non è difficile in fondo!”
“ Ma smettila!” Elly riuscì a farmi ridere almeno, e apprezzai quel suo gesto. In fondo lo faceva per il mio bene, e non volevo deprimerla con le mie lamentele.
Gonfiò le guance per poi espellere l’aria in un soffio:” E poi, non vorrai mica che tuo figlio sia un ragazzo triste! Madre sorridente, figlio sorridente!”
Sorrisi a quella allusione, e mi toccai il ventre pensierosa. In effetti non potevo di certo permettere che la tristezza influisse su di lui. Era frutto di odio, ma pur sempre un frutto. E i frutti vanno sempre coltivati con amore.
“ Grazie ancora …”
“ Di niente … Mmh … ti andrebbe di tagliarti i capelli? La tua chioma potrebbe risultare fastidiosa quando dovrai lavorare qui.” Osservò Elly.
Presi una ciocca dei miei capelli dubbiosa e osservai pure io che tutti quella chioma di ebano sarebbe stata ingombrante nel caso avessi dovuto svolgere lavori di qualsiasi genere. Non li facevo tagliare da chissà quanto, era mia madre … che aveva sempre provveduto …
Qualcosa come una lacrima inconsapevole della sua discesa solcò la mia guancia. Perché diavolo tutto doveva essere pregno di lei?
“ Oh no … che ho fatto?” Esclamò Elly meravigliata:” non piangere!”
“ Non è niente davvero …” mi asciugai in fretta le lacrime:” Dove sono le forbici?”
“ Quindi hai deciso?”
“ Esattamente!” feci io tenendo in pugno i miei capelli e mostrandoglieli:” Fai quel che sai!”
“ Benissimo!” Elly si alzò di scatto dal letto e afferrò la sedia lì accanto:” Siediti qui.”
Mi sedetti sulla sedia di legno che mi porse e dopo mi trovai avvolta da una coperta. Elly prese delle forbici dal tavolo lì accanto e mi bloccò la testa, abbassandola leggermente:” Chiudi gli occhi e lascia fare a me.”
Feci come mi ordinò. Durante il taglio dei miei capelli sentii le lame che tranciavano le ciocche di capelli che Elly raccoglieva tra le sue dita, le sue risatine divertite appena udibili, la sua mano leggera che muoveva la chioma per ordinarla insieme alla spazzola che faceva passare tra ogni capello.
Aprii gli occhi, e potei vedere sul pavimento le numerose ciocche che mi aveva tranciato, neri batuffoli di capelli che ricadevano leggeri come piume.
“ Non aprire gli occhi furbona.” Mi rimproverò dolcemente lei guardandomi di sottecchi, continuando la sua opera. Sorrisi divertita e richiusi di nuovo gli occhi, per poi riaprirli al suo comando.
“ Tieni e guarda!” mi porse uno specchio:” Ti piace?”
Osservai la nuova me nello specchio, e ciò che vidi non mi dispiacque affatto. La lunga cascata di capelli disordinati era ridotta ora a un elegante taglio corto e sfilato, la fronte era rimasta libera con due ciuffi laterali, ma l’insieme era raffinato e anche comodo da gestire. Mi passai le dita tra i capelli compiaciuta:” Ottimo lavoro! non immaginavo fossi tanto brava!”
“ Sono una ragazza, è il minimo che devo saper fare!” fece lei quasi dandosi un’aria orgogliosa che mi fece ridere.
Sorrisi e mi alzai dalla sedia,e dopo aver pulito la stanza dai capelli, scesi giù con Elly per eseguire le mansioni.
Ero cambiata, seppur esteriormente. E non sarebbe mancato anche il cambiamento interiore. Tutto questo dedicato a Max, che pregavo dentro di me che tornasse vivo dalla guerra per potermi vedere, nuova e innamorata di lui più che mai.
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 3/10/2011, 16:17




Capitolo 27

La mia prima giornata lavorativa? Per essere stata la prima, non fu per niente male. Dopo che Elly mi acconciò i capelli, scendemmo giù per poterci unire al resto della famiglia. Dovevamo vedere tutti i compiti necessari alla famiglia, e così mi toccò andare insieme ad Agata a mungere le mucche appena tornate dal pascolo di quella mattina.
“ Ti senti pronta cara?” mi chiese la donna affabilmente, mentre percorrevamo il tratto che ci separava dalla stalla. La stalla si trovava poco distante dalla casa comune, e la si poteva raggiungere attraverso un piccolo sentiero sterrato. Affianco all’entrata da cui si poteva già sentire l’odore del fieno per i cavalli, era attaccato un piccolo cartello a sagoma di gallina: “ Fattoria Mendel.” Rendeva il tutto leggermente più accogliente. Anche se, del resto, tutto lì mi ispirava accoglienza.
“ Beh .. non ho mai munto in vita mia in verità …” feci io titubante, cercando di prendere confidenza con il sentiero un po’ accidentato, e le scarpe, che mi risultavano leggermente strette.
“ Non è chissache .. si tratta di stringere e tirare … vieni, ti faccio vedere, tesoro …” mi disse lei, appena giunti dentro. L’ala dedita alle mucche consisteva in un corridoio e in dei recinti unitari, da dove alcuni grossi capi di mucche sporgevano il muso annusando l’aria, che non potevo definire altamente respirabile a causa del puzzo.
Agata mi condusse dietro il recinto, dentro la stanza di mungitura, che non era altro che una piccola camera posta a fianco di quella delle mucche, e ne portò una, legata al muso con una corda. Era una bella Frisona,da quel che potevo ricordare dai libri che avevo letto da piccola.
“ Siediti su quello sgabello.” Mi indicò Agata. Io feci come lei mi disse, e mi mise la mucca davanti, che agitava pericolosamente la coda in cerca di scacciare le mosche che le ronzavano attorno.
“ China la testa e stringi le sue mammelle .. poi cerca di far pressione di modo da spruzzare il latte nel secchio …” io, cercando di non finire sotto il peso di quella frisona, chinai la testa e strinsi quelle cose penzolanti. Erano viscide e corpose, all’inizio mi fece un po’ ribrezzo, e quando la mucca muggì come infastidita mi spaventai non poco.
“ è solo il contatto che le fa impressione! Tu fai il tuo lavoro!” rise Agata, incitandomi e guidando le mie mani nel lavoro.
Stringevo e tiravo, e il liquido bianco tanto desiderato usciva a spruzzi dalla mammella per poi infilarsi nel secchio con un fragore metallico che mi divertì. Strano, mi divertiva sentire del latte cadere in un secchio! Forse ero leggermente pazza, o semplicemente tutta quella normalità mi sollevava l’animo. In fondo avevo da poco patito le pene dell’inferno, tutta quella quotidianità mi suonava a dir poco strana.
La mucca continuava a muggire tranquilla, mentre a poco a poco il secchio si riempiva. Era divertente, anche se la mia schiena ne soffrì non poco. Ma continuai senza sosta fino a che non muggimmo tutte quante le altre mucche, che dopo il lavoro, se ne tornavano svuotate e soddisfatte nella loro cella.
“ Visto? Non è stato difficile!” rise Agata porgendomi un fazzoletto pulito per asciugarmi il sudore.
“ Già! Anzi! Mi sono anche divertita … domani lo rifacciamo?” feci io soddisfatta, tamponandomi il tessuto su collo e fronte.
“ Ahahah! Se vuoi .. vieni, ci aspetta il resto delle mansioni!” Si alzò dal suo sgabello, e io la seguii fuori dalla stalla, diretta verso casa. Il resto della giornata si rivelò meno faticoso e più divertente; ebbi le mie prime lezioni di equitazione da Gustav, e solo la monta mi costò una gamba quasi rotta e un dolore alle natiche pazzesco.
Poi, con John, imparai a tagliare la legna, e almeno quello mi risultò facile. Anche se la maggior parte delle volte rischiavo che, con tutta la forza bruta che ci mettevo, la lama dell’ascia mi arrivasse dritta in fronte, riuscii a tagliarne qualche ceppo senza problemi, e John mi insegnò davvero bene, in fondo.
A dirla tutta, era un ragazzo davvero carino, ma ovvio che non superasse Max. Era gentile e mi aiutava, guidando le mie mani tra le sue per impugnare l’ascia ogni volta che per poco non mi scivolava. Quei contatti mi procuravano leggeri sobbalzi di imbarazzo, ma cercavo di fare finta di niente.
In fondo l’unico che poteva darmi quel tipo di brividi era Max, solo lui … nessun altro.
Per mia fortuna, ebbi la negazione del fatto che John avesse messo gli occhi su di me. A cena, infatti, i suoi occhi si voltarono verso Elly, che prima di allora non lo aveva nemmeno guardato di striscio, ma che in quell’occasione, mi diede una gomitata che per poco non mi fece sputare la minestra.
“ ma che …!” per poco non urlai. Ma lei mi zittì con un dito davanti al labbro.
“ Lo hai notato?”
“ Notato cosa?” feci io indifferente continuando a mangiare.
“ Quella cosa … non sei stupida, lo hai notato anche tu …”
“ Ah!Quello!!” feci io divertita davanti alla sua faccia rossa:” Si chiama “attrazione”” Evidenziai la parola con le virgolette immaginarie:” Gli piaci!”
“ Tu dici?” disse lei rossa in volto, voltandosi verso di lui. La stava guardando di nuovo, curioso. Lei si voltò di scatto:” Sì, è come dici tu …. Che faccio??”
“ Che en so!” feci io leggermente innervosita:” prova a parlarci …”
“ Mmh … dopo ci provo …” concluse Elly, voltandosi verso il suo piatto e finendo di ingurgitarlo. Dopo cena io e lei ce ne andammo in camera nostra. Io ero stanca, quindi per prima cosa mi coricai sulla branda mentre lei si sistemò leggermente il vestito, un po’ emozionata.
“ Secondo te va bene come sto?” Chiese lei preoccupata.
“ Si …” feci io con tono scocciato e stanco:” Ora vai e conquistalo mia cara!”
“ Smettila …” Mise un leggero broncio per poi varcare la soglia:” Ci parlerò, se mi piace può anche darsi che …”
“ In bocca al lupo amica!” le urlai dietro scherzosa. In realtà, ero felice per lei, stava per provare le farfalle allo stomaco, e provare cosa significhi amore in verità. Ero contenta, avremmo avuto almeno una cosa in comune, oltre quella di voler bene, anche se in modo diverso, alla stessa persona.
“ Crepi ..” sentii come eco da lei, felice.
E dopo questo, chiusi gli occhi, addormentandomi.

“ Dov’è John?” Chiesi, un po’ timida, al signor Gustav, che in quel momento stava leggendo un quotidiano.
“ Mi sembra che sia uscito fuori, lo troverai di sicuro qui vicino.” Mi disse lui, alzando leggermente gli occhi dal quotidiano.
“ Grazie mille.” Scesi rapidamente le ultime scale e corsi alla porta, per dirigermi fuori. Il cielo era tempestato di stelle da ogni angolo in cui lo si guardasse, tirava una leggera brezza estiva e piacevole, e sentivo il canto delle cicale e dei grilli nell’aria. Tutto ciò era davvero rilassante. Cercai il mio obiettivo con lo sguardo e lo trovai appoggiato a un albero lì vicino, seduto tra l’erba con la schiena appoggiata al tronco. Guardava il cielo con la testa leggermente piegata all’indietro, la gamba malata era distesa, mentre l’altra era piegata internamente, come se si fosse seduto a gambe incrociate. Nelle sue iridi brillavano i riflessi stellati. Arrossii leggermente davanti a quel panorama a dir poco estatico.
Nonostante il suo handicap, Il ragazzo teneva bene il suo fisico asciutto e non troppo muscoloso. Avevamo una differenza d’età sopportabile, visto i miei quindici anni contro i suoi venti, e potevo affermare che era attraente, con i suoi grandi occhi grigi e bellissimi, la sua mascella ampia ma proporzionata al viso, e la sua chioma castano chiaro.
“ Posso sedermi?” Gli chiesi, avvicinandomi lentamente a lui, per non spaventarlo.
Lui si voltò di scatto e mi fissò con due occhi alquanto incuriositi:”Ma certo!” Si scostò leggermente per lasciarmi un posto accanto a lui. Mi accucciai bene bene, piegando le gambe sotto la gonna discretamente, e poggiando la schiena al tronco.
“ Qual buon vento ti porta fanciulla?” attaccò discorso lui, con una punta di ironia nella voce.
“ Le stelle … volevo vedere le stelle.” Feci io, leggermente imbarazzata.
“ Le stelle? Non qualcos’altro?” domandò lui voltando la testa verso di me. Incrociai il suo sguardo divertito e dolce, e arrossii violentemente. Mi ritenni fortunata a trovarmi sotto un cielo stellato, cioè di notte, perlomeno non avrebbe notato il rossore delle mie guance. Cavoli, anche se la luce era scarsa, potevo notare i lineamenti perfetti del suo viso, era davvero carino.
“ Si …” balbettai:” Le stelle!”
“ Capisco … “ Fece lui rivoltandosi verso il cielo stellato. Anch’io allora mi misi a guardare quel meraviglioso cielo stellato. Un manto blu oltremare puntellato di tante piccole chiazze argentate in ordine sparso, trapassato a volte da lievi fiocchi di nubi che man mano che pascolavano in cielo nascondevano la falce di luna di quella sera che brillava come non mai in quel cielo meraviglioso. La brezza muoveva i lunghi steli di margherite che chiusi in attesa dei raggi del sole, ondeggiavano poco lontani da me, al muoversi ritmico del vento.
“ Bellissimo …” sussurrai tra me e me immergendo i miei occhi in tantissime emozioni di sorpresa e magnificenza.
Sentii gli occhi di John trapassarmi:” Stavi parlando di me?”
“ Cosa?” Per poco non mi saltò il cuore in gola dopo quella domanda così sfacciata:” No! Parlavo del cielo …”
“ Oh ..” Esclamò lui, accennando con la testa come poco convinto:” sarà come dici tu …”
“ Lo so io cosa stavo guardando!” risposi leggermente irritata dal suo tono sfacciato. Che caratterino!
“ Non scaldarti! Stavo solo scherzando!” Fece lui sorridendo e voltandosi verso di me:” Scusa il mio ego, ma a volte non riesco a controllarmi,devo pur fare bella figura … no?” Mi ammiccò, e per poco non emisi un gemito di sorpresa a quel gesto tanto azzardato.
“ Già … Il tuo ego è sin troppo esagerato a mio parere.”Lui si limitò a sorridere. Vidi che afferrò la stampella e che si preparava ad alzarsi.
“ Ti do una mano, se vuoi …” mi alzai anch’io in fretta e gli diedi una mano ad alzarsi.
“ Non ce n’era bisogno …” Fece lui gentilmente. Io scossi la testa e lo aiutai a mettersi in piedi,ma quando il mio braccio nudo venne a contatto con il suo, un brivido mi percosse la schiena. Una scarica elettrica davvero forte, che mi fece stropicciare gli occhi per alcuni secondi, sbalordita.
“ Che hai?”
“ niente …” Replicai scuotendo la testa. Mi staccai da lui, che ora poteva ritenersi in equilibrio sul coso di ferro:” Rientriamo?”
“ D’accordo.” Esclamò lui. Ero stanca dopotutto, in quel momento volli solo essere nel mio letto, a dormire beatamente in attesa del giorno dopo. Ma anche se avessi voluto rimanere ancora un po’, qualcosa non me lo avrebbe permesso lo stesso.
Io e John sentimmo la voce allarmata di Gustav provenire dalla casa:” Deborah sta male!” L’uomo urlava dall’ingresso preoccupato:” Venite presto!”
Il panico attanagliò il mio cuore e le mie gambe si mossero da sole. Corsi in fretta dentro e salii le scale in fretta, provocando un grandissimo trambusto. Irruppi nella camera, con il fiatone.
Deborah stava sul suo letto,madida di sudore, ma stretta nella sua coperta, quasi sentisse freddo nonostante nella stanza facesse caldo. Agata era al suo capezzale, e le tamponava la fronte sudata con un asciugamano bagnato. Le bende della ferita al braccio erano state ricambiate, potevo vedere quelle di mattina poste sul comodino. E nonostante fosse passato solo un giorno, una sostanza vischiosa e giallognola le ricopriva, rendendole alquanto inquietanti
“ ma cosa è successo?” Chiesi io preoccupata avvicinandomi.
“ Non voglio arrischiare ipotesi assurde … potrebbe essere tetano.” Disse flebilmente.
“ T – tetano …. Come ?” Ero a dir poco scioccata. Tetano? Deborah malata di tetano? Non era possibile, la diagnosi era troppo affrettata. In più, quella orribile malattia provocava paralisi e contrazioni. L’avrei vista contorcersi dal dolore ai muscoli del copro, invece era avvolta nella sua coperta e faceva fatica a respirare.
“ Non è tetano …”
“ la ferita si è infettata gravemente, ha la fronte caldissima …” Fece Agata scostandosi leggermente da lei.
Mi avvicinai con le lacrime agli occhi e le toccai la fronte leggermente. Il solo contatto mi bruciò il palmo della mano.
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 8/10/2011, 11:46




NON UCCIDETEMI, LA SCELTA è STATA NECESSARIA ( PARLO DEL FRAMMENTO DI DEBORAH)

Capitolo 28

Continuava a sudare, e io a rimanerle accanto su quel letto ormai troppo scomodo per la fossa del mio sedere. Deborah aveva il respiro affannato, la coperta l’avvolgeva come un salame, e a volte delirava nel sonno agitato, invocando il nome di Max. Non riuscivo a capire cosa avesse: l’asciugamano bagnato che aveva in fronte non le dava alcun sollievo, e anzi , sembrava che la febbre fosse addirittura aumentata.
Non mi capacitavo però del fatto che si fosse ammalata di tetano. Da quel che ne sapevo io, il tetano era una malattia contagiata da un virus attraverso ferite e lesioni, e portava a atroci spasmi muscolari, o alla paralisi dei muscoli.
Ma non vedevo segni alcuni di quei sintomi; lei stava lì, rannicchiata, mentre la febbre continuava a salire, e anche se la ferita si fosse davvero infettata, non capivo il nesso tra i due … di tetano nemmeno l’ombra.
“ Forse i sintomi tardano a venire …” Mi disse Agata, accanto a me in quel momento.
“ Non so, ma spero vivamente di no … nel mentre chiama un medico.” Risposi io, mentre tergevo la fronte della ragazza con l’asciugamano bagnato:” E digli di venire a ogni costo.”
“ Il dottore più vicino è a trenta chilometri da qui …” proferì lei, con voce debole debole.
Sbarrai gli occhi:” Venti minuti di macchina? Ma io ne ho bisogno adesso!”
“ lo so cara, ma anche se lo chiamassi subito, stenterebbe ad arrivare … e potrebbe anche arrivare troppo tardi.”
Ero furiosa, non potevo lasciare che la mia amica patisse quelle sofferenze, ma dovevo anche considerare che il dottore più vicino stava a venti minuti di distanza. Dovevo solo sperare, alla fine, che Deborah resistesse ancora per un po’, e l’arcano della sua febbre sarebbe stato svelato.
“ Tentar non nuoce …” mi limitai a dire:” chiamalo, il fisico di Deborah reggerà ne sono certa … o almeno spero …” E mi voltai verso la ragazza, che si era girata di fianco e teneva adesso gli occhi socchiusi.
Agata corse fuori dalla stanza, mentre io rimasi sola con l’ebrea, e le accarezzai la testa dolcemente. Aveva gli occhi lucidi dalla febbre, il respiro caldissimo e un rantolo era la sola sua parola. Mi si spezzava il cuore a vederla in quello stato.
“ Max ..” disse rauca:” Max … dove sei?”continuava a invocarlo nel delirio, e le lacrime si fecero strada nei mie occhi scendendo sulle mie guance arrossate.
“ Resisti ti prego … il dottore sta arrivando ….” Mi accasciai su di lei e l’avvolsi in un abbraccio. Il calore del suo corpo quasi mi bruciò. Lei continuava a invocare il nome del suo amato, e io a piangere al pensiero che sarebbe passato chissà quanto prima che il suo desiderio si avverasse. La stringevo a me e le ripetevo di resistere, ma anche le mie speranze stavano svanendo. Non sapevo minimamente a cosa fosse in balia, volevo saperlo ma non capivo come diavolo fare.
Guardai fuori dalla finestra, il cielo meraviglioso di prima ora aveva perso tutto quel fascino, niente riusciva a distrarmi dal fatto che Deborah stesse tanto male.
“ Elly …” sussurrò lei:” Elly …?”
“ Dimmi tutto …” dissi io cercando di guardarla negli occhi. Lei alzò lentamente la testa e mosse le labbra, pronunciando qualcosa di incomprensibile. Aggrottai le sopracciglia:” Cosa hai detto? Parla più forte se ce la fai …”
“ Non toccarmi, ti prego …” ripeté lei più forte.
“ Come?”
“ stammi lontana, è per il tuo bene …” rispose alla mia domanda. Ero incredula a quello che mi stava chiedendo.
“ Stai delirando …” dissi scioccata. Mi stava odiando forse? O c’era qualcos’altro sotto?
“Elly, non te lo sto dicendo perché ti odio, ma …” Non riuscì a terminare la frase, che una tosse convulse prese possesso di lei. Mi staccai restandole accanto, mentre lei veniva sbattuta da attacchi fortissimi di tosse incontrollabile. Nel poco respiro che le era rimasto, mi disse:” malva … mi serve …” Qui un colpo di tosse:” Malva …”
“ malva? Ma a cosa …” Ero leggermente confusa della sua richiesta. A che le serviva la malva in quel momento? E intanto volevo trovare un modo per calmare la sua improvvisa tosse.
“ Cerca della malva, presto!” gridò lei improvvisamente, per poi ricadere sul cuscino con un tonfo. Emise un urlo terribile, che squarciò le mie orecchie e mi terrorizzò ancora di più.
Corsi subito si sotto a cercare il famigerato estratto di malva, quando mi accorsi che il dottore era sulla soglia di casa.
“ Dottore! Ci serve il suo aiuto! La paziente sta malissimo!” dissi disperata:” mi ha chiesto della malva, ma non capisco perché …”
“ malva? Capisco …” Il dottore si fece pensieroso e iniziò a salire le scale, seguito a ruota da me e Agata, che sentendo tutto era andata a prendere una boccetta di liquido.
Il dottore entrò nella stanza e vedendo Deborah che si dimenava nel letto trasalì.
Le andò accanto per farle la visita, furono dieci minuti eterni e colmi d’ansia. Dovevo sapere subito il responso di ciò che aveva la ragazza. Il dottore le misurò la febbre di nuovo, poi si alzò dalla sua posizione inginocchiata e disse:” Qualcuna di voi ha avuto contatti fisici con lei stretti?”
Rimasi spiazzata, ma annuii indicandomi. Lui mi guardò con occhi decisi:” Bevete un po’ di estratto di malva, prima che la malattia vi colpisca.”
“ Ma cosa ha?” chiesi impaziente.
“ Scarlattina.” Fece secco lui:” ed è contagiosa.”
Per poco non svenni davanti a quelle parole brucianti. Scarlattina? Come aveva fatto a contrarla?
“ Come ha fatto ad avere la scarlattina?”
“ Si contagia con contatto fisico con un malato … se non si agisce in tempo il paziente è prossimo alla morte certa. La malva serve a prevenire o ad alleviare il dolore … nel suo caso non sarebbe servita a granché … “
Ero allibita quanto Agata, che chiese:” Ma come sta?”
“ male, la febbre è alta, e il rischio che muoia è alto. Stanotte ci sarà l’apice della febbre … se sopravvivrà a questa notte potrà considerarsi fuori pericolo.”
La vita della povera Deborah era sospesa su un filo sottilissimo, e sarebbero bastati pochi minuti di ritardo del dottore perché quel filo si spezzasse e la vita della ragazza cadesse nel fosso della morte.
Ringraziai il cielo di aver reagito subito, ma mi maledissi per non aver capito sin dall’inizio che cosa avesse.
Nel mentre bevvi un sorso di estratto e mi feci fare una visita lampo dal dottore, per constatare che non avessi contratto la malattia.
E poi una terribile idea mi balenò in testa: al bambino cosa sarebbe successo?
“ Dottore, la paziente è incinta …” dissi, senza pensarci.
Lui mi guardò con occhi spalancati e si mise in piedi alzandosi dalla sedia dove poco prima aveva preso posto:” Come incinta?”
“ incinta … da appena un mese …”
“ Questo è un problema … anche se guarisse la paziente, ci sono remote possibilità che il feto sopravviva alla malattia … e un feto morto porta alla morte della madre stessa … “ disse, pensieroso.
“ Cosa si può fare?”
“ Mi dispiace doverlo dire ma … la ragazza dovrà abortire, altrimenti potrebbe peggiorare la situazione.” Disse con tono deciso e secco.
Sia le mie lacrime che quelle di Deborah si fecero piano piano strada dal cuore verso i bulbi oculari.

Mi bruciava tutto il corpo, la febbre mi stava lentamente togliendo le forze, e nonostante avessi preso l’estratto poco prima, l’effetto era tardo a farsi sentire. Sapevo che era scarlattina sin da quando avevo detto a Elly di allontanarsi da me; Sapevo che era contagiosa, e presumevo di averla contratta dentro la capanna dei condannati il giorno prima. Tutti lì tossivano, e l’aria pesante aveva contribuito alla grande alla diffusione. E in più, la ferita si era infettata e i virus non avevano tardato a cibarsi di me e delle mie già poche forze.
Ma, giurai a me stessa, mi si spezzò il cuore in mille pezzi appena sentii la parola del dottore proferire quell’atroce vocabolo: “ Abortire.”
Dovevo espellere la creatura che cresceva dentro di me per salvare la mia vita, dovevo far morire per poter vivere.
Già altre volte mi era capitato e il dolore della perdita mi aveva sempre ucciso lentamente. Ma stavolta si trattava di lasciare che qualcosa dentro di me marcisse per far rinvigorire me nel caso mi fossi salvata.
Era anche frutto di odio, ma come avevo già detto, i frutti vanno fatti maturare, buoni o brutti che siano. E io dovevo lasciare quella pianticella incolta per evitare che il mio campo venisse invaso dalla zizzania o morisse.
Piansi subito come una matta:” No, non è possibile … non voglio …” dissi coprendomi gli occhi terrorizzata:”Preferisco morire!”
Elly mi si avvicinò e mi prese la mano. Era anche lei in lacrime:” Deborah … ascoltami; tu desideri rivedere Max vero?”
“ Con tutto il cuore ..” mi limitai a dire. Il mio pensiero volò a lui, alla sua guerra che non c’entrava per niente con la mia, ma che in qualche modo era collegata. Tutti e due vivevamo per poter un giorno incontrarci di nuovo, lontano da lì e da quello schifo di mondo in cui eravamo rinchiusi e legati con le catene dell’odio e del rancore.
“ E per farlo devi vivere … accetta l’aborto. Potrai salvarti solo così!” mi disse scoppiando a piangere a dirotto:” non voglio che tu muoia, ti prego … con che faccia mi presenterò a lui se tu sarai morta? Non avrò il coraggio di guardarlo negli occhi, perché troppo il rimorso di aver lasciato che tu morissi per una scarlattina …” Aveva la voce rotta dal pianto, e io con lei. Aveva ragione, lei stava cercando solo di darmi il consiglio giusto in quella situazione critica.
“ Elly …” dissi, stringendo la mia mano nella sua. Guardai il dottore che aspettava solo una risposta dalla diretta interessata.
E poi pensai a Max, mi attendeva, conscio che forse sarebbe morto,ma che cercava di non farlo solo per me.
E la decisione, dolorosa, mi venne d’istinto:” Faccia in fretta … conto su di lei.”
“ Chiamo subito una squadra … durerà un po’, ma starai meglio … sii paziente.” Rispose il dottore, e fece chiamare da Agata gli esperti per il mio caso.
Il cuore già iniziava a battermi all’impazzata. Stavo per perdere qualcosa di importante, ma lo facevo per qualcosa di altrettanto importante; Poter incontrare il mio amato e amarlo come non mai.
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 15/10/2011, 10:50




Capitolo 29

Una notte di patimenti, per ottenere come risultato lacrime, sangue a fiotti e un fagotto insanguinato e esanime. Il male che sentivo mi avrebbe fatto svenire da un momento all’altro, ma la stessa stanchezza mi impediva di chiudere occhio. La coperta su cui ero stata stesa era madida del mio sangue e di quello del feto, che ora giaceva in un asciugamano, senza muovere muscolo e anima che avesse.
“ Prova a dormire …” mi disse Elly, accarezzandomi la testa dolcemente. I miei nervi a fior di pelle stavano per scoppiare, la fatica di quella nottata mi stava uccidendo.
Avevo pianto, non dal dolore dell’anima, ma dal dolore fisico, e solo per miracolo non ero morta, come aveva detto il dottore.
La febbre era leggermente scesa, ma Elly per precauzione teneva l’estratto di malva accanto a sé, nel caso avesse contratto la malattia.
L’alba illuminava il mio viso stanco e pieno di occhiaie, ma non riuscivo a riprendere sonno. Stranamente non piangevo per la perdita di mio figlio; continuavo da lontano a guardare quel fagotto cadaverico e nessuna lacrima scendeva sul mio volto, come se un’insensibilità enorme avesse preso tutto da me e se lo fosse portato dietro come premio del mio sforzo di sopravvivenza. Una notte ricca di avvenimenti, un travaglio davvero estenuante, e mentre nelle mie orecchie rimbombavano le voci dei dottori che correvano come matti per assistermi durante l’espulsione, i miei occhi offuscati dal dolore riflettevano come in un sogno l’immagine di Max, della guerra che stava combattendo, e solo quel pensiero mi dava la forza di restare in vita,anche se per poco la mano del mio angelo custode non mi avrebbe fatta scivolare all’inferno.
“ Come ti senti?” chiesi senza pensarci alla mia amica. Sentii il suo sguardo sorpreso che mi trapassava da parte a parte, mentre stavo seduta accanto a lei sulla coperta fredda stesa sul pavimento a mò di letto che avevamo preso come nostro luogo di riflessione quella mattina. La signora Agata ci aveva lasciate sole, forse la visione di quel corpo inerme dentro l’asciugamano le faceva impressione, intuivo che certe visioni non erano piacevoli per persone piuttosto sensibili.
“ Come sto? Tu come stai!” mi disse in uno scatto di incredulità:” sicuramente meglio di te! Scusa …”
Mi voltai verso di lei, e incontrai le sue iridi celesti contratte a fessura, e le sorrisi:” Sto bene, non preoccuparti … ormai tutto è passato … in più la malattia sembra alleviatasi …”
“ Sicura? Secondo me hai ancora la febbre …” la voce dubbiosa di Elly suscitò le mie risate più sincere. Era così sensibile, dopotutto … e non lo faceva tanto per … era davvero preoccupata, lo sentivo dal suo abbraccio caldo e rassicurante.
“ Sono ancora malata, ma adesso sto bene … perché … so che lo rivedrò … ne sono certa …” mi persi nel pensiero di Max e il mio cuore sorrise felicemente. Sentii anche Elly sorridere, il suo abbraccio si era fatto più stretto di prima. Mi accoccolai sul suo petto e chiusi gli occhi, pensierosa.

“ Amico, che ti succede?” Jordan mi era accanto in piedi, mentre il mio respiro era mozzato dall’ansia del mio incubo. Lei che piangeva di dolore, e io che non potevo starle accanto. Una visione troppo forte per il mio fisico già provato. Mi alzai dalla parte opposta a quella di Jordan e, appoggiati i gomiti sulle gambe, presi la mia testa tra le mani e ripresi fiato. Avrei voluto anche piangere, ma ne andava della mia virilità. Quindi mi limitai a immergermi nei mie pensieri, mentre sentii il materasso che sprofondava alla mia destra, dove si era seduto Jordan.
“ Se ti fai condizionare così dagli incubi, già te la passi bene …” mi disse ironico.
“ Tranquillo, mi ci devo solo abituare … ma è stato troppo …” confessai, poggiando la testa sulle ginocchia e sospirando.
“ Cosa hai sognato?” mi chiese lui, mettendomi una mano sulla spalla:” Non mi va di vederti in questo stato … mi deprimi, e di deprimermi non ne ho molta voglia …”
“ Ho sognato … lei.” Dissi io senza alzare la testa.
“ lei … lei? Deve essere stato terribile … se sogni una persona a cui vuoi bene, vuol dire che ti manca.”
“ E se tu ami quella persona? Cosa significa sognarla mentre piange e tu non puoi intervenire nella sua tristezza?” chiesi guardandolo stavolta.
Lui mi guardò intensamente con le sue enormi iridi azzurrine da tipico tedesco:” Beh … significa che sta male, ma di un dolore che non è possibile curare con un abbraccio … almeno così diceva mio nonno … hai visto anche un serpente per caso nel tuo sogno?”
“ Un serpente?” rimasi alquanto perplesso da quell’aggiunta:” No … perché?”
Lui sorrise chiudendo gli occhi:” Bene, vuol dire che non è stata presa da nessuno … o non sta per morire … sapevi che il serpente nei sogni indica la prigione?”
“ No … sono sollevato di non averlo sognato allora …” Questo mi diede la certezza che lei stesse, per libertà personale, bene. Ma non mi capacitavo delle sue lacrime ingiustificate, e dalla barriera che mi divideva da lei.
Però … non potevo lasciare che certi pensieri mi rodessero dentro come niente. Dovevo farmi forza, combattere ancora e alla fine, avrei potuto abbracciarla e baciarla, in pace e tranquillità.
Mi distesi sulla branda, augurando la buona notte al mio amico, che sorridendo si ricoricò anche lui sul suo letto.
Cercai di dormire, ma non sognai niente stavolta. Più che altro mi inquietò, la mattina dopo, trovarmi alle quattro del mattino, trovarmi al campo di addestramento e vedere che non solo a me era spettato l’inferno, ma anche a qualcuno che l’inferno, a mio parere, se lo meritava eccome.
Maledissi di trovarmi faccia a faccia con lui. Xavier.
Xavier, l’odiato Xavier che aveva fatto crollare l’intero mondo di Deborah, era stato chiamato alla guerra, e ora, in quel campo, ebbi la sfortuna di incontrarlo. Sapevo già che si sarebbe scatenato l’inferno, IL buon giorno si vede dal mattino. In quel momento desiderai di poter essere al poligono di tiro, almeno il fucile per poterlo giustiziare lo avrei avuto a portata di mano.
“ ma guarda guarda …” aveva sibilato maligno, mentre mi aveva intravisto con la coda dell’occhio dietro a Jordan:” il principino è venuto a farsi onore tra i giganti … che bel gesto …”
“ Sbaglio o sei stato tu a mandarmi qui? Tanto di farti giustizia da te non ne avevi il coraggio …” gli risposi acidamente, sfidandolo con lo sguardo. Potevo permettermelo, Jordan sembrava guardarlo con sprezzo e sarebbe bastato solo un piccolo cenno perché la poderosa mano di Jordan potesse mandare a terra quello screanzato da quattro soldi. In più, lì sul campo, gli sarebbe costato caro attaccarmi fisicamente.
“ bada a come parli, principino … e sappilo, il tuo gesto verrà pagato caro …” mi disse lui con odio, per poi girare i tacchi e andarsene.
Jordan lo seguì con lo sguardo e poi mi rivolse la parola:” ma chi è quello laggiù?”
“ Uno che preferirei sparisse dalla faccia della Terra …” Risposi io senza voltarmi verso la direzione presa da Xavier. Il fischio del comandante mi fece riprendere il senno.
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 19/10/2011, 16:47




Capitolo 30

Fu duro eseguire gli esercizi senza pensare a come ignorare gli sberleffi di Xavier. Il peggio è che, sfortunatamente, quel giorno mi toccava fare ogni cosa in sua presenza; ma non bastava ai miei superiori farmelo stare vicino? Dovevano pure farlo lavorare insieme a me? Questo era troppo.
La sua arroganza mi faceva imbestialire ogni minuto, ma dovevo porre autocontrollo al mio istinto di saltargli alla gola e strozzarlo per tutto il male che aveva fatto.
Anche le sue crudeli perse per i fondelli erano a dir poco insopportabili: Mentre stavo pulendo per terra insieme a altri cinque ragazzi, lui mi aveva fatto lo sgambetto e solo per miracolo, il secchio pieno d’acqua che aveva tenuto in mano non aveva straripato e fatto fuoriuscire qualche goccia d’acqua. Riuscii infatti a salvare il secchio, poiché perdendo l’equilibrio durante la caduta, ebbi l’istinto di mettere il secchio all’altezza delle mie spalle, alzando le braccia, e di cadere ginocchioni.
Risultato: L’acqua non cadde, ma le mie ginocchia ne risentirono. Continuai a passare lo straccio per terra senza dare la minima attenzione a quel presuntuoso, che se la rideva sotto i baffi.
Tutti i suoi tentativi di mettermi in imbarazzo o di farmi sentire un essere inferiore non funzionarono, la mia forza di volontà prevalse sugli impulsi dettati dalla rabbia, le sue offese morali cercavo di non ascoltarle, e anche se ci rimettevo un ginocchio o un gomito, i suoi continui sgambetti o pizzicotti li ignoravo con grande autocontrollo.
E fu incredibile come alla fine, non gli fosse bastato avermi torturato tutto il giorno. Alla fine della giornata, stanco e dolorante, tornai nella mia stanza con Jordan, che mi chiese durante il cammino chi diavolo fosse Xavier.
“ Chi? Lui? Un mostro …” gli risposi io, accarezzandomi il gomito che aveva sbattuto poco prima contro lo spigolo della porta, dopo un’energica spinta di Xavier.
“ A quanto vedo non siete in buoni rapporti .. ti fa male?”
“ un po’ … più che cattivi rapporti direi pessimi ... se ne avessi l’opportunità lo farei a pezzi …” sussurrai spinto da una scintilla di rabbia nella voce.
“ Tu? Ucciderlo? Mio acro … non cercare di abbassarti al suo livello … Lo conosco di fama, non ha l’abitudine di essere buono con nessuno … e ho saputo che la sua concubina altri non è che la numero 15674…” disse lui riflettendo, mentre continuava a camminare verso la camera.
“Esattamente … mi sono messo contro un essere spregevole … ma lo dovevo fare …” dissi io, a occhi bassi. Raggiungemmo la nostra stanza e ci coricammo sulle brandine, ma preso com’ero dalla foga di raccontare continuai a parlare con Jordan, che mi ascoltò attentamente per tutto il tempo.
Arrivai a dirgli tutta la faccenda di me e Deborah, di come mi innamorai di lei, della questione “ fasciatura” e della fuga per poterla salvare da morte certa. Jordan non mi interruppe, e quando smisi di raccontare aggiunse solo un :” La mia stima per te è cresciuta in modo sproporzionato.”
“ Dici sul serio?” proferii sorpreso e un po’ esausto dal lungo racconto.
“ Mai stato più serio! Senti, ti ritengo un fenomeno solo perché tieni testa a tuo padre, ma ora che so che tieni testa pure a quel figlio di …. Chiamasi Xavier, non posso che farti i miei complimenti! Sai che ti dico? Hai le palle, tu sì che sei un uomo! E lo fai per una donna, questo è ammirevole.” Finì di dire Jordan sorridendo. Anch’io sorrisi alle sue parole :” che posso dire … grazie!”
“ di niente … e …” si girò dal lato opposto al mio dandomi le spalle:” Se ti serve una mano, conta su di me. Se quello lì ti torce un capello lo mando a terra, pur di beccarmi un occhio nero. Tipi come te se ne trovano raramente, fidati!” e finito di dire tutto ciò, si coricò e io feci lo stesso compiaciuto. Non risposi ma pensai che avesse capito che ne ero felice.
Finalmente avevo un amico su cui contare, e erano solo due giorni che stavo in quell’inferno! Un vero record in fatto di sociologia, o come cavolo si chiamava lo studio delle relazioni sociali tra uomo e uomo … per lui provavo davvero stima, e contavo sul suo aiuto.
Chiusi gli occhi e mi addormentai all’istante, troppo stanco ormai per un’altra ondata di pensieri.
Non sognai niente, e dormii tranquillo per un po’, però questo non durò a lungo. Uno strano rumore mi fece aprire gli occhi, poiché tanto forte da destarmi dal sonno.
Era un rumore stranamente attutito di urla quasi rissose, e quando aprii gli occhi infastidito notai che la porta della camera era socchiusa, e un sottile spiraglio di luce passava da sotto la porta e dalla medesima fessura. Intravedevo, poi, delle ombre in continuo movimento e le urla che si facevano più forti.
Preso com’ero da quei particolari, notai solo più tardi che anche gli altri soldati stavano ascoltando e qualcuno di loro era come andato a vedere cosa succedesse, poiché il suo letto era vuoto. E tra questi letti, spiccava quello di Jordan.
“ Uther!” chiamai il mio compagno di stanza che dormiva nel letto di fronte al mio:” ma che succede?”
Lui mi guardò insonnolito:” Non lo so … ma qualcuno sta facendo a botte … e sembra anche che ce la stia mettendo tutta!”
Improvvisamente sentii nitida la voce di uno dei tanti che stavano fuori. Stava insultando chi stava picchiando, e quel timbro di voce freddo mi mise la pelle d’oca. Guardai di nuovo il letto di Jordan e solo allora l’ovvietà mi fece riprendere:” Oh merda …” Mi alzai di botto dal letto e mi precipitai fuori, andando contro un gruppo di ragazzi ammucchiati lì in cerchio a guardare il combattimento.
Le urla di incitamento era fortissime e stranamente nessuno sembrava essere intervenuto nella faccenda.
“ Mi sai dire chi sta combattendo?” Chiesi, anche se sapevo chi era in ballo in quella questione.
“ Il cadetto Jordan e il sergente Xavier .. sapessi come sono conciati!” Sghignazzò uno dei tanti laggiù.
Il terrore prese possesso di me; d’accordo, Jordan mi aveva pur promesso che mi avrebbe aiutato contro le scempiaggini di Xavier, ma non fino a tal punto … e se fosse stato espulso dall’accademia? Io sarei stato in balia di Xavier e nessuno mi avrebbe potuto aiutare.
Perché, ne ero certo, quello sciagurato avrebbe escogitato chissà che cosa per poter scampare all’espulsione dall’accademia per il suo gesto azzardato.
Mi feci spazio a forza di gomitate tra la folla e dopo vari sforzi giunsi al centro della lotta tra i due soldati. Ciò che vidi, non so se mi rese felice o gravemente preoccupato.
Jordan, il mio compagno di stanza, aveva letteralmente ridotto male Xavier; il mio amico si elevava sopra la figura accasciata e sanguinante del sergente, con uno sguardo acceso e quasi maligno. La sua divisa era ridotta a un panno per pulire il pavimento, il suo braccio destro era solcato da un segno rosso, come di graffiatura, e un vistoso occhio nero era in contrasto con l’azzurro dei suoi occhi che tanto mi avevano ispirato fiducia. Era quasi inquietante in quella figura,e Xavier per la prima volta … mi fece pena. La vista del suo corpo quasi esanime al pavimento mi fece ritornare in mente quello spettacolo di dieci anni fa; l’uomo ebreo a terra e il soldato tedesco, quegli occhi di ghiaccio che trapassarono quelli neri dell’uomo insieme alla pallottola e alle gelide parole di disgusto del soldato … tutto ritornò ai miei occhi come un orrendo flashback e non esitai a urlare accasciandomi a terra e coprendomi le orecchie come un pazzo. Rivedere il tutto come uno spettacolo teatrale mi fece ribollire il sangue nelle vene e sapere che l’attore principale era Jordan … lui, il soldato senza scrupoli e io di nuovo, colui che assiste a un martirio … la mia mente non ne poteva più:”Nooooooooooooooooooooo!!!” urlai come un pazzo, mentre gli altri soldati si scostarono da me, e Jordan, solo in quel momento accorgendosi di me, mi si avvicinò e mi prese forte per le spalle scuotendomi:” Che cavolo ti prende?”
Non gli risposi, ma continuai ad urlare come in preda a un attacco epilettico. Lui continuava a scuotermi, mentre gli altri non facevano niente, e Xavier, continuava a starsene steso per terra, respirando a fatica.
“ Max!! Si può sapere cosa diavolo ti prende?? Rispondiiii!!!” mi urlò contro, e io feci lo stesso di prima.
L’incubo era tornato, più vivo di prima. Non sembrava destino che un così brutto ricordo venisse rimosso dalla ma mente … la paura prese il sopravvento sulla mia coscienza e ciò favorì il fatto che alla fine la sonnolenza e lo stress prevalsero sulle mie forze fisiche.
Insieme al buio sentii la voce di Jordan e la pressione dei suoi muscoli sui miei.

La febbre c’era ancora, e nonostante il peggio fosse davvero passato,a Deborah servivano ancora un po’ di giorni per potersi riprendere completamente. Quindi, cambiate le coperte al suo letto, decisi di lasciarla riposare ancora un po’.
Per la questione aborto, decisi che nonostante tutto, anche quel fagotto dovesse avere un qualcosa di simile a una degna sepoltura. Quindi cercai nella stalla una pala, e trovatala, andai in giardino per cercare un posto appartato dove seppellire il corpicino. Agata e il resto della famiglia accolsero la mia proposta bene, e anche Deborah decise che era giusto rendere onore a quel cadavere.
Scelsi un piccolo spazio tra un arbusto di mirtilli lì accanto e una quercia, il posto era piuttosto appartato ma carino, quindi indiscreto. Smossi la terra con la pala e fatta una piccola buca, ci misi dentro la scatola di legno in cui avevo rinchiuso il fagottino. John mi stava accanto appoggiato al tronco dell’albero e, quando mi porse la scatola, sentenziò:” Non ti fa un po’ di compassione?”
“ Si, un po’ … ma ormai è tutto finito … meglio che essere buttato nella spazzatura no?” esclamai io, con occhi teneri, poggiando delicatamente la scatola nella buca. Ricoprii il tutto e poi aggiustai per bene il mucchio di terra quasi invisibile nel verde del cespuglio.
Mi inginocchia davanti ad esso giungendo le mani, una preghiera veloce per quella povera creatura era d’obbligo in quel momento. John fece lo stesso sorridendo.
Ci alzammo e aiutandolo con le stampelle rientrammo dentro.
“ Come sta Deborah?” Mi chiese Agata.
“ Meglio di ieri, l’ho lasciata riposare un pochino adesso …”
“ Mi fa piacere … e mi dispiace se ieri non ho voluto assistere … è stato più forte di me.” Fece la donna, un po’ riluttante.
“ Non preoccuparti, può capitare …” le sorrisi compiacente e poi salii in camera di Deborah, entrando lentamente. La ragazza aveva preso sonno oramai, quindi mi limitai ad accostarmi in punta di piedi alla scrivania e ad afferrare il mio libro, per poi sedermi e leggerlo seduta sulla sedia lì accanto, mentre di tanto in tanto lanciavo occhiate al suo letto, per vedere se la disturbavo in qualche modo. Aveva il viso finalmente rilassato, le occhiaie erano quasi sparite e ormai le lacrime erano come evaporate, data la loro mancanza. Questo mi rincuorò.
La guarigione completa della ragazza avvenne in una settimana, dopodiché lei fu completamente in grado di poter eseguire tutti i compiti affidatigli da Agata e Gustav.
La convalescenza passò tranquillamente, e nonostante la stanchezza, Deborah era capace di fare anche il lavoro all’apparenza più faticoso con impegno e bravura. Questo rese felici tutti, soprattutto me. Sentivo che attingeva la sua forza d’animo dall’amore che nutriva per mio fratello. E a proposito d’amore … notai come da quella notte io e John ci fossimo .. come dire … avvicinati.
Il bello della situazione era che , durante la settimana della malattia di Deborah, lui veniva in camera e si sedeva accanto a me, come a cena o dopo cena, quando uscivamo fuori a guardare le stelle.
Era molto dolce, e quando io ero intenta nei miei lavori, lui era sempre lì accanto a darmi una mano se ne avevo bisogno, senza però essere troppo invadente o presuntuoso. Scherzava, ma lo faceva con tenerezza, e questo mi toglieva le parole di bocca, o mi mandava in enorme imbarazzo con il resto del mondo. Aveva un modo di fare ammaliante, e questo contribuì a farlo avvicinare di più a me, tanto che in una settimana potevamo già considerarci come buoni amici … e chissà .. forse qualcosa di più!
Deborah lo aveva sicuramente notato, e non faceva altro che mandarmi segnali con gomitate e farmi occhiolini convinti, a cui io rispondevo facendo finta di niente.
Lei, naturalmente, affermava:” Vedrai,anche tu verrai rapita dalla magia dell’amore!” ed era vero, tanto ci sarei caduta anch’io.
E passarono così due settimane. Ma si sa, niente dura per sempre, e sembrava che qualche maledizione dovesse per forza incombere su me e Max, visto che ogni cosa era contro di noi. Ma stavolta sembrava più serio.
Me ne accorsi dalle urla fuori a da un rombo di macchina tuonante, nella notte della terza settimana del nostro alloggio a casa Mendel.
Aprii gli occhi insonnolita e disturbata dal rumore assordante di poco fa, e mi accorsi che Deborah stava in piedi davanti alla finestra, e guardava fuori. I suoi occhi erano ridotti a due fessure dal terrore.
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 29/10/2011, 17:25




Capitolo 31

La febbre dei giorni scorsi sembrò alzarsi di nuovo all’improvviso appena constatai che la iella ce l’aveva con me. Stavo davanti alla finestra, allibita davanti alla luce accecante dei fari di un furgone delle SS, parcheggiato proprio fuori nel cortile.
Anche Elly si svegliò e, constatato che eravamo nei guai più grossi di questo mondo, non tardò a tremare dalla paura:” Dimmi che non è vero …” Esclamò terrorizzata.
“ Neanch’io me ne capacito ancora … ma dobbiamo restare calme, e trovare una soluzione.” Dissi, Cercando di rimanere davvero tranquilla, ma senza riuscirci granché. L’agitazione stava divorando la mia anima: Quell’odiato furgone, io l’avevo temuto e visto così tante volte che non mi meravigliavo per niente se ogni notte l’immagine cupa di quel mezzo mi passava davanti, nei miei peggiori incubi. A ogni trasferimento in un nuovo ghetto, sentivo il naso punto dall’odore stantio di chiuso, vomito, o peggio ancora, di cadavere. Troppe persone erano morte solo durante il viaggio, tra questi mio cugino Richard, di appena due mesi. Avevo pianto tantissimo per il povero piccolino. E presto mi sarei rimessa a piangere, ma stavolta sarebbe stato per me, o peggio … per chi mi stava intorno. La mia situazione nelle ultime settimane era andata a coinvolgere persone entrate di botto nella mia vita, non potevo rischiare che la loro vita cessasse solo a causa della mia presenza.
Fu triste realizzare la mia idea, ma sembrava necessario.
“ Elly … dobbiamo separarci .Loro vogliono me.”dissi , seria.
Lei si voltò sorpresa:” Deborah, non dire stupidaggini. Io da te non mi separo di certo.”
“ Ma è necessario per la nostra salvezza farlo.” Replicai, guardandola negli occhi:” non possiamo fare in modo che quelli ci catturino entrambi.”
“ Ma Deborah! Io non lo accetto!” Mi afferrò le spalle all’improvviso, scrollandomi come impazzita:” Ti rendi conto che sei rimasta sola per tutti questi anni? Lascia che stavolta siano gli altri a decidere per te, e non tu per gli altri! Ascoltami e basta … io non voglio separarmi da te.”
“ Elly …” Ero un po’ scioccata dalla sua rivelazione così improvvisa, e anche … commossa. L’unica persona che avevo avuto così accanto negli ultimi anni della mia vita era stata mia madre, la sola. Poi, c’era stato Max … e mi sorprendeva che anche Elly ormai fosse uno dei pochi nella mia vita. Forse non dovevo sorprendermi così tanto, ma … a chi è rimasta un’anima solitaria tutta la vita sorprende sempre trovare la mano tesa pronta a prenderti durante una brutta caduta.
Di istinto la abbracciai, e una lacrima solcò il mio viso:” Elly … lascia stare. Facciamo come dico io … e grazie.” Le baciai la guancia, mentre lei non disse niente, prossima a scoppiare a piangere per non avermi convinto a fare come diceva lei.
Nel mentre, fuori, due soldati stavano per fare irruzione in casa. Non avevano l’aria molto amichevole in fondo, e il mio stato d’allarme crebbe tantissimo.
All’improvviso sentii la scala rimbombare sotto i passi di qualcuno, e dopo un po’ la faccia di Gustav apparire dalla porta:” Ragazze seguitemi presto!” L’uomo era agitatissimo, e noi preoccupate lo seguimmo.
“ Agata è sotto ad aspettare i soldati, ora vi porto in un posto sicuro.” Andammo in fondo al corridoio del piano di sopra, e varcammo la porta che io dedussi essere dello sgabuzzino. La stanza era un bugigattolo pieno di cianfrusaglie, dal soffitto piccolo e basso. A ogni angolo potevo notare scartoffie varie, libri o cumuli di libri impolverati e anche bambole di vecchia porcellana, ormai tutte sbiadite.
“ seguitemi più in qua ragazze …” Gustav ci faceva strada in quel labirinto di carta con un mozzicone di candela acceso che a stento faceva luce. Mentre ero intenta a orientarmi in quel buio pesto, le voci dal piano di sotto non erano per niente rassicuranti: I soldati sembravano dare sfuriate spaventose, Agata sapeva difendersi, ma ci mancava poco che quegli energumeni ( perché, lo avevo notato, erano davvero grossi di spalle …) non la picchiassero.
“ Gustav … dovresti tornare a aiutare Agata …” dissi, preoccupatissima.
Lui si voltò e mi sorrise, da quel che vidi nella piccola penombra creata dalla candela:” Non preoccuparti. Sappi che l’ho sposata proprio perché è una donna di carattere in certe situazioni! E ora, damigelle ..” Andò avanti fino a raggiungere la parete. Qui si chinò sul pavimento e afferrò qualcosa che non riuscii bene a vedere cosa fosse. Sentii uno strano cigolio e poi la voce dell’uomo:” Scendete per questa scala, vi porterà nel rifugio …” ci fece luce con la candela sulla botola aperta, e potei vedere una pila di scale di legno, ancora in buono stato. Mi sorpresi di notare come in quella casa si fosse preparati per ogni emergenza.
“ Posso chiederti come mai c’è una scala segreta in casa tua?” chiese Elly avvicinandosi per scendere.
“ necessità … in effetti non siete le prime fuggiasche che noi accogliamo!” disse lui ridendo.
Sorrisi, anche se in verità questo mi rendeva ansiosa. Sembrava che questa famiglia fosse abituata a mettersi in pericolo per persone che nemmeno conosceva, e tutto ciò mi faceva nuovamente sentire in colpa.
Elly scese per prima, e quando fu il mio turno, esitai sul primo piolo:” Gustav …” sussurrai:” ma perché lo fai?”
L’uomo mi guardò stupefatto e mi fece un sorriso a trentadue denti:” perché faccio cosa?”
“ Questo … aiutare degli sconosciuti a scappare dalla legge …”
“ perché questa legge non mi piace … e dunque faccio quel che mi pare … ora scendi. Appena sarete nello stanzino, scappate attraverso la porta che troverete alla parete. è un tunnel segreto per poter arrivare alla stalla. Li vi aspetta John …”
“ John? Come ha fatto …?”
“ Te ne accorgerai da sola … in bocca al lupo adesso …” Detto questo, Gustav chiuse sopra di me la botola, dandomi la candela per farmi luce. Mi ritrovai nel buio pesto, con solo una flebile luce a illuminare il mio cammino già poco visibile. Mi rassegnai la fatto di dover affrontare tutto quello così improvvisamente, e facendo attenzione a dove poggiavo i piedi scesi lentamente e senza fare rumore la scala. La spaccatura della parete dove passava quel tunnel doveva essere situata lontano dal salotto, dato che le voci erano poco udibili.
“ Elly! Dove sei?” sussurrai, cercando comunque di farmi sentire almeno da lei.
Sentii la sua voce fievolmente da sotto:” Scendi ancora un po’! Ci sei quasi!”
Io scesi ancora un po’, anche se riuscivo a stento ad aggrapparmi con le mani ai pioli della scala. Facendo un ultimo sforzo, scesi gli ultimi gradini, e un po’ di luce mi aiutò a vedere meglio. Ero arrivata in fondo al tunnel, e una luce al neon bianchissima mi accecò. La scala finiva con un vuoto di appena mezzo metro. Saltai quel piccolo spazio, Elly attendeva il mio arrivo da sotto la scala.
“ Eccoti! Quella è la porta che dobbiamo prendere per arrivare in stalla.” Mi indicò una porta in ferro , tinta di nero, con i bordi arrugginiti.
Lo scantinato, o la parte inferiore della casa, era uno stanzino di dimensioni piccole, come la stanza delle cianfrusaglie di prima. Una lampadina che oscillava a ogni passo illuminava il tutto con una luce tremolante e e gettava ombre inquietanti a seconda di come capitava l’oggetto che veniva illuminato. Era un po’ spaventoso, ma non di certo meno spaventoso di quello che avrei passato se mi fossi fatta catturare.
Andammo verso la famosa porta, che si aprì solo dopo una solida tirata. La ruggine ne aveva contuso la serratura e fu un miracolo che la porta non cigolò troppo quando venne aperta per farci passare.
Immetteva in un corridoio buio e maleodorante,non di certo invitante.
“ Dovrebbe esserci un interruttore …” Elly tastava la parete al buio e poi sentii un click e alcune lampadine come quelle dello stanzino si accesero, facendo luce e rendendo meno buio e spaventoso il passaggio.
“ Possiamo andare …” Elly si chiuse la porta alle spalle dopo avermi fatta passare. E in breve tempo arrivammo sopra la botola che conduceva all’interno della stalla.

Voci attutite … anzi, una sola voce, confusa … non riuscivo a darmi la cognizione del tempo giusta, non capivo perché tutto mi sembrava distorto … forse stavo dormendo … no, sentivo una voce, non poteva essere possibile. La memoria non voleva aiutarmi, vuoto totale anche lì. Così … feci forza su quel che stranamente sentivo di aver chiuse; le palpebre. Sforzai di aprirle, e improvvisamente la voce si fece più nitida …:” Max! Svegliati!”
Max, Svegliati … pensai a chi mi stesse chiamando. E l’unica voce che mi venne in mente fu quella di Jordan.
La vista offuscata si fece nitida e il volto del mio amico mi si mostrò davanti. Era contratto in una smorfia di dolore e preoccupazione.
“ Jordan … dove …” voltai la testa. Bianco e morbido. Un letto d’ospedale, e ci ero steso sopra.
“ Ben sveglio!” la sua voce sembrava rasserenata rispetto al viso contratto di prima in qualcosa che somigliava a una faccia corrucciata.
“ Mi puoi dire perché .. mi trovo qui?”
“ Dopo che mi hai visto fare a cazzotti con Xavier, sei svenuto … è passata una settimana dal tuo coma. Ho pensato il peggio brutto stupido! Mi hai fatto preoccupare …” mi poggiò la mano sulla spalla dandomi una pacca leggera, mentre io ancora stordito cercavo di fare ordine nella mia testa su quanto mi aveva detto.
Avevo dunque dormito una settimana intera solo perché avevo rivissuto il trauma infantile davanti a lui che picchiava Xavier? Mi sorpresi di come fossi diventato davvero suscettibile e sensibile negli ultimi giorni.
“ Una settimana? Ma dici sul serio?”
“ Esatto! Stavi urlando come un pazzo di farmi smettere, poi sei caduto tra le mie braccia. A quel punto è venuto un superiore e ti ha portato qui …”
“Capisco … ma ancora una cosa non mi è chiara …” istintivamente lo afferrai per il colletto per la divisa:” perché cavolo ti sei cacciato nei guai?”
“ In che senso cacciato nei guai?” afferrò la mia mano come per strappare la sua divisa dalla mia presa morbosa, ma io strinsi di più fino a farmi diventare le nocche sporgenti e bianche dallo sforzo. Ricordavo benissimo che il suo gesto mi aveva letteralmente spiazzato, che tutta quella brutalità mi aveva deluso … gli avevo detto che poteva difendermi visto che eravamo amici, ma non poteva mettersi nei guai in quel modo, o giocare al gioco di Xavier.
“ In che senso? Hai fatto a botte con il mio nemico in modo assurdo! Non ti ho detto di certo di doverti comportare come … un tedesco …” allentai la stretta e come se si fosse addormentata, la mia mano cadde di botto giù.
Come un tedesco, dal sangue di ghiaccio e dagli occhi perfidi. Un tedesco del mio tempo. E lui lo era, in fondo … anche se in modo più pacifico.
“senti … l’ho fatto perché altrimenti sarebbe stato lui a farti quelle cose … l’ho visto mentre si intrufolava in camera … e da lì è scattato tutto .. mi spiace …” Jordan, con gesto dispiaciuto, si grattò la nuca imbarazzato, sotto il mio sguardo leggermente tornato più tranquillo.
“ Davvero?”
“ Si … in verità all’inizio volevo lasciar perdere, ma dopo se l’è voluta … ha cominciato a insultarmi pesantemente.”
“ E hai reagito di conseguenza … ma poi cosa è successo dopo che sono svenuto?”
“ Xavier è stato portato via, e stranamente si è già ripreso … ma la sua condotta, per nostra fortuna, è stata penalizzata … tutti hanno riconosciuto che è stato lui ad iniziare.”
“ E tu? Cosa ti toccherà?” chiesi un po’ in pensiero per Jordan. In fondo era stato lui a farle buscare a Xavier.
“ Io?” uno strano sorriso a trentadue denti comparve sul suo volto:” Punizione più leggera della sua di sicuro … mi toccherà rifare tutti i letti dell’accademia, più servizio extra in cucina e un’ora in più di allenamento. Ma in compenso è più divertente di quello che è toccato al nostro amico …”
“ Perché?” la domanda mi sorse spontanea, anche se qualche dubbio terribile mi venne subito.
“ Pochi giorni fa abbiamo avuto il recapito di cinque soldati morti sul fronte. Lui è stato mandato come rinforzo. In pratica, sta combattendo.”
“ …” Non fiatai, anche se non ero scontento che alla fine avesse avuto quel che voleva. Ma la guerra è pur sempre una guerra, e di certo non volevo essere al suo posto in quel momento.
“ Già … ha sconvolto anche me … in fondo incassava bene i colpi!” scherzò Jordan. Io sorrisi ma rimasi serio lo stesso.
Sentimmo a un tratto bussare alla porta della stanza. Un soldato entrò e venne verso di noi.
“ Cadetti … per voi.” Ci porse una lettera di color giallognolo, che Jordan prese in mano dubbioso.
L’aprì lentamente, dopo che l’altro si chiuse la porta dietro. E alla chiusura della porta corrispose anche un gemito dalla bocca di Jordan, che non fu per niente rassicurante.
“ Che succede?” presi la lettera in mano, mentre vidi che Jordan tremava. Il suo viso prima calmo si contrasse in una orrenda smorfia di terrore.
Mi preoccupò tantissimo vederlo in quello stato, e lessi quindi la lettera.
Capii solo dopo averla letta il perché del pallore improvviso di Jordan. Era un invito alla morte.
 
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Maria G.2
CAT_IMG Posted on 30/10/2011, 13:16




in effetti la malva ha proprietà antinfiammatorie ora che ci penso!
bellissimi i capitoli,me li sono letteralmente mangiati! *buuuuuuuuuuuuuurp!*
 
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Rodja95
CAT_IMG Posted on 30/10/2011, 18:47




Uahahahahah ho preso lo spunto da Piccole Donne xD grazieeee mille mi mancavano i tuoi commenti tesoro!!
 
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119 replies since 2/8/2011, 18:31   666 views
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